A Milano al Festival dell’Energia (Foto: Alex Salin)
L’Europa non può farcela senza il gas russo, ma anche la Russia ha bisogno dell’Europa. Questa la conclusione unanime alla quale sono giunti gli esperti che hanno partecipato, la settimana scorsa a Milano, al Festival dell’Energia. Tra gli argomenti più seguiti, il seminario “Russia, USA, Europa: il gas e il castello dei destini incrociati”.
A fine marzo Barack Obama a Bruxelles ha detto che potrebbe portare il gas americano in Europa, liberando il Vecchio continente dalla dipendenza dalla Russia. Le sue parole hanno fatto crescere l’interesse verso lo shale gas, e tanti ne hanno cominciato a parlare, persino Report di Milena Gabanelli, che ha presentato lo shale gas come un demone che distrugge il mondo. E anche Leonardo Maugeri, ex direttore delle strategie Eni e adesso professore ad Harvard, all’apertura del Festival, il 15 maggio, si diceva sicuro: “Non c’è futuro per lo shale gas in Europa. E anche quello americano non salverà l’Europa, a causa del volume molto limitato”.
Naturalmente al seminario si è parlato di shale gas. Grazie a questo, gli Usa sono diventati il maggior produttore di gas al mondo scavalcando la Russia, ma - come ricorda Evgeny Utkin, direttore Partner N1 - gli USA sono anche il maggior consumatore mondiale, con un bilancio ancora negativo. E quindi, “prima di parlare di export del suo shale gas, l’America dovrebbe ridurne il consumo, magari applicando le norme europee di efficienza energetica, e costruire impianti di liquefazione e navi-gasiere. Ci vorrà qualche anno e, se ci riuscirà, la destinazione principale sarà il mercato asiatico”. In Europa, per le rigidi regole ambientali, per la densa popolazione e in seguito all’effetto NIMBY, sarà difficile assistere a un rapido sviluppo di questa tecnologia. Probabilmente solo in Ucraina potranno sviluppare shale gas, perché “quando ti sparano addosso è difficile pensare ai problemi ambientali”.
Un momento della conferenza (Foto: Alex Salin)
Matteo Verda, ricercatore associato dell'ISPI, nello spiegare il mercato italiano del gas ha fatto notare che l’Italia dipende per un terzo dal gas russo, e nel Belpaese quel gas arriva attraverso l’Ucraina. Quindi, il conflitto potrebbe avere delle conseguenze per Italia, anche se non subito. “La dipendenza europea dalle importazioni di energie fossili è un dato strutturale e l'Europa non può fare a meno di cooperare coi propri fornitori. La diffusione delle rinnovabili richiederà tempo e le importazioni di gas, petrolio e carbone rappresentano un elemento chiave per la competitività delle nostre economie”.
Ma cosa si può fare per migliorare l’approvvigionamento del gas in Italia? Costruire nuovi gasdotti, come TAP, che porterà gas azero in Italia attraverso Grecia e Albania. Ma, come dice Giampaolo Russo, Amministratore Delegato TAP Italia, “è difficile capire l’opposizione locale ad un progetto che porta beneficio all’Italia e che comporta la diminuzione dei costi della bolletta. Ma anche South Stream, come aggiunge Utkin, che oltre alla diversificazione delle strade (evitando l’Ucraina), darebbe lavoro agli italiani. Da ricordare che Saipem ha vinto il contratto di posa dei tubi sotto il Mar Nero, per un valore di 2 miliardi di euro.
Altra soluzione per l’Italia la propone Andrea Paliani, Partner Ernst&Young: “Estrarre di più in Italia, cosa che porterebbe fra gli 80 e i 100mila posti di lavoro. In Italia c’è una grande expertise di gestione dei rischi ambientali: siamo fra i migliori al mondo”. Ma provate a dirlo agli ambientalisti italiani, che hanno scoperto che persino le turbine eoliche “disturbano gli uccelli”. Insomma, l’Italia e l’Europa in generale “hanno bisogno del gas russo, ma se l’Europa per motivi di autolesionismo vuole troncare i rifornimenti russi, per la Russia è aperta la strada verso la Cina”, afferma Utkin, “anche se la Russia preferisce l’Europa”.
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