Trovare questa nuova meta culturale nella più famosa via pedonale di Mosca si è rivelato piuttosto complicato. Il raggiungimento della meta è continuamente ostacolato da imbonitori in costume e promoter vari, bancarelle di souvenir, piccoli negozietti e una gran varietà di ristoranti. Nel punto desiderato, fino al quale mi ha guidato il navigatore sullo smartphone, se ne sta tutto rannicchiato, a causa del freddo umido di questa giornata, un venditore di matrioske, colbacchi, busti di Lenin, Stalin e, chissà perché, Trump.
Mi sbarra la strada un principe dall’armatura argentata, che va a caccia di turisti per delle foto a pagamento. Dopo avermi scroccato una sigaretta, mi spiega che il museo si trova nel piano sotterraneo, “là dove c’è un uomo con tanti capelli dietro a una porta a vetro”.
Il fondatore del museo, Valerij Pereverzev, in effetti si è rivelato avere una folta capigliatura nera e una non meno folta e lunga barba. Stava accompagnando l’ennesimo gruppo di turisti, che erano chiaramente molto impressionati. Perlomeno, mentre scendevo nello scantinato, ho sentito risuonare almeno dieci volte parole come “figo!”, “wow”, “niente male!”. Il museo di Storia della Prostituzione ha trovato sede nei locali delle toilette di un’altra creazione di Pereverzev: il Museo di Storia della Tortura, che Valerij ha aperto otto anni fa.
Il padrone di casa mi fa garbatamente strada, sganciando la corda rossa tesa tra due paletti dorati che chiudeva l’ingresso. Una volta entrato sono circondato da una collezione insolita: contraccettivi di prima della Rivoluzione del 1917, mutande da donna e reggiseni, e tiro un sospiro di sollievo.
Per strada, arrivando qui, avevo letto diverse recensioni scritte da vari giornalisti e opinionisti della capitale sulla “volgarità” di questo posto e avevo cercato di immaginare come mi sarei aggirato in questo insolito museo, se con uno sguardo intelligente o con uno sguardo disturbato. Ma non c’era molto da aggirarsi. Il museo, il cui biglietto d’ingresso costa 100 rubli (1,37 euro), occupa uno spazio così piccolo che è sufficiente ruotare su se stessi a 360 gradi per vedere l’intera esposizione.
Alle pareti sono appese fotografie di prostitute di fine del XIX - inizio XX secolo, sul pavimento ci sono libri e bambole rotte. Sui ripiani sono esposte delle boccette. Una cintura di castità per uomo è appesa sopra un water rosso, e più là c’è una tinozza con una palma. Mentre aspettavo che il proprietario finisse di chiacchierare con degli amici di una certa festa con skinhead finita in rissa, ho avuto tempo di riguardare tre volte tutti gli oggetti esposti.
“Sì, è una toilette. È arte da cesso”, inizia a spiegarmi Pereverzev.
“Ma, è tutto qui?”, chiedo. Sono un po’ confuso.
“… chi viene qui deve essere ingannato. Avere una reazione come il suo ‘Ma, è tutto qui?’. Questo è il principio di base della prostituzione”, prosegue Valerij.
Era così compiaciuto da quello che raccontava, da non prestare grande attenzione alle mie rimostranze. Secondo la sua concezione, la visita del museo deve generare una sensazione di sporcizia, imbarazzo e vergogna.
“Una persona entra e si siede qua”, e Valerij mi ha liberato la poltrona sulla quale sedeva fino a quel momento, e mi sono ritrovato tra biancheria appesa e un pezzo di carne incomprensibile conservata sotto spirito in un barattolo. “Il visitatore non capisce, chi si sia seduto qui, se un secchione sfigato, un maniaco, o qualche pazzo. Ma qualcuno era qui, ed è appena uscito. Proprio come con una prostituta. E questo ti mette a disagio…”.
“In realtà la poltrona è piuttosto comoda e qui fa più caldo che fuori sull’Arbat”, lo contraddico io.
Una volta finita la parte introduttiva, chiedo quanto tempo ci abbia messo a raccogliere gli oggetti della collezione. Perlomeno quella parte che può essere considerata antiquariato e non roba tirata fuori da qualche scatolone in garage. Valerij mi risponde di essere “esperto di aste e mercato antiquario, per cui trova tutto velocemente”, e che colleziona anche cappelli da marinaio. Ma non per metterli in mostra.
“Come le è saltata in mente l’idea di fondare un Museo della Prostituzione?”, chiedo, alzandomi dalla comoda poltrona “del maniaco o del secchione”.
“È un’idea che avevo da molto tempo. Era convinto che avrebbe fatto colpo e impressionato. Ma non sapevo come dovesse apparire. L’idea della toilette mi è venuta tre settimane fa. Ho solo detto… lo farò al cesso. Non so perché. Ho subito sottoposto il progetto al ‘Dipartimento dei sani di mente’, che poi sarebbe mia moglie. Lei ha detto che sarebbe stata una figata”, spiega il fondatore del museo.
“Gli attivisti ortodossi hanno minacciato di farvi chiudere. Come avete risolto la questione?”, ho proseguito io, proprio mentre sulla porta appariva un nuovo visitatore.
“Gli attivisti ortodossi sono venuti oggi. Io ho detto loro che il museo è nel gabinetto. Si sono meravigliati, perché si preparavano a ‘spaccare tutto’. Alla fine ci siamo stretti la mano e mi hanno persino augurato ‘successo’. Per cui, tutto a posto”, conclude con ottimismo Valerij.
“E chi sono i visitatori tipo a cui il museo si rivolge?”. “Purtroppo gli ‘intellettuali’ russi. Dico ‘purtroppo’ perché è una popolazione piuttosto ristretta”, dice.
Al momento dei saluti, proprio come gli ortodossi gli ho stretto la mano e gli ho augurato successo. Non mi dava pace la domanda se io facessi parte o meno di quel ristretto club degli intellettuali russi. All’uscita c’erano un po’ delle persone che avevo visto nel museo. Si sono rivelati essere turisti provenienti da Amsterdam. In un russo piuttosto stentato mi hanno detto che certo, nulla di paragonabile a quello che si trova da loro in patria, ma che come inizio non c’è male.
Viaggio nei musei nascosti di Mosca
Per utilizzare i materiali di Russia Beyond è obbligatorio indicare il link al pezzo originale
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email