“Scusate, oggi abbiamo un evento chiuso, l’ingresso è solo per chi è in lista. A sbarrarmi la strada è il solito odioso addetto al “face control”.
Esamino nervosamente me stessa e l’amica che è al mio fianco: siamo entrambe ben vestite e truccate, con le giacche di pelle, e la mia amica ha pure la gonna e i tacchi alti! Non c’è niente che possa giustificare un “net” al nostro ingresso in questo cluster di locali dove il costo medio di una bevuta è 500 rubli (5,70 euro) e dove c’è anche il bar più piccolo del mondo.
Mentre ci chiediamo cosa c’è che non va in noi, l’uomo del face control consente di entrare a due ragazze che hanno indosso mastodontiche scarpe da ginnastica, pantaloni larghi da palestra e brillantini sotto gli occhi, come se fossero venute qui subito dopo aver finito di girare un nuovo video per TikTok.
Siamo condannate a renderci conto che non siamo di tendenza e usiamo la nostra ultima arma: i tesserini da giornalista. Un minuto dopo, ci troviamo davanti a delle porte che assomigliano all’ingresso del negozio di Garrick Olivander, quello dove Harry Potter acquistò la sua prima bacchetta magica. Sopra due finestre c’è il nome eloquente del bar: “Trojnichok” (diminutivo vezzeggiativo della parola “trio”), e sulla porta c’è il cartello “Chiuso”, il che significa che c’è già il tutto esaurito.
Secondo le regole della casa, solo due visitatori e un barista possono stare in contemporanea nel bar e il tempo massimo per la bevuta non deve superare i 30 minuti. Non puoi prenotare il tavolo in anticipo e puoi venire solo il venerdì o il sabato (il bar è aperto solo in questi due giorni) e aspettare il tuo turno in fila o andare in altri locali nella speranza che dopo un po’ il locale venga lasciato libero.
Abbiamo aspettato lì davanti circa 40 minuti: in tutto questo tempo, i nuovi visitatori di questo cluster di bar hanno continuato a presentarsi davanti al “Trojnichok”, sbirciando a volte dentro le finestre, ma nessuno alla fine si è messo in fila, preferendo strutture più economiche. Infine, la porta si è aperta e due ragazze ridenti sono uscite dal bar. Con la speranza di ottenere lo stesso divertimento siamo entrate.
All’ingresso del “Trojnichok”, ci siamo trovate davanti pareti con mosaici di vetro e innumerevoli bottiglie, lampadari vintage e un ragazzo che sorrideva raggiante; Anton, il nostro barista. Per ricordare almeno un po’ l’epoca dei nostri viaggi all’estero pre Covid-19, ordiniamo una sangria, ma non c’è.
“Non sono un mago, facciamo cocktail entro limiti ragionevoli, ma posso fare qualcosa di simile usando del vino”, dice il barista e, ricevuto il nostro consenso, inizia a darsi da fare con bottiglie e bicchieri.
C’è un silenzio mortale nell’aria, rotto solo dal suono dello shaker. Ci mancano davvero i tavoli di clienti chiassosi dei bar normali. Siamo imbarazzate a parlare di argomenti personali, sapendo che una terza persona ovviamente entrerà nelle nostre conversazioni. Taciamo e il barista non sa come tenere vivo un dialogo che non esiste. Dice che già da due settimane si formano ore di fila fuori dal bar, e che siamo fortunate ad aver aspettato così poco.
Per alleviare in qualche modo la tensione generale, comincio a ricordare quando ho provato la vodka per la prima volta nella mia vita. Alla fine della storia, Anton mette sul bancone un cocktail dolciastro dall’aroma di vino, beviamo un sorso e…
“Ma scusa, perché mai fare un mutuo qui se voglio vivere in America? E non mi piacciono i ragazzi russi, voglio un americano!”, dichiara la mia amica, bevendo l’ultimo sorso del cocktail, anche se mi sembra che sia passato non più di un minuto da quando Anton ce lo ha servito.
“E sposati un americano allora”, borbotto io.
“Ma solo per amore, non ci andrò a letto per soldi!”, fa lei.
“Tutto solo per amore! Ragazze, a me il mutuo non me lo danno proprio. Secondo i documenti, il mio stipendio è di soli 20 mila rubli al mese [228 euro]!”, interviene Anton, bevendo acqua invece che un cocktail.
Guardo l’orologio e mi rendo conto che in realtà è passata quasi un’ora! E non ricordo assolutamente come il nostro dialogo si sia trasformato nella tipica confessione tra donne che bevono nella cucina di un appartamento da qualche parte alla periferia di Mosca. Anche l’assenza di musica e rumori estranei deve aver cessato presto di infastidire: i nostri dialoghi ci sembravano molto più importanti.
Dopo aver pagato i cocktail (700 rubli; quasi 8 euro, a testa), io e la mia amica ci siamo spostate in un altro bar, anch’esso tranquillo.
Tornando a casa, abbiamo discusso del fatto che sarebbe utile installare tali strutture, così intime, negli aeroporti e nelle stazioni ferroviarie, per passare piacevolmente il tempo in attesa. E che di ballare al ritmo dei dj set in locali affollatissimi, oggi, e forse per le prossime settimane, non ne abbiamo proprio voglia: l’esperienza al “Trojnichok” ci ha proprio conquistate!
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