Immaginate di alzare il telefono, chiamare i vostri genitori in Australia e annunciare loro che siete incinta. E che desiderate partorire il bambino a Mosca, lontano da casa, in quella che negli ultimi tempi è diventata la vostra seconda patria. La notizia per mamma e papà è stata scioccante.
Io e il mio compagno, originario del Perù, ci siamo sempre ritenuti una coppia internazionale: ci siamo conosciuti in Argentina, paese che nessuno dei due ha mai chiamato “casa”. Siamo degli zingari del nuovo millennio: passare da un paese all’altro, esplorare nuove culture, conoscere nuove lingue. È questo quello che abbiamo fatto fino ad ora. Poi è arrivata la Russia. Non l’abbiamo scelta, è stata la Russia a scegliere noi.
Il mio compagno ha infatti ottenuto una borsa di studio molto interessante a Mosca. E così ci siamo trasferiti. Eravamo in Russia da un anno e mezzo quando io sono rimasta incinta. È stato allora che abbiamo iniziato a sentire questo paese come casa nostra. Ormai non era più un semplice luogo di passaggio.
Era la fine di novembre 2017. Mosca era avvolta dal solito gelo di inizio inverno. Avevo avuto una settimana di lavoro abbastanza impegnativa, ma a parte questo tutto scorreva come al solito. Fino a quando l’unica cosa che nella mia vita avrebbe dovuto arrivare puntuale, come sempre, non si è presentata. È stato in quel momento che ho sospettato di essere incinta.
La conferma è arrivata con un esame del sangue e un’ecografia realizzati nella clinica dove mi rivolgevo di solito in caso di visite mediche, la Medok Perinatal. Dopo lo shock iniziale, giunse il momento di chiedersi dove avremmo avuto il nostro bambino. La decisione fu abbastanza rapida: a Mosca, in Russia.
Il Perù era troppo lontano rispetto al mio paese d’origine, e l’Australia... beh, potete immaginare voi stessi la difficoltà che avrebbe comportato per il mio partner trasferirsi là. Avevamo già superato molti traguardi come coppia e abbiamo deciso di affrontare anche questa sfida, seppur lontani ognuno dalla propria famiglia. La Russia, poi, ci sembrava il paese geograficamente più neutro.
Il passo successivo fu comunicare la notizia alla mia famiglia. Avevo già programmato di tornare a casa per le festività natalizie, e così ho colto l’occasione per annunciare il lieto evento di persona. L’entusiasmo è stato grande! Ma dopo l’emozione iniziale, hanno iniziato a piovere le domande. Dove partorirai? Il bimbo sarà australiano? Come, rimarrete a Mosca? E il sistema sanitario russo com’è? Le ostretiche come sono? Là non ci sarà nessuno ad aiutarti, da sola sarà davvero difficile.
Tutte le persone con le quali ho parlato sollevavano gli stessi dubbi e le stesse questioni. In realtà, nessuna di loro era mai stata in Russia dopo gli anni Novanta.
L’inizio della gravidanza non è stato semplice. Sono stata colta da numerose nausee e non riuscivo a mangiare e a bere quasi nulla. Dopo quasi tre settimane di ferie imposte dal malessere, finalmente riuscii a tornare a lavorare.
In quel momento ho iniziato a cercare l’ospedale dove avrei potuto partorire. L’inizio non è stato dei migliori: mi sono iscritta a un corso preparto per gli stranieri organizzato nel Perinatal Medical Centre (PMC) di Mosca, e lì le informazioni che ci davano facevano pensare che qualsiasi altra clinica diversa da quella sarebbe stata al pari di un ospedale del terzo mondo. Credo che stessero semplicemente cercando di convincerci a partorire in quella clinica, non per niente è una delle più costose della città.
Non è stato piacevole che avessero cercato di manipolarci in questo modo, e ciò mi ha creato diversi dubbi sulla decisione di partorire in Russia.
Così decisi di vedere di persona qualche ospedale della città. E appresi che ogni clinica offre servizi a pagamento, con prezzi che variano notevolmente a seconda del medico e dell’assistenza che si desidera. Offrono anche l’opzione di restare in una stanza singola dopo il parto. Sono rimasta sbalordita davanti al primo ospedale in cui sono stata: il sapone nei bagni era tenuto all’interno di una vecchia bottiglia della Coca Cola! In altre cliniche poi sono stata accolta da gente scorbutica, che mi ha scoraggiato tantissimo. Così iniziai a credere che le ostretiche del Perinatal Medical Centre avessero semplicemente ragione.
Poi sono capitata al Roddom 26 (Maternity Hospital 26), e lì ho capito che ero in buone mani. Ho conosciuto una persona adorabile, la dottoressa Evgeniya Belonogova. Nonostante parlasse solo russo, siamo riuscite a comunicare piuttosto bene e la sua pazienza si è rivelata per me una manna dal cielo.
Con il mio compagno abbiamo sempre pensato che avrebbe dovuto essere presente durante il parto. Fortunatamente non abbiamo dovuto pagare nulla di extra per la sua presenza (alcune cliniche richiedono un pagamento aggiuntivo).
Il giorno della scadenza è passato come nulla fosse: il bimbo non sembrava affatto intenzionato a nascere. Alla 41esima settimana mi hanno indotto il parto. Quattro ore dopo, è nato mio figlio. Il nome ovviamente non poteva che essere russo, e abbiamo voluto rendere omaggio a Fyodor Dostoevskij.
Partorire a Mosca, pagando di tasca nostra, ci è costato 200.000 rubli (circa 3.000 dollari). La clinica che ha seguito per tutta la durata della gravidanza ha voluto 89.000 rubli (1.300 dollari), pagabili in due rate. Durante i controlli sono sempre stata seguita dallo stesso medico, e ciò ci ha permesso di costruire un bel rapporto medico-paziente.
Il contratto con la clinica dove è nato mio figlio, Roddom 26 (un ospedale russo a gestione pubblica), iniziato alla 36esima settimana di gravidanza, è costato 101.000 rubli (1.500 dollari). Il costo comprendeva un medico privato e una stanza privata nel reparto maternità.
Nonostante lo scetticismo e le iniziali impressioni negative, sono stata in grado di affrontare una gravidanza serena e partorire abbastanza comodamente. Certo, ci sono stati giorni in cui mi sembrava di essere finita in una situazione impossibile da gestire. Ero molto spaventata, temevo di non capire o di essere fraintesa per via della barriera linguistica. Un’esperienza che di sicuro non si può paragonare con quella di altre donne che hanno partorito nel proprio paese d’origine, parlando nella propria lingua madre.
Fortunatamente lo staff medico è stato comprensivo e ha affrontato con pazienza il fatto che il mio russo non fosse un granché. È stata per me una vera prova di forza. E ora, guardandomi indietro, mi sento una persona più forte.
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