Tecnologia, dal Forum di Sochi

la Russia guarda oltre Usa e Europa

Il premier russo Dmitri Medvedev durante un’intervista all’Expo Center nel Parco Olimpico di Sochi (Foto: Aleksandr Astafyev / RIA Novosti)

Il premier russo Dmitri Medvedev durante un’intervista all’Expo Center nel Parco Olimpico di Sochi (Foto: Aleksandr Astafyev / RIA Novosti)

Il premier Dmitri Medvedev ha incaricato i rappresentanti del commercio russo all’estero di individuare nuove tecnologie oltre i confini di Stati Uniti e Unione Europea. Nella Federazione verrà inoltre creato un fondo per lo sviluppo della produzione, al fine di sostenere le medie imprese interessate ad attirare finanziamenti non bancari

Il primo ministro Dmitri Medvedev ha dato il compito ai rappresentanti del commercio russo all'estero di cercare nuove tecnologie altrove, oltre i confini di USA e UE. “Bisogna trarre vantaggio dalla situazione costituitasi con le sanzioni e trovare nuove opportunità di crescita. Si tratta di una sorta di protezionismo al quale non abbiamo mai voluto ricorrere e al quale ci hanno spinti”, ha dichiarato il premier russo al forum internazionale degli investimenti a Sochi. In particolare, secondo le sue parole, una delle direzioni dello sviluppo in clima di sanzioni deve essere quella della creazione di tecnologie proprie, unita alla ricerca di fornitori alternativi. “Ho invitato i nostri rappresentanti del commercio all'estero a individuare nuovi importatori di attrezzature altamente tecnologiche”, ha aggiunto il premier Dmitri Medvedev. Inoltre, secondo la sua opinione, le imprese russe sono in condizioni di produrre tecnologie sul territorio del proprio paese. A tale scopo in particolare verrà costituito un fondo per lo sviluppo della produzione volto al sostegno innanzitutto delle medie imprese interessate ad attrarne i finanziamenti. Per il raggiungimento di questi obiettivi, lo stato verserà 18 miliardi di rubli (470 milioni di dollari). “Fra le difficoltà e i problemi si apre sempre un'opportunità positiva, che bisogna saper sfruttare”, ha affermato.

L'influenza delle sanzioni

Le nuove sanzioni contro la Russia pubblicate dagli Stati Uniti il 14 settembre, sulla scia di quelle europee, riguardano non solo le compagnie petrolifere statali Rosneft e Gazprom ma anche le private Lukoil e Surgutneftegas. Come ha specificato il Ministero degli Esteri americano, il divieto sulla fornitura di tecnologia e servizi riguarda i progetti sottomarini, marini artici e di estrazione di gas di scisto in territorio e in acque russe, ovunque vi sia “un potenziale di estrazione di petrolio”. Le misure americane ed europee limitano la riesportazione di prodotti, servizi o macchinari per piattaforme off-shore o per l'estrazione di shale gas a tutte le compagnie facenti parte della lista. 

“L'ultimo pacchetto di sanzioni da parte degli USA era fondamentalmente volto a far intendere che nessuna compagnia può sentirsi al sicuro. Se in precedenza, tutte le misure erano indirizzate alle aziende strettamente affiliate allo stato e agli istituti di credito, ora anche le compagnie private ne hanno avvertito il peso”, ritiene Anton Soroko, analista della holding d'investimento FINAM. Secondo le sue parole, ciò contraddice in parte le dichiarazioni dei paesi occidentali, dal momento che tali provvedimenti si posizionano come armi contro la Russia. Queste misure sono dunque volte a esercitare pressione sullo stato, non sulle compagnie private, come sostiene Soroko.

“Lukoil è tradizionalmente considerato modello del business russo strettamente privato, un grande flottante a scarsa attività politica e alta trasparenza, senza alcuna partecipazione dello stato”, concorda l'analista capo UFS IC Il'ja Balakirev. Inoltre, secondo la sua dichiarazione, la compagnia sta conducendo un progetto di sviluppo dell'impianto off-shore sul mar Caspio e ha annunciato anche una serie di progetti in collaborazione con le aziende europeee. “Forse a questi progetti bisognerà rinunciare, anche se per le dimensioni della compagnia, si tratta tuttavia di volumi trascurabili di estrazione”, dice Balakirev.

Gli effetti in scala

Secondo le parole degli esperti, il divieto sull'esportazione di tecnologie influisce in primo luogo su Rosneft, compagnia che controlla 44 impianti off-shore con riserve pari a 42 miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio. L'azienda aveva già cominciato il suo lavoro su 23 di queste piattaforme. Nel 2011 Rosneft aveva firmato un accordo con l'amaricana ExxonMobil per l'estrazione del petrolio nel mare di Kara e nel mar Nero. Secondo dati Bloomberg, ExxonMobil potrebbe già sospendere l'esplorazione del pozzo “Universitetskaja-1” nel mare di Kara. In tal caso Rosneft, secondo le condizioni del contratto, dovrebbe restituire alla compagnia americana i soldi spesi nel progetto (fino a 3,2 miliardi di dollari). Similemente dovrebbe fare anche Lukoil, con le sue grandi riserve scoperte nel mar Caspio, pari a circa 630 tonnellate equivalenti di petrolio. Nel 2014 tra l'altro, la compagnia aveva concluso un accordo con la francese Total.

Tuttavia, come ricorda Anton Soroko, in tutte le sanzioni introdotte c'è un grande disclaimer: esse sono estendibili esclusivamente ai contratti nuovi e non avrebbero pertanto forza retroattiva sugli accordi stipulati in precedenza. In questo caso, secondo le sue parole, non si può dire che le compagnie russe siano state private delle tecnologie: le restrizioni non si applicano infatti ai contratti vecchi. “Le compagnie petrolifere in Russia stanno ora meglio di altri settori, questo perché l'esportazione di risorse energetiche provenienti dalla Russia è molto importante per i nostri partner occidentali, ed è proprio per questo motivo che non si decidono a introdurre sanzioni che vincolino in maniera effettiva la corrente attività delle aziende energetiche”, aggiunge Anton Soroko.

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