Il centro benessere Ordzhonikidze di Sochi, oggi in stato di abbandono (Foto: Mikhail Mordasov)
L’albergo-centro benessere Ordzhonikidze era fra le attrazioni principali di Sochi. Uno di quei luoghi che riempiva di orgoglio la città. Realizzato dai commissari di Stalin negli anni Trenta, oggi è un palazzo quasi interamente abbandonato. Davanti all’albergo si trova una fontana decorata da tre statue di nudi: la principale attrazione di Sochi durante l’epoca sovietica. Per anni biglietto da visita della località affacciata sul Mar Nero. Oggi la vasca della fontana è vuota.
In posa davanti alla fontana, ricoperta da foglie secche, un gruppo di studenti scatta delle foto: stanno lavorano al progetto “La bellezza che scompare”. Secondo questi ragazzi, le pareti di marmo e le solide colonne ormai in rovina sono il simbolo della trascuratezza nella quale versa la loro città.
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Olimpiadi, cosa resterà di Sochi |
Fino a qualche tempo fa, migliaia di turisti potevano godere della variopinta molteplicità dei giardini e dei parchi di Sochi. Si restava a bocca aperta davanti alle bellissime aiuole e ai getti d’acqua delle fontane. E le coppie si baciavano sulle terrazze che si specchiavano sul Mar Nero.
Ma la corsa ai Giochi Olimpici ha preso il sopravvento su tutto. E ha fatto affluire in città folle di appaltatori, operai, gru e ruspe. Ciò che restava del sogno di Stalin, che voleva fare di Sochi la Riviera sovietica, è andato infranto neal caos dei cantieri edilizi. Tra il vetro e il cemento che affiorano là dove un tempo sorgevano le magnolie e le viti di uva di romantici giardini.
Fuori dal cancello di Ordzhonikidze c’è chi aspetta in fila alla fermata dell’autobus sul viale Kurortny, l’unica strada importante di Sochi. I turisti si lamentano per la lentezza del traffico, dei prezzi alle stelle, della polvere dovuta ai lavori.
Valeria Smirnova, 19 anni, autrice del progetto “La bellezza che scompare” (Foto: Anna Nemtsova)
Le speranze andate in fumo
“Pensavamo che qui ci saremmo risparmiati gli ingorghi di automobili che ci sono a Mosca. Io sognavo di passeggiare nel parco Dendrarium. Ma Sochi non è più la stessa. Le strade sono intasate dal traffico e il nostro parco preferito è chiuso”, dice Lyubov Zakaruva, una pensionata moscovita, da anni fedele a questo luogo di villeggiatura.
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Sensazioni comuni anche alle ragazze sedute su una scalinata vicina. “Documentiamo i problemi ambientali di questa città sulle pagine dei nostri social network - spiega Valeria Smirnova, 19 anni, studentessa di giornalismo -. È triste veder scomparire le cose più belle. Postando le foto che facciamo ai delfini morti sulle spiagge cittadine, scrivendo degli alberi che muoiono e delle trote avvelenate nel fiume Mzymta, ci auguriamo che le autorità prestino maggiore attenzione. E pensiamo alla popolazione che continuerà a vivere qui dopo la fine dei Giochi Olimpici”.
Due anni fa le autorità hanno chiuso l’hotel Ordzhonikidze per ristrutturarlo: lo circondarono con un’alta recinzione di metallo e all’ingresso misero un cartello che ne proibisce l’ingresso. Oggi nessuno sa quando riaprirà. Ha smesso di funzionare anche la funicolare che un tempo portava turisti e residenti alle spiagge. L’umidità e gli agenti atmosferici stanno avendo la meglio sui muri sgretolati di Sochi. Altrettanto preoccupante è il fatto che le autorità stanno continuando a demolire centinaia di edifici pubblici e privati per realizzare gli impianti che ospiteranno le competizioni. Soltanto questa estate le case abbattute dalle ruspe sono state 400.
