Alcune donne piangono i morti di Odessa (Foto: Reuters)
Gli abitanti di Odessa non riescono ancora a capacitarsi dei fatti accaduti il 2 maggio, tanto risultano agghiaccianti. “Nessuno avrebbe mai supposto che episodi del genere sarebbero potuti accadere qui da noi”, dice una cittadina originaria di Odessa, Tat'jana Latij. Tutto era silenzioso e tranquillo: quelli dell’Euromaidan si erano radunati davanti al monumento al duca di Richelieu, mentre i sostenitori filorussi della federalizzazione avevano attaccato i loro manifesti in un'altra parte della città, a Kulikovo Pole. Da entrambe le parti tutto era stato concordato, gli odessiti si mettono sempre d'accordo, certo capita che volino parole grosse o insulti, ma non si degenera mai.”
“Mia mamma è ucraina, mentre mio padre è russo”. Valentina Jur'eva è pronta a mostrare il certificato di nascita a conferma delle sue parole. “Cosa dovrei fare, litigare da sola? Io ho una perfetta padronanza sia della lingua russa che di quella ucraina, leggo libri sia in ucraino che in russo e non mi sono mai impicciata di politica”. Il 2 maggio Valentina stava aspettando che tornassero a casa i suoi figli quando in televisione hanno cominciato a dare le notizie sui disordini. “Mi ha colpito una frase del conduttore: ‘Mentre la gente se ne sta tranquilla a casa’. Così verso le cinque di sera ho raggiunto la Deribasovskaja, la via principale di Odessa, e ho visto che un gruppetto di persone ne stava attaccando un altro, ma non era chiaro chi fossero. Appena in disparte c'erano altri che prendevano a calci un ragazzo ferito, così mi sono gettata in suo aiuto e cadendo l'ho protetto con il mio corpo prima che mi spintonassero via dicendo: ‘Vattene, donna!’ Grazie a Dio è arrivata un'ambulanza e hanno portato via il ferito”, dice sospirando di sollievo Valentina.
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La stampa russa sui fatti di Odessa |
All'inizio nessuno ha preso seriamente quanto stava succedendo. “Abbiamo pensato: adesso arrivano, urleranno qualche slogan e poi interverrà la polizia e li disperderà tutti. Questa è Odessa, mica Maidan e quindi ci siamo rifugiati nel grande e solido palazzo della Casa dei Sindacati perché ci sembrava logico”, racconta Valentina. “Le sole armi che avevamo con noi erano delle icone e delle pietre”. Anche un'altra donna che non ha voluto dirci il suo nome, ci ha raccontato con grande fatica di come ha perso suo figlio nel rogo del 2 maggio. “Mio figlio non aveva mai partecipato prima a una manifestazione”, ci spiega. “Io sì, ma lui mai, anche se condivideva le mie opinioni, non era un attivista. Però il 2 maggio è andato a Kulikovo Pole non appena ha saputo quanto stava succedendo”. La donna ci dice di non aver seguito subito il figlio e di essere passata prima in farmacia per comprare dei medicamenti: circolavano già le prime notizie sulla presenza di feriti e lei voleva essere d'aiuto. Quando finalmente è arrivata a Kulikovo Pole, suo figlio si trovava già all'interno della Casa dei Sindacati. Agli odessiti, secondo le parole della donna, sembrava ancora che tutto fosse relativamente sotto controllo, dopotutto in piazza c'erano i poliziotti e le squadre speciali.
Ma quando è iniziato l'attacco contro quelli che si trovavano all'interno della Casa dei Sindacati, le forze dell'ordine non hanno reagito in alcun modo. “Ho supplicato i poliziotti: ‘Fermateli!’. Ma loro distoglievano lo sguardo: ‘Non abbiamo ricevuto nessun ordine’. Non so come sia riuscita a mantenere la calma, ora capisco che è stato per lo shock. Mi si è seccata la bocca, ricordo confusamente quanto è successo dopo. Rammento solo che mio figlio mi ha chiamato al telefono e mi ha detto: ‘Mamma, vattene! Ti supplico, vattene!’. E dopo, quando ormai è diventato chiaro che le possibilità di uscire vivi dalla Casa dei Sindacati erano molto poche, mi ha richiamato per dirmi addio, mi ha detto: “Mamma, ti voglio tanto bene” conclude la donna. Valentina Jur'eva ricorda di aver visto dei poliziotti salvare due manifestanti che erano caduti. In silenzio hanno rotto le righe in modo da sbarrare la strada alla folla finché non sono arrivati i soccorsi. Mentre altre persone sono state salvate da testimoni casuali degli eventi e Valentina è convinta che fossero degli odessiti.
Ljudmila Solntseva racconta che nella sua città natale non ci sono mai stati i separatisti. “Noi volevamo semplicemente che ci fosse un referendum per rendere ufficiale la lingua russa. Volevamo che l'Ucraina rimanesse unita. E ora? Non si ha più voglia di vivere, sembra che sia un sogno, come quando in treno capita di sonnecchiare. È come se ci fossimo inventati tutto,” dice Ljudmila. Anche lei il 2 maggio era a Kulikovo Pole. “Abbiamo abbandonato i cartelli e siamo corsi nell'edificio – vicino all’area verde – e nella Casa dei Sindacati si è rifugiato anche chi passava casualmente di lì. Ci siamo barricati dentro come abbiamo potuto, ma la nostra resistenza è durata poco” racconta. Nell'edificio si sono davvero rifugiati tutti quelli che si trovavano poco lontano: attivisti cristiani, giovani studenti, ma anche operatori sanitari e passanti. Ljudmila conferma: “Adesso Odessa vive nel terrore, le lezioni sono state sospese sia nelle scuole che negli istituti superiori e io non permetto ai miei figli neppure di uscire di casa”.
Per l’articolo sono stati utilizzati materiali pubblicati sulla rivista Ogonek
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