Il cessate il fuoco è scaduto e non è stato prorogato dal presidente ucraino (Foto: AP)
Il presidente dell’Ucraina Petr Poroshenko ha dichiarato la sospensione della tregua, proclamata il 20 giugno. “Noi attaccheremo e libereremo la nostra terra”, ha dichiarato Poroshenko rivolgendosi al popolo ucraino la notte del 1° luglio, sottolineando inoltre che il piano di pace proposto alla vigilia della tregua rimane in vigore.
La tregua che non c’è stata
Nel frattempo, anche durante la tregua, i ribelli delle regioni sud-orientali dell’Ucraina e le truppe regolari hanno continuato a far fuoco sulle rispettive postazioni. Come in passato sono stati sequestrati civili, ed è stato ucciso un operatore di Pervkij Kanal della televisione russa, Anatoly Klyan. Secondo i dati dell’ONU, alla fine di giugno più di 110mila abitanti dell’Ucraina si sono riversati in territorio russo e più di 54mila persone cercano rifugio in altre regioni dell’Ucraina. Come ritiene il politologo Evgeny Minchenko una tregua vera e propria non c’è stata. “Entrambe le parti hanno utilizzato la tregua solo per recuperare e riorganizzare le forze”, ha detto Minchenko.
Il politologo Andrey Okara, specialista sull'Ucraina, ritiene che la tregua non potesse avere successo in quanto né l’una né l’altra parte hanno sufficiente controllo sui propri reparti. “I ribelli delle regioni sud-orientali sono formazioni di natura molto, molto eterogenee. Tra di essi ci sono quelli per cui la guerra è un business, quelli con un passato criminale che hanno avuto accesso alle armi, e quelli realmenti convinti. Per loro, Mosca e Putin personalmente, sono certamente un’autorità, ma non al punto per cui accetterebbero di sottomettersi a qualcuno incondizionatamente. L’esercito ucraino invece si è formato di fatto solo negli ultimi due mesi, fino ad allora praticamente non esisteva”. Oltre a questo, l’idea stessa della tregua è stata accolta dall’opinione pubblica ucraina in maniera decisamente controversa, e anche questo il presidente Poroshenko non poteva non considerarlo. Il 28 giugno a Kiev si è tenuto un raduno di alcune migliaia di persone, i cui partecpanti hanno preteso la ripresa dell’offensiva nel sud-est e il ritiro della tregua, la quale, secondo i partecipanti, avrebbe condotto ad una guerra di proporzioni ancora maggiori. Per questo, come sostiene Okara, la decisione di Poroshenko di non prolungare la tregua dovrebbe essere considerata non soltanto dal punto di vista bellico, ma anche da quello della situazione politica interna.
Profughi e partigiani
![]() |
Leggi qui le opinioni degli esperti sulla questione ucraina |
Considerando logica la ripresa delle offensive, Minichenko valuta in maniera assolutamente pessimistica le prospettive future. “La guerra continuerà, le persone abbandoneranno gradualmente le proprie case. Finirà male per entrambe le parti, ma nessuna di queste, ormai, è in condizione di fermarsi. Le truppe ucraine rischiano di essere coinvolte negli scontri cittadini e i separatisti chiaramente ci sperano. Questo significa che verranno distrutte le infrastrutture cittadine con una conseguente catastrofe umanitaria. Inoltre, i separatisti hanno la possibilità di condurre una guerra partigiana trasferendola anche sul territorio di altre regioni”. Questi timori appaiono pienamente fondati: nel momento in cui il presidente dell’Ucraina si rivolgeva al popolo, sulla ferrovia di Donetsk risuonavano quattro esplosioni. Alla vigilia, invece, un’esplosione c’era stata nella regione di Kharkhov, in cui la guerra non c’è. Okara, d’altronde, ritiene che la graduale formazione e organizzazione dell’esercito ucraino gli permetterà con il tempo di prendere comunque l’iniziativa.
Conciliazione politica
Nel frattempo continuano i tentativi di conciliazione politica. Alla vigilia del ritiro del “cessate il fuoco” i leader di Germania, Francia e Russia hanno portato avanti lunghe negoziazioni. Allo stesso tempo la presidenza dell’Unione Europea avvertiva Mosca di essere pronta in qualsiasi momento a introdurre l’ennesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, di carattere non più personale, bensì economico. “La conciliazione politica andrebbe bene a Mosca, ma non ci sono istituti con i quali possa accordarsi né a Kiev né a Donetsk”, sostiene Minchenko. "D’altra parte, l’Europa ha appena firmato un accordo con l’Ucraina circa l’associazione ed è altrettanto interessata all’interruzione del conflitto. Pertanto, secondo le mie fonti Angela Merkel avrebbe insistito perchè alle negoziazioni tra i ribelli, Mosca e il potere ufficiale di Kiev partecipasse anche Viktor Medvedchuk, e a Kiev è toccato accettarlo".
Il futuro dopo il “big game” per l'Ucraina
Viktor Medvechuk è un politico ucraino, a capo dell’amministrazione dell’ex presidente ucraino, Leonid Kuchma. Oggi Medvedchuk non è di certo la figura più popolare in Ucraina, tuttavia gode della reputazione di essere un influente ed oscuro politico e uomo d’affari. Per di più, fughe di informazioni dal tavolo delle trattative, assicurano che si stia discutendo la nomina di Medvedchuk a governatore della regione di Donetsk. Sia Minchenko, sia Okara ritengono tale discussione logica e realistica. In tal modo, gli interessi di Mosca, dice Okara, possono essere conciliati con quelli degli oligarchi ucraini, con i quali toccherà a Kiev fare i conti. “Il compromesso tra tutte le parti è possibile solo con una soluzione di questo tipo”. Ma sul fatto che la contrapposizione armata e la ricerca del compromesso politico al momento stiano continuando separatamente l’uno dall’altra concordano sia Minchenko sia Okara.
Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email