Yulia Saltykova, a sinistra, insieme alla famiglia (Foto: Anna Nemtsova)
Il triste presagio delle ruspe
Continua la demolizione degli edifici che “sbarrano” la strada per la realizzazione degli impianti olimpici. Abbattere una casetta di piccole dimensioni, allo Stato costa tre milioni di rubli (circa 70mila euro); circa 40 milioni di rubli (928mila euro) servono invece per demolire un edificio a più piani. Tatyana Ignatyeva, vicedirettrice federale del servizio giudiziario, ha confermato che gli edifici da abbattere saranno oltre 400.
Yulia Saltykova, 32 anni e madre di due bambini di quattro e dieci anni, non ha mai conosciuto il comfort. Conduce una vita di stenti in Ulitsa Acacia, nella zona Adler di Sochi. Da tre generazioni la sua famiglia vive in un appartamento assegnatogli dallo stato. Assomiglia un po’ a una baracca. Mancano il bagno e la cucina. E non ci sono nemmeno l’acqua e il riscaldamento. Non ricevendo alcun aiuto dallo Stato, i genitori di Yulia, insieme ai vicini, hanno costruito i servizi igienici nel cortile delle loro case. La speranza resta quella di continuare a vivere una vita tranquilla, godendosi la vista del Caucaso, all’ombra di spinosi alberi lungo una stradina che porta alla spiaggia.
Il giorno in cui Sochi è stata scelta per ospitare le Olimpiadi, Yulia ha festeggiato. Era euforica. I festeggiamenti sono proseguiti per tutto il giorno sul lungomare e oltre trentamila persone si sono ritrovate nelle piazze per cantare, ballare e bere champagne.
Le proteste
I problemi che hanno investito la casetta di Ulitsa Acacia, però, sono arrivati a fiume. Tutto è iniziato con le ruspe. Poi i camion, che hanno iniziato a scaricare tonnellate di sabbia e ghiaia in quello che fino ad allora era un tranquillo quartiere di Sochi. L’obiettivo? Costruire un’autostrada federale che permetta ai visitatori di raggiungere il luogo delle Olimpiadi.
A ridosso della futura strada, poi, ha iniziato a sorgere un alto muro di cemento, sovrastato da pannelli di plastica che nascondono completamente la vista delle montagne innevate.
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Lo speciale su Sochi 2014 |
“Le lamentele che abbiamo spedito al Cremlino e a Humans Rights Watch hanno irritato ancora di più le autorità locali: adesso la città ci sta facendo causa perché non abbattiamo le nostre cucine e i nostri bagni, che anni fa abbiamo costruito proprio dove ora vogliono costruire l’autostrada”, dice Yulia Saltykova sconsolata. “Adesso scopriamo che non abbiamo diritto neppure ad avere gabinetti esterni”.
Su uno striscione rosso sistemato sul tetto della sua casa di legge: “Aiuto! SOS! Qui stanno murando vive delle persone!”. Ma non molti prestano attenzione a queste cose. In tanti traggono vantaggio dal boom edilizio.
Il giorno in cui il tribunale ha deciso che Yulia Saltykova e i suoi vicini di casa devono demolire le loro proprietà per permettere allo Stato di procedere con i cantieri e le costruzioni, un portavoce della stampa ha mostrato ai giornalisti la zona circostante il villaggio olimpico. Per la società edilizia Olympstroy c’è ancora molto da costruire prima che nel febbraio 2014 si inaugurino i Giochi.
Che cosa ne pensano gli organizzatori di tutte le persone evacuate ed espropriate della loro casa per questo enorme progetto? “Non è una domanda che dovete rivolgere a noi - ha risposto la portavoce Natalya Cherepanova -. Dovete rivolgervi al ministro per lo Sviluppo Regionale a Mosca”.
In agosto l’amministrazione di Sochi ha informato la 65enne Alyona Khaladzha che la sua casa in Zheleznodorozhny Proyezd sarà abbattuta il 25 dicembre. “Sono sconvolta. Nessun funzionario ha voluto darmi ascolto”, ha detto Khaladzha. In lacrime.
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