IL REPORTAGE
CRIMEA
TRE ANNI DOPO
Viaggio nella penisola per capire cosa
è cambiato dopo l'adesione alla Russia
Dalle infrastrutture agli stipendi: come vivono oggi
i cittadini di questa penisola, passata dall'Unione Sovietica all'Ucraina, e dal marzo 2014 tornata di nuovo alla Russia?
Evgenij Levkovich
Giornalista
L'aeroporto di Simferopoli (1.230 chilometri a sud di Mosca) è l'unica via di accesso diretto da e verso la Crimea. La comunicazione via mare richiede tre scali. Mentre la ferrovia è ancora inesistente visto che la tratta in costruzione, che passerà intorno all'Ucraina, dovrebbe essere aperta a settembre di quest'anno. Il ponte Kerchenskij invece è atteso per la fine del 2018 e permetterà di raggiungere la Crimea in auto.

Così gli aerei qui atterrano ogni 10-15 minuti e sono quasi sempre pieni. Eppure non ci sono abbastanza turisti per i tassisti improvvisati del luogo. Una folla ci si avventa addosso all'uscita dal gate. E al nostro rifiuto bisbigliano alle spalle inferociti.

Il loro concorrente principale è il tram della città che in due ore e mezzo raggiunge Yalta (un centro turistico a 1.280 chilometri a sud di Mosca) percorrendo la costa meridionale della Crimea. Il biglietto costa 129 rubli (2,1 dollari) contro i 1.000 rubli (16,9 dollari) in contanti per il taxi e la differenza in termini di tempo non è significativa: la strada è comunque in pessime condizioni e il traffico è intenso.

Ai bordi dei marciapiedi ci sono montagne di immondizia. Yulia Minaeva, la nostra compagna di viaggio incontrata per caso, è un'insegnante di russo e dice ridendo che non tolgono la spazzatura dalla Crimea più o meno da quando è comparso il tram sul quale stiamo viaggiando (1959).

"L'Ucraina non se ne è mai occupata. La Russia nemmeno. Come si può portare via tutta questa roba? Con il traghetto? È già tanto che abbiano iniziato i lavori sulla strada che collega l'aeroporto alla città", dice Yulia Minaeva, insegnante

10%

i crimeani che non sanno
rispondere sulla situazione attuale
12%

i crimeani insoddisfatti
della situazione attuale
78%

i crimeani soddisfatti
della situazione attuale
Scendiamo verso il centro di Simferopoli, la seconda città per densità di popolazione della Crimea (336.460 abitanti). Per la recentissima storia della penisola è anche la più problematica poiché, oltre ai russi, ci abitano anche molti ucraini (12,07%) e tatari crimeani che in Occidente vengono considerati i maggiori sostenitori della rivolta contro l'Ucraina (8,31%).

Qui l'atmosfera non è affatto vacanziera: il centro è circondato su ogni lato da vecchi e cadenti edifici sovietici, banchi dei pegni, agenzie di credito che offrono denaro in 15 minuti, senza dover compilare nulla, e bar che vendono la shaurma, il kebab locale.

Entriamo in uno di questi locali per bere il primo caffè della mattina, ma la cameriera, una quarantenne con stivali dal tacco alto, leggings e una maglia di retina trasparente, all'inizio non vuole servirci: le regole non scritte dei luoghi di vacanza vogliono che l'ordine minimo sia di 100 rubli (1,6 dollari), mentre il caffè ne costa soltanto 80 (1,3 dollari). Così siamo costretti ad aggiungere un panino col wurstel.

A un tavolino è seduto un gruppo di quattro donne di una certa età. Ci uniamo a loro e io spiego che l'ultima volta che sono stato in città ero un ragazzo e che al momento non vedo alcuna differenza, non tanto dal momento dell'annessione alla Russia, ma da quello del distacco dall'URSS. "Basta guardare noi! – replica una di loro. – Siamo felici! Siamo tornati a casa, siamo di nuovo con la Russia, i bambini crescono senza la guerra. Già soltanto per questo viene voglia di sorridere!"
"Non stia a sentire questa scema, non è cambiato un bel niente, in compenso i prezzi sono diventati quelli di Mosca", la interrompe la sua amica.

