Le potenti escavatrici della miniera Tajmyrskij (Foto: Ufficio stampa)
Se Norilsk non è sul pianeta Marte, dev'essere comunque da qualche parte lì vicino. Sembra di vedere l'ambientazione del film "Atto di forza" con Arnold Schwarzenegger, letteralmente ogni due minuti. E poi, anche questa città è nata per un motivo simile: negli anni Trenta del secolo scorso, l'Unione Sovietica aveva estremo bisogno di nickel e di altri metalli impiegati nell'industria militare.
Per estrarli venne costruita Norilsk, una delle maggiori città situate oltre il Circolo Polare. La discesa nelle miniere di Norilsk comincia proprio come se dovessi andare su Marte: sveglia alle sette, fuori è buio pesto, due tazze di tè forte e il rito della vestizione: metto tutte le cose più pesanti che ho portato con me.
Fuori la temperatura è di meno ventotto gradi Celsius. Pronti, partenza... via! Accanto all'edificio della miniera Tajmyrskij mi viene incontro il primo manufatto marziano: la carcassa di un macchinario minaccioso, avvolto nelle tenebre antelucane, con le ruote larghe un metro. In cima al muso di questo brontosauro di ferro c'è un enorme cucchiaia. Tutta la macchina ha un aspetto pesante e minaccioso. Eppure, non riesco a liberarmi della sensazione di averla già vista da qualche parte: forse proprio nel film con Schwarzenegger.
Domando a Rostislav, un dipendente di Nornickel che mi fa da cicerone: "Che cos'è questa specie di carro armato?". "Una pala caricatrice Atlas Copco, vagonaggio 14 tonnellate...".
Più tardi ho scoperto che i minatori di Norilsk organizzano periodicamente delle gare di slalom sotterraneo su queste macchine e mi è dispiaciuto non averne vista una con i miei occhi. Un rally su questi dinosauri del peso di 25 tonnellate e con 400 cavalli di potenza deve essere un vero spettacolo.
Per ora mi attende l'incontro con il direttore della miniera, Sergei Gorbaciov, e la mia prima discesa nelle viscere di queste Miniere di Moria, oltre il Circolo Polare Artico. Docilmente indosso tutto l'equipaggiamento, mi metto la cintura con l'accumulatore della lampada, che pesa un chilo. In fila indiana, attraversiamo un lungo corridoio sotterraneo che collega gli edifici dell'amministrazione e degli alloggi con la miniera vera e propria e ci troviamo nell'anticamera del pozzo verticale.
Oltre le porte girevoli di inferriata c'è l'ascensore del pozzo, che ci porterà alla profondità di un chilometro. Per ora Rostislav mi indica una fila di lavabi che si stringono contro la parete. "Assaggia". Apro il rubinetto, e ne vedo scorrere un liquido bruno-rossastro. L'aspetto dell'acqua in miniera, devo dire, non è dei più invitanti.
"Assaggia", mi ripete Rostislav. E scopro che quello che esce dai rubinetti non è affatto acqua rugginosa, ma dell'autentico tè. I minatori riempiono le borracce e i thermos e se lo portano con sé. "Ogni volta che senti uno scatto è una persona che è scesa giù, - spiega l'ingegnere responsabile della produzione, Alexei Bylkov. - Inoltre, nelle lampade dei minatori sono incorporati degli speciali microchip, è un sistema in più per contare i lavoratori. Teniamo il conto delle persone grazie alle lampade. Se alla fine del turno manca all'appello anche un solo minatore, lo andiamo a cercare, fermiamo la miniera".
Involontariamente tocco la mia lampada, a quanto pare, oggi sarà il mio passaporto, ed entro nella gabbia dell'ascensore. L'ascensore del pozzo è una piattaforma dall'aspetto imponente. Serve a calare nel pozzo non solo i minatori, ma anche tutti i macchinari e le attrezzature della miniera: perciò le sue dimensioni devono essere adeguate.
La prima fermata del nostro ascensore è al livello dei 1.050 metri. Tutta la miniera è una rete di tunnel di vario tipo, gallerie e altri passaggi sotterranei dai nomi complicati, come Querschlag, dal tedesco. Il livello dove mi trovo è situato poco più sotto del giacimento di minerale. Sopra di questo ce n'è un altro, che serve soprattutto per l'aereazione. Da quel tunnel vengono fatte le gettate di calcestruzzo per colmare le cavità che si formano estraendo la roccia.
Il tunnel è largo circa quattro metri e alto altrettanti: ricorda al tempo stesso una galleria del metrò e i bunker sotterranei da cui si comandano i missili nucleari. L'ambiente è abbastanza ben illuminato: potenti lampade fanno il possibile per disperdere l'oscurità. Respirare è sorprendentemente facile. Dopo qualche minuto di sballottamento sul pullmino sotterraneo ci fermiamo.
