Storicamente l’alto tasso di occupazione dei russi è stato un obiettivo interno dei governi, raggiunto a spese della creazione ad hoc di posti di lavoro aggiuntivi (Foto: PhotoXPress)
Secondo gli ultimi dati dell’agenzia Rosstat, ad aprile 2013, in Russia soltanto il 5,6 per cento della popolazione attiva ha cercato lavoro. È un indice positivo sullo sfondo di altri Paesi sviluppati che stanno attraversando una crisi profonda. Negli Stati più prosperi come Germania e Norvegia la situazione è rimasta simile a quella russa con indici rispettivamente del 5,4 e 3,7 per cento.
Per la Russia è anche importante un altro fattore: secondo il parere degli economisti, con un valore di disoccupazione inferiore al 5 per cento, chi cerca lavoro può trovare un nuovo posto piuttosto facilmente, mentre i datori di lavoro osservano una carenza di quadri professionali e sono costretti ad aumentare man mano gli stipendi. Detto questo, il tasso d’impiego in Russia non è cambiato così tanto come è successo in altri Paesi durante le crisi del 1998 e del 2008.
Era abitudine fin dai tempi dell’Urss creare posti di lavoro ad hoc. Lo Stato reputava un suo dovere garantire il lavoro per tutti e, di conseguenza, le imprese e gli enti erano pieni di specialisti in esubero e accusavano la bassa produttività del lavoro. Cambiare posto di lavoro o ancor peggio trasferirsi di propria volontà in un’altra regione era considerato un gesto inappropriato, pertanto la migrazione volontaria per motivi di lavoro di fatto non esisteva. L’economia quindi non era concorrenziale.
Il basso livello di disoccupazione nella Russia di oggi è in realtà la continuazione delle tradizioni sovietiche. I posti di lavoro vengono pagati dal bilancio. “Il livello esistente dei prezzi per il petrolio e la struttura economica che vige oggi, per la quale le entrate derivanti dal petrolio sono regolate dall’economia, permettono di garantire un alto tasso di occupazione. C’è anche da considerare il basso livello degli stipendi. A tali condizioni possiamo praticamente fornire un’occupazione generalizzata”, ritiene Sergei Smirnov, direttore dell’Istituto di Politica sociale e dei Programmi socio-economici dell’Alta Scuola Economica di Mosca. Si trova impiego nelle aziende e negli enti statali e in altre organizzazioni governative che possono anche non preoccuparsi dell’efficienza del lavoro, pur pagando stipendi piuttosto alti grazie alla possibilità di attingere al bilancio.
Nonostante ciò i datori di lavoro si lamentano della mancanza di quadri e i disoccupati delle lunghe ricerche del posto, come rileva Aleksandra Gross, caporedattore di Rabota.ru. I dati non ufficiali sul numero di persone in cerca di lavoro ne parlano indirettamente; secondo l’Istituto Gelpal, infatti, la disoccupazione può essere tre volte superiore alla cifra indicata da Rosstat.
“Quello che sta avvenendo può essere definito come una mancata concomitanza di aspettative: i lavoratori fissi non sono soddisfatti delle condizioni di lavoro, mentre i capi si lamentano della qualità del personale. Lo stesso fenomeno si verifica tra chi cerca e chi dà lavoro; questi ultimi sono sempre alla ricerca di nuovi collaboratori” osserva Aleksandra Gross. Ciò si spiega con il fatto che prima della crisi del 2008 il mercato del lavoro era incandescente: i candidati pretendevano stipendi sempre più alti e i datori di lavoro erano costretti a cedere. Con la crisi le paghe sono crollate, ma ora chi cerca lavoro si sente di nuovo padrone del mercato e ha ricominciato a dettare le sue condizioni ai dirigenti. Intanto i datori di lavoro, memori di quando avevano dovuto far saltare teste, non corrono a rimpolpare le spese per il personale. In definitiva, in Russia ci sono pretendenti le cui ambizioni salariali non corrispondono alle competenze e molti impieghi che non soddisfano i candidati”.
In tale cornice la mobilità d’impiego, in Russia apparsa di recente, funziona male entro i confini del Paese. Aleksandra Gross ritiene che la disponibilità a trasferirsi si trova soltanto nella generazione Y (conosciuta anche come Millennial Generation). Ne fanno parte coloro che sono nati tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. Questi giovani professionisti, a detta della giornalista, guardano meno alle possibilità in Russia e più alle prospettive che si aprono all’estero.
Secondo le previsioni di Sergei Smirnov, nei prossimi due anni la situazione rimarrà stabile. Anche la prossima crisi, che in base alle proiezioni del Ministero dell’Economia e dello Sviluppo è attesa per il 2018, non cambierà lo stato delle cose. Il governo dovrà affrontare, come in passato, l’ennesimo aumento di disoccupazione a spese delle entrate derivanti dal petrolio.
“Il governo ha uno stimolo serio nel mantenere la situazione com’è; non vuole che i cittadini siano insoddisfatti. Prenderanno piede i lavori sociali, le riqualificazioni, persino gli assegni di disoccupazione, che saranno senza dubbio aumentati se ci sarà un crollo sul mercato del lavoro, come è successo nel 2008”, commenta Smirnov.
A parte ciò, a conti fatti, si utilizzerà il meccanismo di sostituzione degli immigrati per lavoro con i cittadini del Paese. In Russia ci sono molti rappresentanti di questa categoria provenienti dai Paesi dell’ex Unione Sovietica, di cui una buona parte è illegale e non paga le tasse. “Se ricomincia la crisi – sostiene l’economista – il governo sarà interessato ad aumentare il livello di disoccupazione tra i cittadini russi a spese dei loro vicini. Ci sono alcune alternative che il governo sta già mettendo a punto, come per esempio il versamento di mille dollari per l’ingresso in Russia, che per una parte degli immigrati potrebbe fare da sbarramento”.
Qualcosa tuttavia cambierà nel mercato del lavoro. Negli anni Novanta si preferiva mandare i dipendenti in ferie lunghe e non pagate, ma non licenziarli. Per questo anche nei periodi economicamente problematici in Russia il salto nell’indice di disoccupazione era inferiore che negli altri Paesi sviluppati.
Ora la situazione è cambiata e si licenzia con molta più facilità, ritiene Smirnov. Per tale ragione è assolutamente possibile che dopo più di venti anni di crescita in condizioni di economia di mercato, il mercato del lavoro russo sia diventato più simile a quello dei Paesi anglosassoni, ovvero che l’adattamento agli shock economici di oggi non avvenga più a spese di lunghe ferie non pagate, ma operando una riduzione del personale. E questo significa che per le autorità russe sarà difficile in futuro mantenere inalterato il tasso d’occupazione durante i periodi di crisi.
Il testo è stato pubblicato sull'edizione cartacea "Russia Oggi" del 27 giugno 2013
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