Torniamo al nostro posto e le lasciamo continuare a discutere, ma a dire il vero c'è poco da stare a sentire. In Crimea è un atteggiamento comune: quando si dice che dopo l'arrivo della Russia le cose sono andate meglio o peggio, di regola nessuno sa spiegare a parole il perché. Si gioca tutto sul piano delle sensazioni personali, spesso dell'offesa: nei confronti del vecchio potere ucraino o di quello nuovo russo, a scelta.

L'edificio accanto al bar ospita la Direzione di controllo sui trasporti del Ministero degli Affari interni della Federazione Russa. Proviamo a entrare, convinti che senza il permesso dei superiori e un foglio ufficiale da Mosca nessuno abbia intenzione di rispondere alle nostre domande; invece restiamo stupiti dalla semplicità con cui ci rivolgono la parola. "Il lavoro è aumentato – dice Elena, una funzionaria della Sezione investigativa, senza nemmeno chiederci la tessera stampa. Le leggi russe sono molto diverse da quelle ucraine, soprattutto in merito alle infrazioni amministrative. È tutto più severo. E a Mosca fanno attenzione che i conti tornino".


Elena è nata in Crimea, a Feodosia, ha iniziato a lavorare nella polizia che allora era ucraina e tre anni fa è diventata russa. All'epoca avevano dato a ciascun funzionario un mese di tempo per decidere: licenziarsi o trasferirsi. Chiediamo se qualcuno nell'ufficio abbia rinunciato all'impiego. "Nemmeno uno. Erano tutti contenti di trovarsi in Russia. La maggior parte non sapeva nemmeno l'ucraino, ma lavoravano per l'Ucraina, Le pare possibile?".

"E con il giuramento come la mettiamo?", chiediamo. "Abbiamo giurato di servire il popolo e così facciamo. Nessuna differenza". Elena non vede cambiamenti nella routine quotidiana: non ha tempo, torna a casa la sera tardi, quando non rimane fuori tutta la notte. Ma ha sentito dire che stanno facendo delle strade nuove.
Simferopoli è piena di polizia e di soldati. La quantità di forze dell'ordine e il passaggio a una legislazione più severa come quella russa hanno fatto diminuire l'entusiasmo per l'annessione, anche se è fuori dubbio che in Crimea ci sia stato. La maggioranza disprezza il governo ucraino, ma è già svanito l'incanto per quello russo che ha restituito la Crimea.

Tra i delusi al primo posto ci sono i venditori del mercato che si sono visti togliere dal nuovo regime i banchetti in quasi tutta la penisola. "Prima ci mettevamo d'accordo con i criminali, ora dobbiamo farlo con i criminali, la nuova polizia e i funzionari da Mosca – spiega il padrone di una delle poche bancarelle rimaste sulla prospettiva Kirov -. La sola differenza è che adesso costa tre volte tanto".

"Per fortuna qui non c'è la guerra"
Ci dirigiamo verso la periferia della città per incontrare Rifat Bekirov, gestore del "Cortile di Crimea" (Krymskij dvorik), un ristorante famoso in tutta Simferopoli, punto di ritrovo soprattutto dei tatari crimeani, alla cui etnia appartiene lo stesso Rifat. Mentre ci serve da mangiare ci racconta che all'inizio guardava con sospetto l'annessione alla Russia, ma ora ne è felice.
"Sono cambiate tante cose e per il meglio. Basta pensare alla nuova scuola elementare in un quartiere abitato in maggioranza da tatari della Crimea. Dieci anni fa non riuscivano a finire di costruirla, la Russia ci ha messo un anno. È attrezzata come una qualsiasi scuola europea: ci sono laboratori informatici, palestre. Il ponte Kerchenskij è in costruzione, così come il nuovo terminal dell'aeroporto e la moschea. Il lavoro è ancora un problema, è vero, ma le pensioni sono aumentate. I tatari che hanno l'attestato di deportazione ricevono 500 rubli (8,4 dollari) in più. Ed è successo tutto da quando c'è la Russia al comando. Che c'è di male? La gente è così, vuole tutto e subito. Ma come fai a fare tutto subito se per decenni non si è mosso niente?".