La scena intorno a me è incredibilmente mutata: sulle pareti dei tunnel non ci sono più lampade, il buio è diradato per quanto possibile dalle nostre lampade portatili, c'è un odore insolito e soffocante. "Adesso siamo già all'interno del giacimento di minerale", mi avverte Alexei.
Gli strumenti principali dei minatori sono due: le perforatrici e l'esplosivo. Con l'aiuto di appositi macchinari si trivellano stretti pozzi profondi 10-15 metri, nei quali viene calato l'esplosivo. Poi la cavità così ottenuta viene ulteriormente scavata, sempre più in profondità. L'estrazione del minerale vero e proprio viene effettuata con il metodo della "camera": nelle pareti del tunnel viene creata per mezzo dell'esplosivo una "stanza" della superficie di cinque metri per cinque, che può essere alta fino a quindici metri. Poi entra in azione l'ormai ben noto "brontosauro", ossia la pala caricatrice.
"Sergei, fai vedere ai ragazzi come lavori", chiede Alexei a uno dei suoi colleghi. Sergei esce dall'abitacolo e si posiziona a un paio di metri dalla macchina. Poi, con un movimento per lui abituale, preme un paio di pulsanti sul comando a distanza: si accendono in un colpo tutte le luci della pala caricatrice, squarciando il buio pesto della galleria. Contemporaneamente si accende il motore, e il brontosauro metallico, abbassando la pala della capienza di 14 tonnellate, l'affonda nella roccia.
Con un solo morso, la macchina afferra dieci tonnellate buone di minerale, ma per i minatori è ancora poco. L'escavatore, con un ruggito, torna all'assalto. "Ora riempirà la pala e andrà fino al punto di carico. Far muovere la macchina mezza vuota non è conveniente: calano i ritmi di produzione, e poi la durata dei macchinari non è infinita".
Le pale caricatrici hanno una vita media di quattro o cinque anni. Dopo questo periodo, il brontosauro viene dismesso: lo smontano e i pezzi vengono usati come ricambi. I lavoratori delle miniere di Norilsk sono più resistenti delle macchine: alcuni di loro restano in servizio per 20-30 anni, calandosi sottoterra un turno dopo l'altro.
L'impianto lavora ventiquattro ore su ventiquattro, senza interruzione. Ciascuno dei tre turni lavorativi conta circa 300 minatori. I lavoratori trascorrono sotto terra sette ore di fila, e ogni giorno portano in superficie fino a 10.000 tonnellate di minerale utile.
"Oggi le miniere non esistono quasi più, non è più come un tempo", ricorda il direttore della miniera Sergei Gorbaciov. Il lavoro però rimane ancora pericoloso come un tempo. Ma se nelle miniere di carbone il principale pericolo è rappresentato dalle esplosioni di metano, nelle miniere di nickel di Norilsk i lavoratori temono soprattutto i crolli nelle gallerie.
Per ridurre questo rischio, vengono scavate delle gallerie di alleggerimento che assorbono la pressione in eccesso, riducendo così il rischio di crolli delle volte nelle gallerie principali, dove si trovano i minatori. Inoltre, ogni singola camera dopo l'estrazione del minerale grezzo viene riempita con una gettata di calcestruzzo: meno sono le cavità sotterranee, minore è il pericolo per le persone.
Il Tajmyrskij è una vera e propria città sotterranea: centinaia di chilometri di gallerie situate anche a 1.600 metri di profondità; negli ampi tunnel circolano vagoni elettrici, i pullmini per il trasporto dei minatori e le pale caricatrici. A 1.300 metri di profondità c'è il punto di carico del minerale. Qui il materiale grezzo viene preparato, frantumato e portato in superficie per mezzo di un impianto di estrazione a skip.
Poi il minerale viene trasportato a un impianto di arricchimento, e infine agli stabilimenti metallurgici, di nickel o di rame, a seconda del metallo prevalente nel minerale. Dall'indicazione del livello -1.300 metri comincia anche la mia risalita. Nell'ascensore sento che mi si tappano le orecchie, ma ormai ci sono abituato: non dà fastidio né a me né ai minatori.
Chiacchieriamo del lavoro di giornalista e degli stipendi moscoviti. Sentendo dire quanto guadagna un reporter nella capitale, i lavoratori della miniera sorridono con discrezione: a quanto ho capito parlando con i dirigenti dell'impresa, il loro stipendio è più alto del mio.
Il giorno dopo, la gabbia dell'ascensore ha calato di nuovo questi ragazzi alla profondità di 1.300 metri, mentre io prendevo l'aereo per tornare a Mosca. Avevo in tasca una pallina di rame fusa con il minerale estratto dalla miniera di Norilsk. Non ho ancora capito perché in aeroporto non me l'hanno confiscata. Probabilmente, è stato un colpo di fortuna.
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