Intervistato da Rossiyskaya Gazeta, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha parlato dei preparativi per la prossima conferenza sulla Siria, del problema della sicurezza nell’Artico e della risposta di Putin a una lettera del presidente Usa Barack Obama.
È possibile che la conferenza sulla Siria possa trasformarsi in una trappola per la Russia? Se fallisse, gli americani potrebbero dire: Ecco, la Russia voleva dei colloqui di pace e li abbiamo organizzati. L’esito però è stato nullo, e adesso faremo di testa nostra. Per poi passare a implementare la loro soluzione militare.
Potrebbe rivelarsi “una trappola” solo se le parti in causa agiranno frettolosamente. Per cominciare, i principali attori devono trovare un accordo. Il governo siriano si è detto pronto, e si è comportato in generale in modo costruttivo, malgrado dubiti che l’opposizione accetterà senza porre delle precondizioni, come stipulato dal Comunicato di Ginevra. Alla Conferenza dovranno essere rappresentati tutti i gruppi che compongono l’opposizione siriana, compresi quelli che agiscono dall’estero. Ci stiamo dando da fare (per assicurarci che l’opposizione prenda parte alla conferenza, ndr), e stiamo mandando dei segnali a tutti i gruppi dell’opposizione. Su alcuni abbiamo più influenza che su altri. Alcuni sono molto più influenzati dall’Occidente, dai Paesi del Golfo persico e dalla Turchia. Quindi dovrebbe esserci una “suddivisione dei compiti”.
Ci sono però altre entità – come l’Iran, ad esempio – la cui mancata partecipazione metterebbe a repentaglio il buon esito della Conferenza…
Tutti sembrano convenire sul fatto che chi partecipò all’incontro che si tenne a Ginevra il 30 giugno del 2012 debba prendere automaticamente parte alla Conferenza. Iran e Arabia Saudita non erano a Ginevra un anno fa: gli iraniani furono bloccati dai nostri partner americani, l’amministrazione Obama di allora. E i sauditi non furono invitati per “compensare” in un certo senso l’assenza dell’Iran. All’epoca ci sembrò un compromesso piuttosto infantile, un approccio non molto serio. Dobbiamo decidere: se la composizione dei partecipanti della Conferenza non sarà assolutamente rappresentativa, nel senso di essere in grado di influenzare tutte le parti in causa, rischiamo di sacrificare il successo della Conferenza a delle ambizioni e dei rancori personali.
Crede davvero che l’impasse siriano potrà essere risolto nell’arco dei pochi giorni della Conferenza?
Alcuni dei nostri partner – come ha affermato lo stesso John Kerry – ritengono che qualche giorno o una settimana dovrebbero bastare. Secondo me, è controproducente. Le conferenze che in passato hanno portato alla pace si sono protratte per mesi, o addirittura anni. Non voglio che in Siria accada lo stesso, ma fissare delle scadenze artificiali è controproducente.
A che punto si saprà con certezza quali sono le condizioni che l’opposizione siriana è disposta ad accettare?
Questa settimana si terranno due conferenze: una a Istanbul, dove l’opposizione si incontrerà sotto l’ombrello della Coalizione nazionale delle forze siriane rivoluzionarie e dell’opposizione, e un’altra, che avrà luogo più o meno nello stesso periodo a Madrid. Tra l’una e l’altra si terrà anche un incontro “nucleo centrale” degli Amici della Siria, che studierà l’atteggiamento da tenere riguardo all’iniziativa russo-americana. Dobbiamo aspettare di ricevere un segnale dall’opposizione, che si è sempre opposta a dei negoziati senza precondizioni. E se il segnale sarà positivo, potremo focalizzarci sui partecipanti della Conferenza, sulle norme che la governeranno, sulle regole che governeranno gli attori esterni, etc. E solo a quel punto potremo annunciarne la data.
Gli esperti affermano che riguardo alla Siria le differenze tra Russia e Usa si riducono a una domanda fondamentale: il presidente Bashar Assad dovrebbe dare le proprie dimissioni prima o dopo i negoziati di pace? Lei ha raggiunto un accordo con John Kerry riguardo a questo punto durante i vostri ultimi quattro incontri?
Gli Stati Uniti hanno accettato l’iniziativa russo-americana del 7 maggio 2013, che non prevede alcuna precondizione.
Il presidente Barack Obama riceverà presto dal presidente russo Vladimir Putin una risposta al proprio messaggio. E poi?
Occorre procedere per gradi. Barack Obama ha inviato un messaggio a Vladimir Putin. Il Presidente russo lo ha esaminato, e renderà nota la sua posizione riguardo ad alcuni punti chiave dei rapporti tra i due Paesi, come la difesa contro i missili balistici, la stabilità strategica e i fattori che la influenzano. Dopodiché aspetteremo una reazione alla nostra risposta.
Lei ha partecipato a un incontro del Consiglio Artico che si è tenuto a Kiruna, in Svezia. I Paesi occidentali hanno ripetutamente criticato la Russia, che ritengono stia alimentando una corsa all’armamento dell’Artico. Come risponde a queste accuse?
I Paesi che hanno dei confini settentrionali devono garantire la propria sicurezza in quelle regioni come in ogni altra parte del proprio territorio. È un assioma: a prescindere da chi sei e da chi sono i tuoi vicini, devi pensare alla tua sicurezza – anche da un punto di vista militare. Sarebbe da ingenui credere che nell’Artico questo principio non debba essere applicato. La nostra strategia dello sviluppo dell’Artico, che consideriamo una regione-chiave, prefigura un’ampia e intensa cooperazione internazionale.
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