Rifat è soddisfatto di come vanno gli affari sotto il sistema russo. "All'inizio per gli imprenditori è stata dura, ovvio: nuova registrazione, nuovi documenti, leggi diverse… Ma lavorare è diventato comunque più facile. Prima potevano venire 10 volte a farti l'ispezione fiscale, ora c'è meno pressione amministrativa".
Chiediamo allora da dove nasca il mito secondo cui una gran quantità di tatari crimeani sarebbe scontenta di come stanno le cose. La risposta di Rifat è filosofica: "Gli scontenti ci sono sotto qualunque regime. E il nostro popolo, avendo sofferto più di altri, ha per principio un rapporto di sfiducia verso qualsiasi apparato di governo. Mio nonno è stato perseguitato nel 1937 come kulak, era proprietario di una fabbrica di caramelle, hanno deportato lui e mia nonna in Asia Centrale. Ora però non vedo problemi di questo tipo: se paghi le tasse, non infrangi le leggi russe e non diffondi forme radicali di islamismo nessuno ti viene a cercare".

Non ci diamo per vinti e chiediamo a Bekirov di darci una percentuale di soddisfatti e insoddisfatti, sulla base di quanto vede con i propri occhi, che non è poco: dai leader del Majilis proibito in Russia ai tatari che lavorano nella nuova dirigenza dell'amministrazione comunale. Ci dà cifre che non ci aspettavamo: 70% di soddisfatti contro il 30% di insoddisfatti.
Non sono ancora comparsi dati statistici sulla Crimea per il 2017; secondo un sondaggio tra gli abitanti della penisola, effettuato dall'organizzazione "Opinione pubblica" l'anno scorso, il 78% si è detto soddisfatto della situazione nella regione,
il 12% è insoddisfatto e il 10% ha preferito non rispondere.
Sono cifre che abbiamo sentito più volte in giro per la Crimea, a eccezione di Sebastopoli (1.270 chilometri a sud di Mosca) in cui persino i più fervidi sostenitori dell'Ucraina ammettono che la maggioranza assoluta degli abitanti della città è a favore del governo russo. Salutandoci Bekirov fa un'ultima riflessione che in Crimea si sente dappertutto, anche da parte di chi non è contento del nuovo assetto: "Per fortuna qui non c'è la guerra".
La città della felicità
La tappa successiva è Yalta, uno dei principi luoghi di villeggiatura della Crimea. Il suo biglietto da visita: "la città della felicità", come recita l'enorme cartellone all'ingresso della città. La sporcizia e l'immondizia però non sono da meno che a Simferopoli, le strade sono nelle medesime, pessime, condizioni e l'accoglienza ai turisti rimane quella sovietica, cioè praticamente assente. Anche comprare qualche prodotto alimentare dopo le 10 di sera è un'impresa e ci sono soltanto un paio di caffè e ristoranti in tutta la città che lavorano di notte, finché non compaiono i tendoni estivi sul lungomare.
Qui i favorevoli e i contrari all'annessione alla Russia si dividono a seconda dell'impiego. I tassisti per esempio non nascondono una certa delusione. Attraversare la città costa al massimo 150 rubli (2,5 dollari) e la totalità dei tassisti che nel 2014 aveva votato al referendum per tornare a far parte della Russia (abbiamo parlato con più di venti conducenti) ora si lamenta del forte calo dello stipendio unito a un'impennata dei prezzi.
"Non sono diminuiti i turisti – dice Vladimir –, ma il loro portafoglio è sempre più vuoto. La Russia ci manda una quantità enorme di persone del governo o che appartengono a categorie con agevolazioni, in parole povere scrocconi che non comprano niente. E in gioco c'è la nostra vita".
Persino Andrej, membro della "milizie popolari di Yalta" e veterano della guerra in Afghanistan, impegnato nel 2014 a difendere gli edifici governativi su cui aveva fatto sventolare le bandiere russe, si sfoga mentre sta al volante: "Il lungomare lo hanno fatto bene, è vero. Grazie. Ma chi ci va? I russi ci hanno fregato alla grande. Tutti gridavano: 'La Crimea è nostra, ora andremo soltanto lì!' E poi in realtà scelgono la Turchia". Quando però gli facciamo notare che i crimeani sono gli unici colpevoli perché sono seduti su una montagna d'oro e non sanno togliere la spazzatura dalle strade e smettere di trattare male i viaggiatori (in termini di accoglienza turistica accade ogni secondo) sospira: "C'è del vero… Il potere lo puoi cambiare in un giorno, ma per cambiare un popolo ci vogliono decenni".
"L'Ucraina se ne è fregata per vent'anni"
Negli ambiti in cui la Russia ha potuto immettere miliardi di rubli del bilancio di Stato gli umori sono ben diversi. Nel 2017 verranno aggiunti altri 12 miliardi di rubli (203 milioni di dollari). L'ex colonia per bambini "Artek", che aveva tutto l'aspetto del tipico sanatorio sovietico, ora è uno splendido centro internazionale per l'infanzia di livello mondiale, con un'area sportiva e una spiaggia attrezzata e pulitissima. Accoglie più di 5.000 bambini all'anno e sembra venire da un altro pianeta, circondato dagli edifici cadenti che si trovano intorno.
Elina Luckaja, vicedirettrice dell'Ufficio per la formazione e l'istruzione guadagna 50.000 rubli al mese (847 dollari) ed è al settimo cielo. "Putin è in gamba! Dategli un bacio da parte mia! In tre anni ha fatto quello che l'Ucraina non è riuscita a fare in 20 anni. Se ne sono fregati e basta".
Secondo il ministro delle finanze della Crimea Irina Kiviko le entrate di bilancio per il 2016
ammontavano a 79,7 miliardi di rubli (1,37 miliardi di dollari).
Irina Belozerova, originaria di Yalta, per più di 15 anni ha lavorato all'amministrazione comunale ed è una delle organizzatrici del referendum del 2014; la domanda sull'apprezzamento per il governo russo la fa arrabbiare. "A essere scontento è soltanto chi non vuole lavorare! Oppure i vari 'capetti' che andavano in giro per gli uffici e a suon di tangenti facevano a Yalta tutto quello che gli passava per la testa. Qualche anno fa hanno costruito in mezzo al lungomare un mostruoso centro commerciale che copre per intero la vista sul mare. Le persone si sono indignate, hanno protestato, ma nessuno poteva farci niente: uno dei criminali locali lo voleva e non c'è stato verso. L'anno scorso l'hanno buttato giù. Ora con la Russia c'è molto più ordine".
Del referendum Irina parla con trasporto. "Non mi ricordo in vita mia un momento più estatico per la città. Io e le mie amiche piangevamo di gioia. Quando eravamo ancora sotto l'Ucraina e mi capitava in mano un passaporto russo pensavo sempre: quando lo avrò anche io? Mia figlia chiamava la grivna (la valuta ucraina) rublo, anche se non glielo aveva insegnato nessuno. Ci sentivamo russi in tutto, ma dovevamo vivere secondo leggi che non erano nostre, compilare documenti in una lingua per noi straniera".
Ospiti a casa propria
Sebastopoli, la meta finale del nostro viaggio, rispetto al resto della Crimea è un pianeta a parte. Pulizia, facciate delle case ristrutturate e ridipinte di bianco, lungomare tirato a lucido, passanti ben vestiti che non hanno nulla da invidiare ai coetanei europei (almeno per l'aspetto esteriore), skateboard, biciclette, scooter, cibo buono.

