Primo agosto 1971, margine sudorientale del Mare Imbrium. Il comandante dell’Apollo 15 David Scott colloca una scultura in alluminio sulla superficie polverosa di un piccolo cratere, accanto a un moonwalker fermo. In questo preciso istante, la Luna diviene il più grande museo a cielo aperto della nostra galassia.
"Fallen astronaut"
NASALa scultura di un uomo sdraiato a testa in giù, intitolata “Fallen Astronaut” (letteralmente: “Astronauta Caduto”), è finora l’unica installazione artistica sulla Luna. Alta meno di nove centimetri, la figura è priva di genere e di elementi distintivi delle differenze razziali. È stata realizzata dall’artista belga Paul Van Hoeydonck (1925-), e David Scott l’ha portata nella tasca della sua tuta spaziale e l’ha posata sul freddo suolo lunare. Nelle vicinanze ha apposto una targa con i nomi di otto americani e sei sovietici che avevano dato un enorme contributo all’esplorazione spaziale, ma che non erano più in vita.
Theodore Freeman, Charles Bassett, Elliot See, Gus Grissom, Roger Chaffee, Edward White, Edward Givens, Clifton Williams sono gli astronauti americani. Chi sono invece i cosmonauti sovietici?
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La sua morte è stata la prima morte nello Spazio. Vladimir Komarov era il comandante della navicella Sojuz 1, lanciata in orbita nell’aprile del 1967. Avrebbe intrapreso una missione unica nel suo genere: agganciare per la prima volta due veicoli spaziali (subito dopo di lui era partito per l’orbita l’equipaggio della Sojuz-2). Ma non tutto andò secondo i piani, fin dall’inizio.
Innanzitutto, uno dei pannelli solari non si aprì. Poi il comando di orientare la navicella verso il Sole non riuscì, le comunicazioni a onde corte vennero meno… Era evidente che la missione era fallita e che l’equipaggio doveva rientrare.
Il guasto fatale si verificò però nella fase finale di discesa: le cinghie del paracadute si attorcigliarono e la capsula di discesa della Sojuz 1 si schiantò al suolo a una velocità di circa 60 metri al secondo ed esplose. In seguito, i progettisti ammisero che la Sojuz era incompleta e che il cosmonauta non avrebbe dovuto essere inviato a bordo. Dopo tutto, nessuno dei tre lanci di prova senza equipaggio era stato privo di malfunzionamenti.
Jurij Gagarin è stato il primo uomo della storia a volare nello Spazio. La sua leggendaria missione del 12 aprile 1961, sebbene estenuante e difficile (e a lungo occultata dalla propaganda di Stato), fu un’indubbia vittoria per l’umanità.
Da allora Gagarin non volò più nello Spazio. Divenne vice capo del Centro di addestramento dei cosmonauti e comandante della squadra dei cosmonauti sovietici. Nel 1966 fu nominato sostituto di Komarov. Si sa che in realtà Sergej Koroljov, il padre del programma spaziale sovietico, aveva promesso a Gagarin la poltrona di pilota principale della Sojuz 1, ma la morte di Koroljov cambiò i piani.
Gagarin morì due anni dopo, nel 1968, durante un volo di addestramento su un MiG-15UTI. Non c’è ancora consenso sulle cause della sua morte. Una versione, avanzata dal cosmonauta Aleksej Leonov, sostiene che la tragedia sia avvenuta dopo che l’aereo era stato colpito da un caccia in volo. Secondo un’altra ipotesi, l’aereo si era scontrato con un pallone meteorologico. Non riuscendo a controllare l’aereo, Gagarin e il suo pilota istruttore Vladimir Seregin, rimasero uccisi.
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È stato grazie a Beljaev che è stata possibile la prima “passeggiata spaziale”. Nel marzo 1965 volò in orbita con il copilota Aleksej Leonov. Beljaev era responsabile della navicella, mentre la missione di Leonov era quella di uscire nello Spazio.
In orbita si verificarono diverse situazioni anomale. In primo luogo, la tuta spaziale di Leonov si gonfiò e a lungo non riuscì a rientrare nell’astronave. Poi, nella fase finale della missione, il sistema di controllo dell’assetto della nave si guastò. Questo rese impossibile un atterraggio automatico. Beljaev dovette orientare manualmente la navicella, cosa che nessuno aveva mai fatto prima in un volo spaziale con equipaggio. Grazie all’abilità del comandante riuscirono ad atterrare sani e salvi.
Beljaev non morì nello Spazio, né durante l’addestramento. Perse la vita nel 1970, dopo aver subito un intervento chirurgico per una grave peritonite.
Quattro anni dopo la morte di Vladimir Komarov, un equipaggio di tre cosmonauti, composto da Georgij Dobrovolskij, Viktor Patsaev e Vladislav Volkov, partì per lo Spazio. Nel giugno 1971, agganciarono con successo per la prima volta al mondo una navicella spaziale alla stazione orbitale Saljut-1 e ricevettero l’ordine di tornare a casa.
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A differenza del volo di Komarov, la loro missione si era fino ad allora svolta senza problemi. Tutto filò liscio fino al momento in cui, nella fase di discesa, a 150 chilometri dalla Terra, le comunicazioni radio con i cosmonauti si interruppero improvvisamente. Ciononostante, il velivolo di discesa con l’equipaggio continuò il percorso previsto. Entrò nell’atmosfera ed atterrò nell’area stabilita. Tuttavia, quando una squadra di soccorso arrivò sul posto, trovò gli astronauti morti all’interno della capsula.
Un’indagine successiva ha rivelato che la valvola di ventilazione, responsabile della pressione all’interno della capsula con l’equipaggio, si era aperta a un’altitudine di 150 chilometri, quando normalmente avrebbe dovuto aprirsi a un’altitudine di quattro. L’equipaggio cercò di riparare la “falla”, ma dopo 40 minuti la pressione era ormai calata troppo e gli astronauti persero conoscenza. L’incidente fu la tragedia più grave della cosmonautica sovietica e l’ultima in ordine di tempo. Nessun cosmonauta sovietico o russo è morto in volo dal 1971 in poi.
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