Greenpeace, carcere confermato anche all'italiano

Gli attivisti di Greenpeace in un'azione di disturbo alla piattaforma petrolifera russa nel Mare di Barents (Fonte: Greenpeace Russia)

Gli attivisti di Greenpeace in un'azione di disturbo alla piattaforma petrolifera russa nel Mare di Barents (Fonte: Greenpeace Russia)

Il tribunale di Murmansk ha prolungato di due mesi la custodia cautelare di Cristian D'Alessandro, fermato con altri 29 attivisti dell’organizzazione ambientalista a bordo della nave rompighiaccio Arctic Sunrise

Il tribunale di Murmansk ha ordinato l’arresto di Denis Sinyakov e Roman Dolgov, i due attivisti russi di Greenpeace, fermati assieme ad altri 28 appartenenti a Greenpeace (tra cui l'italiano Cristian D'Alessandro) a bordo della nave rompighiaccio Arctic Sunrise. A 22 dei 30 militanti dell’organizzazione ambientalista, provenienti da Italia, Stati Uniti, Canada, Francia, Turchia, Polonia, Nuova Zelanda e Russia, è stata prolungata di due mesi la custodia cautelare. Per gli altri otto, i giudici di Murmansk, dove l'imbarcazione è stata trainata e posta sotto sequestro dalle autorità russe, hanno stabilito un prolungamento del fermo di altre 72 ore. 

Gli ecologisti di Greenpeace, 30 in totale, erano stati fermati il 18 settembre 2013 dalla Guardia costiera russa, dopo aver tentato di organizzare un’azione di protesta a bordo della piattaforma petrolifera “Prirazlomnaya”, nella parte Sud-orientale del Mare di Barents. Gli osservatori sono convinti che simili atti di protesta da parte dell’organizzazione ambientalista non aiutino affatto a convincere le autorità russe a modificare la legislazione ambientale vigente.

Il Tribunale Distrettuale Leninsky di Murmansk ha disposto la carcerazione preventiva, per impedire che gli imputati, non risiedendo nella regione di Murmansk, possano sfuggire alle indagini e rifugiarsi all’estero.

Sono 30, in tutto, i militanti, perlopiù stranieri, detenuti per aver tentato di impadronirsi della piattaforma petrolifera “Prirazlomnaya”, situata nel mare di Pechora. Su di loro pende, ai sensi dell’articolo 227 del codice penale russo, l’accusa di pirateria.

Il fotografo Denis Sinyakov ha asserito di non avere nessuna intenzione di scappare, avendo un figlio minorenne cui badare. La sua macchina fotografica, così come il suo passaporto, sono stati sequestrati. Sinyakov rimarrà agli arresti per due mesi, fino al 24 novembre 2013.

Greenpeace ha confermato che i suoi attivisti hanno ricevuto l’estensione della detenzione a due mesi. Fra di essi vi sono cittadini provenienti da Italia, Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda, Turchia, Polonia e Francia. Per lo svedese Dima Litvinov e altri sette del gruppo la carcerazione preventiva è stata prorogata invece per altre 72 ore.

“I processi continuano, sotto lo sguardo degli inviati delle missioni diplomatiche. Nessuno dei detenuti è stato rilasciato”, ha dichiarato Mikhail Kreindlin, portavoce russo di Greenpeace. Gli esperti denunciano il fatto che ai detenuti non sempre viene fornito un servizio di interpretariato chiaro e comprensibile.

Il portavoce della commissione investigativa di Murmansk, Vladimir Markin ha riferito che il comitato investigativo russo aspira a consegnare alla giustizia tutti i membri dell’equipaggio della rompighiaccio Arctic Sunrise, compresi la cuoca e il medico di bordo. Gli imputati, non ammettono, però, la loro colpevolezza e si rifiutano di deporre, denunciando irregolarità nelle procedure processuali da parte delle autorità russe e l’impossibilità di testimoniare in propria difesa.

Nella giornata del 26 settembre 2013, Greenpeace ha organizzato una serie di manifestazioni isolate, di fronte alla sede centrale della Gazprom a Mosca, a sostegno degli attivisti detenuti.

Secondo il Presidente russo Vladimir Putin, intervenuto, alla vigilia dei processi, al forum “L’Artico: Territorio del dialogo”, gli attivisti di Greenpeace non sono chiaramente dei pirati, ma hanno comunque infranto le leggi internazionali, tentando di impadronirsi della piattaforma petrolifera.

Aleksandr Skaridov, preside della Facoltà di Diritto Marittimo presso l’Università della flotta marittima e fluviale “S. O. Makarov”, ha spiegato che gli ambientalisti hanno chiaramente violato la legge, ma, per essere considerati dei pirati, avrebbero dovuto “attaccare” un’imbarcazione e non una struttura fissa, come la piattaforma “Prirazlomnaya”.

Tatiana Nifontova, direttrice della società “GCE Ecologiya”, ritiene, a sua volta, che i metodi adottati da Greenpeace siano del tutto inefficaci, benché la sicurezza ambientale dell’Artico sia una questione molto attuale e importante. “Non si raggiungerà mai un dialogo costruttivo con azioni del genere. Per quanto riguarda la società Gazprom Neft Shelf, autorizzata a condurre estrazioni petrolifere sulla Prirazlomnaya, suppongo che essa rispetti tutte le disposizioni previste dalla legge e abbia condotto tutte le perizie necessarie, anche a livello ambientale, altrimenti non le sarebbe stato dato l’ok per iniziare le trivellazioni”, spiega l’esperto.

“L’ecologia dell’Artico - aggiunge - è stata discussa e viene tuttora dibattuta. Si tratta di una questione di importanza nazionale”. Ciò significa che il problema risiede nelle leggi che disciplinano la tutela dell’ambiente. Tatiana Nifontova ritiene che la legislazione ambientale russa sia “contraddittoria e incongruente”. “I documenti hanno bisogno di essere rivisti. Molte disposizioni, importanti dal punto di vista ambientale, sono prescritte solo a livello di direttive, senza però specificarne i dettagli. La questione dei rifiuti generati dalle trivellazioni offshore, ad esempio, rimane ancora aperta; dal punto di vista legale permangono delle evidenti lacune, - spiega la Nifontova. - Ma il problema è di natura sistemica, giacché tutta la legislazione ambientale è imperfetta. Vengono adottate delle misure per cercare di rimediare, ma la macchina legislativa rimane goffa e, purtroppo, lenta”.

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