Sembra di essere in una cittadina del sud della Francia, ma è proprio dalle massicce iniziative pro-Russia di Sebastopoli che è iniziata la campagna di Crimea del 2014. Ancora oggi se ne può trovare traccia: un pezzo di una barricata improvvisata, un balcone ridipinto con i colori del tricolore russo, una bandiera rossa sovietica che sventola a una finestra, un nastro di San Giorgio, un ritratto di Putin che occupa un'intera parete, raffigurato come difensore di Sebastopoli.

"E questo non è niente, l'isteria ora è finita", ci dice Yulia, la nostra guida nella città, uno dei pochissimi cittadini che ha rinunciato alla cittadinanza russa nel 2014. Ora ha un permesso di residenza permanente che deve rinnovare ogni anno e con il quale non può essere assunta in maniera ufficiale.
"Mi consideravo e continuo a considerarmi ucraina, anche se sono nata a Orenburg, ma vivo a Sebastopoli da 39 anni".

Abbiamo scelto Yulia per la sua assoluta imparzialità. Passeggiamo per la piazza dell'ammiraglio Nachimov nella quale durante la primavera del 2014 i gruppi sostenitori della Russia avevano iniziato a radunare le prime unità di autodifesa; nonostante i locali la considerino una "traditrice", Yulia ammette senza riserve: dopo l'annessione c'è molto più ordine in città, l'acqua e la luce ora non mancano, cosa che non accadeva prima, hanno iniziato a ristrutturare le piazze, gli edifici, le strade e comunque un'altra soluzione che non prevedesse il ritorno di Sebastopoli alla Russia non era possibile.

