Così il primo Oscar vinto dall’Urss influenzò il corso della Seconda guerra mondiale

Russia Beyond (Foto: Sputnik; Getty Images)
Nel 1943, l’Academy assegnò la statuetta per il Miglior documentario a una pellicola russa sulla difesa di Mosca dai nazisti. Si tratta di un’opera eccezionale, girata al fronte da operatori che spesso persero la vita dietro alla cinepresa, ma il premio fu più che altro un calcolo politico: Washington doveva convincere l’opinione pubblica della necessità di inviare armi ai sovietici nell’ambito del protocollo Lend-Lease

Per gli Stati Uniti, questa fu la prima cerimonia degli Oscar nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale, quando il Paese era già direttamente coinvolto nel conflitto. Anno 1943, nightclub Cocoanut Grove dell’Ambassador Hotel di Los Angeles. I partecipanti non indossano smoking, abiti da sera, gioielli e brillanti; tutto è informale, alcuni attori portano persino l’uniforme militare. E le famose statuette sono fatte di gesso. Quasi tutti i film in nomination sono legati alla guerra, e ci sono un record di 25 candidati per il titolo di Miglior documentario. Il premio in questa categoria sarà condiviso da quattro candidati. Tra i vincenti anche il  film sovietico “Razgróm nemétskikh vójsk pod Moskvój” (“Разгром немецких войск под Москвой”; ossia “La disfatta delle truppe tedesche vicino a Mosca”), noto però in America con il titolo in inglese di “Moscow Strikes Back”.

“La cerimonia di premiazione non è durata molto, è stata più che altro un’introduzione ai premi principali. Ma è stata veramente storica perché si è trattato del primo Oscar vinto dalla Russia”, ricordò l’attore Tom O’Neil, che era presente a quella 15ª cerimonia. 

Tuttavia, come dicono gli storici, il film sulla difesa di Mosca non aveva alcuna possibilità di non ottenere questo “Oscar”. E le ragioni furono un chiaro calcolo politico.  

Cosa era successo a Mosca  

Quando la Germania aveva lanciato le sue prime incursioni in Unione Sovietica, la Wehrmacht sperava in una rapida conquista della parte europea del Paese. Anche se la desiderata guerra lampo non si era poi materializzata, i tedeschi stavano ancora avanzando rapidamente verso Mosca. 

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“La notte del 23 luglio 1941 i nazisti fecero la loro prima incursione aerea su Mosca. Quella notte uno stormo di 220 bombardieri raggiunse la capitale. […] Abbiamo filmato uno spettacolo terribile sull’Arbat. Una bomba, del peso di mezza tonnellata, ha colpito il tetto del teatro Vakhtangov ed è esplosa nella sala. Quella notte cinque membri del personale erano in servizio nel teatro, e tutti sono rimasti uccisi. La mattina dopo stavo già girando il mio primo filmato di guerra: le conseguenze del primo bombardamento della capitale“, ricordò l’operatore Mikhail Poselskij, che lavorava al fronte.

Già un mese dopo l’inizio dell’invasione, Mosca era ormai sotto tiro. Secondo gli storici, nei quattro mesi di guerra, entro ottobre, l’esercito sovietico aveva già perso un milione di uomini. I tedeschi erano così sicuri dell’imminente caduta di Mosca, che si presentarono a combattere con le uniformi da parata. Il 15 ottobre le loro truppe erano a soli 100 km dalla capitale. Lo stato d’animo del popolo sovietico era di panico. Mosca si stava preparando a capitolare. A metà ottobre, come abbiamo appreso più tardi da documenti desecretati, quasi 800 alti funzionari erano fuggiti, compresi quelli dell’apparato del partito.

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Ciò che fermò il panico fu la decisione di Stalin di rimanere a Mosca e prepararsi a difendere la città. Per renderlo noto, decise, nonostante i bombardamenti, di tenere la tradizionale sfilata sulla Piazza Rossa in occasione dell’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. La decisione, rischiosa, venne spiegata con la necessità di alzare il morale delle truppe e della cittadinanza. Le immagini della parata del 7 novembre 1941, dalla quale soldati e ufficiali marciarono poi direttamente al fronte, furono incluse nel futuro film documentario.

Un paio di giorni dopo la parata, Stalin convocò urgentemente il capo del Comitato per il cinema Ivan Bolshakov: “Tra pochi giorni il nostro esercito andrà all’offensiva. Daremo ai tedeschi un colpo di enorme forza. Penso che non potranno resistere e dovranno arretrare… È necessario riprendere tutto questo su pellicola e fare un buon film”, disse Stalin, secondo quanto riferito in seguito da Bolshakov. Insomma, si può quasi dire che Stalin sia stato il produttore del film. 

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Le riprese sotto il fuoco nemico 

Gente di cinema nella Mosca assediata non ne era rimasta molta: lo Studio centrale di cinecronaca era già stato evacuato a più di mille chilometri dalla capitale. In città era rimasto solo un piccolo gruppo di professionisti che realizzava il cinegiornale “In difesa della nativa Mosca”. 

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Cominciarono a girare immediatamente, seguendo un piano di riprese abbastanza convenzionale, ma con un obiettivo chiaro: mostrare la potenza dell’esercito sovietico e infrangere il mito dell’invincibilità dei nazisti. 

Lavorarono in condizioni molto difficili. Le temperature scesero molto nelle regione di Mosca. L’operatore Teodor Bunimovich ha ricordato: “Prima di ogni ripresa dovevamo scaldare la cinepresa sotto un cappotto di pelle di pecora mentre eravamo sdraiati nella neve. Cambiare rullo era una vera sofferenza. Le mani irrigidite dal freddo si rifiutavano di lavorare”. 