"Di solito accusano l'Ucraina di non aver visto la Crimea, di non aver capito i suoi problemi. Ed è vero. Kiev non ha degnato di uno sguardo Sebastopoli, anche se è la città più imbevuta di patriottismo russo di tutta la Crimea ed è sempre stato così. 'Vieni, Russia!', 'Putin, prendici!', 'Vogliamo tornare a casa!': è tutta la vita che sento queste frasi".

Le chiediamo quanti hanno fatto la stessa scelta di Yulia. "Eravamo un migliaio circa. Metà se ne è già andata. Mille su quattrocentomila, una goccia nel mare. La 'primavera russa' non mi ha colto affatto di sorpresa".

Sentirsi chiamare russo è importante
La famiglia di Viktor Evdokimov racconta una storia totalmente diversa: moscovita di nascita ha lasciato tutto nella ricca capitale ed è venuto apposta in Crimea per viverci e contribuire al suo sviluppo. "Sì, sono proprio io l'occupante", scherza.
Passeggiamo sul lungomare con sua moglie Ksenja e la figlia Dana di undici anni che tra poco avrà una sorellina. A Mosca Ksenija aveva tutta un'altra idea politica: lavorava come direttore artistico del locale "Domani" (Zavtra) dove nel 2011, durante le proteste in piazza Bolotnaja, si era radunata l'opposizione anti-putiniana (con il permesso di Ksenija, ovviamente).

"La prima volta che sono venuta a Sebastopoli ero molto agitata - racconta -. A casa io e mio marito, che è un vero patriota russo, litigavamo come dei pazzi per capire di chi fosse la Crimea. Ma quando sono arrivata qui ho capito che Sebastopoli è a tutti gli effetti una città russa, 'la città dei marinai russi', come la chiamano, e dire che la sua annessione è stata un'occupazione forzata come minimo è una scemenza. Le persone sono contente, la città è piena di energie e, per quanto sembra strano che sia io a dirlo, in questa unificazione c'è del buono. E i marinai sono molto carini".

Suo marito, che a Mosca era urologo di successo, si è messo a fare il cameriere qui a Sebastopoli, ricominciando da zero, ma ribadisce che per lui è molto importante la 'russicità', anche se a tutto questo delirio patriottico guarda con ironia.

"Peraltro ora non si sente più, l'euforia è passata, così come l'attesa di un miracolo che sembrava dover arrivare da nulla: stipendi più alti, prodotti a un prezzo migliore, strade lastricate d'oro. Hanno già capito che i comfort hanno un costo. I prezzi sono diventati quelli di Mosca. Molte piccole imprese e commerci hanno dovuto chiudere, a causa delle sanzioni e delle leggi russe. Ci sono meno turisti. Nel 2014 sull'onda dell'annessione dalla Russia sono venuti tutti qui, si sono spaventati e sono tornati indietro. I servizi sono davvero terribili. Detto questo, gli abitanti di Sebastopoli ringraziano la Russia. Per molti la pietra dello scandalo era la questione linguistica. Qui la lingua ucraina era imposta a scuola, in televisione. Le persone invece si consideravano russe e volevano parlare soltanto in russo. Adesso in città c'è un solo negozio con l'insegna in ucraino, 'Sil'po'. Lavora tranquillo, nessuna minaccia".

Gli Evdokimov fanno progetti per il prossimo anno: vendere l'appartamento di Mosca e aggiungendo i risparmi che hanno comprarsi un appartamento a Sebastopoli (per ora sono in affitto), aprire un bar e farlo diventare il più conosciuto tra i turisti. "Non sono tante le cose che sono in grado di fare", scherza Ksenija a questo proposito.

Inizia a imbrunire e sul lungomare un fisarmonicista con l'uniforme dei marinai della flotta del Mar Nero intona una canzone russa di guerra, "Notte scura", seguita da "Il giorno della vittoria". C'è marzo alle porte, non maggio – mese in cui si celebra il giorno della Vittoria – ma le signore anziane gli fanno capannello e cantano con entusiasmo.

Testo — Evgenij Levkovich
Editing — Maksim Korshunov
Design e layout — Polina Kortina
Credit Immagini — Sergej Melikhov,
Reuters, Legion Media, Getty Images
Vladimir Astapkovich/RIA Novosti
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