Fino a 30 persone filmavano le battaglie, che si svolgevano su un’area di quasi 1.000 km, e tutti dovevano essere in prima linea per non perdere eventi cruciali. 

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“A tarda notte tornavano allo studio, riportavano migliaia di metri di filmati di inestimabile valore documentale, preparavano l’attrezzatura e la pellicola per il giorno successivo, rivedevano i filmati sullo schermo e, dopo aver fatto un pisolino di un’ora, partivano di nuovo per la prima linea all’alba”, ha ricordato il co-regista Ilja Kopalin. A volte dal fronte tornava il corpo di un operatore ucciso e il suo equipaggiamento distrutto. 

Dati i tempi stretti, si montava notte e giorno nelle fredde sale di montaggio. I montatori non scendevano nei rifugi nemmeno durante gli allarmi aerei. Alla fine di dicembre 1941, un mese e mezzo dopo, il montaggio era finito, e iniziò il lavoro sul sonoro. 

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“Iniziava con la quinta sinfonia di Chaikovskij. Una raggiante melodia russa, di rabbiosa protesta, di accordi singhiozzanti. E sullo schermo città bruciate, forche, cadaveri, e lungo tutta la ritirata nazista, tracce di violenza e barbarie. Ascoltavamo la musica, guardavamo lo schermo e piangevamo. Anche i membri dell’orchestra piangevano, e faticavano a suonare con le mani congelate”, ha ricordato Kopalin. 

Un calcolo politico

Nei cinema della capitale “La disfatta delle truppe tedesche vicino a Mosca” uscì il 18 febbraio 1942. Ne furono stampate 800 copie per distribuirlo in tutto il Paese, e perché fosse mostrato nelle varie unità dell’esercito, e anche negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Iran e in Turchia.  

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Quello stesso anno il film vinse il National Board of Review Award al miglior documentario e nel 1943 vinse l’Oscar per “la vivida dimostrazione dell’eroismo dell’esercito e del popolo russo nella difesa di Mosca e per aver realizzato un film in condizioni estremamente difficili e pericolose”.  

Tuttavia, l’Oscar non fu solo un riconoscimento per gli autori del film. Fu una mossa politica, sostiene lo storico del cinema Sergej Kapterev, che ha cercato negli archivi americani documenti in relazione alla storia del film. “Era importante sia per gli Stati Uniti che per la Gran Bretagna convincere i contribuenti della necessità di aiutare l’Unione Sovietica nel quadro del Lend-Lease Act, approvato nel marzo 1941; per convincerli che l’Urss era ormai una vittima dell’aggressione di Hitler e un importante alleato”, nota Kapterev.

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Il posizionamento, da anni, dell’Urss come “minaccia comunista” rendeva le cose difficili per la propaganda. Inoltre, tutti ricordavano che all’inizio della guerra, i sovietici  avevano firmato un patto di non aggressione con la Germania (il patto Molotov-Ribbentrop). E dopo che la Germania aveva attaccato la Polonia, l’Unione Sovietica aveva proceduto a occupare una parte del Paese. In breve tempo, durante la formazione della coalizione anti-Hitler, questo film doveva restituire un “volto umano” ai sovietici agli occhi dell’Occidente. E per garantire il suo successo negli Stati Uniti, doveva essere adattato per il pubblico americano. 

La versione americana del film

La versione americana fu resa più dinamica, tagliata di 14 minuti rispetto all’originale, con l’eliminazione degli inserti ideologici obbligatori per lo spettatore sovietico. Il film fu rimontato e la narrazione fu totalmente cambiata, con il giornalista Elliot Paul e lo sceneggiatore Albert Maltz, membro del Partito comunista americano, che vi lavorarono. Il film era doppiato da Edward J. Robinson, che era noto per i suoi ruoli di gangster sanguinario ma aveva anche la reputazione di attore che trattava serie questioni politico-militari. Il ritratto di Robinson era persino presente sulla locandina. Così nacque la versione americana del film, “Moscow Strikes Back”. La pellicola venne ampiamente distribuita negli Stati Uniti e in Gran Bretagna e alla fine vinse l’Oscar per il Miglior documentario.

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Il film fu un successo colossale: 16 milioni di persone negli Stati Uniti e in Inghilterra lo guardarono. Il “New York Times” scrisse: “Siamo di fronte a un film che fa stringere i pugni; i cuori si riempiono di rabbia, il film brucia come uno schiaffo in faccia. Per molti, questo è stato il filmato più scioccante mai visto, con immagini di torture e di morti, che non erano mai state incluse nei documentari. 

Pochi giorni dopo la sua première negli Stati Uniti (fu proiettato per la prima volta nell’agosto 1942), venne firmato il secondo protocollo Lend-Lease, per le esportazioni di materiali bellici agli alleati. E quando il film vinse l’Oscar l’anno dopo, nel 1943, il possesso della statuetta attirò ancora di più l’attenzione sulla necessità di unirsi ai sovietici contro la Germania. 

L’Oscar nell’oblio 

Secondo Valerij Fomin, fu con questo film che gli operatori iniziarono a documentare i crimini di guerra, che furono poi presentati ai processi di Norimberga come prove della colpevolezza dei nazisti. Ben 252 operatori filmarono la guerra per 1.418 giorni. Uno su cinque rimase ucciso, uno su due fu ferito o mutilato. 

Tuttavia, il fatto che questo film abbia vinto un Oscar è stato successivamente cancellato dalla storia sovietica per diversi decenni, e negli Stati Uniti i registi coinvolti nella realizzazione della versione americana vennero poi accusati di aver collaborato con un Paese ostile. Era iniziata la Guerra fredda.

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