Nel 2018 il beniamino dei produttori europei, Ivan Tverdovskij, ha presentato la raffigurazione fantasmagorica di una Mosca assolutamente infernale, dove regnano il cinismo, il denaro e i contatti giusti. Per chi è abituato a vivere in un sistema diverso di valori, la capitale non farà altro che “sputarlo” fuori senza che nessuno se ne accorga. Ed è esattamente ciò che accade al protagonista del film, Denis, la cui madre lo ha abbandonato da piccolo in un orfanotrofio, e anni più tardi se lo va a riprendere per arruolarlo in una banda criminale, di cui fanno parte anche avvocati, giudici e poliziotti. Il loro interesse nei confronti di Denis è alimentato dal fatto che il giovane è dotato di una rara condizione medica: non sente alcun tipo di dolore.
Non provare dolore, o non provare assolutamente nulla, è ciò che più conta nel mondo immaginato da Tverdovskij.
Nella cultura russa, il tema dei migranti è stato trattato in modo molto più ampio nel teatro e nell'arte che nel cinema. Il film “Ayka”, una coproduzione con Kazakhstan, Germania e Polonia, rappresenta una rara eccezione.
Narra la storia di una ragazza kirghisa, trasferitasi a Mosca, che inizia una nuova vita fatta di lavoretti part-time e problemi con la mafia kirghisa, alla quale deve dei soldi.
Il film racconta un’odissea di sei giorni che si snoda in un mondo sotterraneo, squallido e cupo.
Per il ruolo straziante di Ayka, Samal Yeslyamova ha vinto il premio come miglior attrice al Festival di Cannes.
Per volere di un ricco signore locale, un gruppo di contadini viene cacciato dalle proprie terre. Inizia così uno dei film più acclamati del regista russo Boris Khlebnikov.
Lo scontro tra funzionari corrotti e contadini indifesi si evolve prima nella vita di un abitante locale, che si ribella contro il sistema, e poi si allarga ad altri protagonisti, trasformandosi in una sorta di Western classico, ambientato però nella realtà russa.
Il personaggio principale, Aleksander (interpretato dall'eccezionale Aleksandr Yatsenko, nuova star del cinema russo) è un fatalista, così come è fatalista il resto del mondo nel quale si muove; secondo Khlebnikov, per passare all'azione decisiva dovrà prima toccare il fondo.
Il pluripremiato film di Bykov racconta una realtà cupa, intrisa di indifferenza. Le vite di 800 persone residenti in un obshezhitie (casa comunitaria) sono letteralmente in bilico, “aggrappate” a un edificio che potrebbe crollare da un momento all'altro. Solo un ingegnere idraulico si accorge del pericolo e cerca di attirare l’attenzione sul problema, cercando di far evacuare urgentemente l'edificio. Ovviamente ciò non è nell’interesse dei funzionari locali, completamente indifferenti alla situazione e impegnati a festeggiare il compleanno del sindaco. Nemmeno gli abitanti dell'obshezhitie sembrano particolarmente preoccupati: sono abituati a non essere disturbati da nessuno e quindi non credono alla sincera preoccupazione di quest’uomo.
Il film “Elena” ha portato a casa il premio speciale della giuria nella sezione “Un Certain Regard” al Festival di Cannes… e ha inquietato un sacco di gente! Il film, infatti, è stato interpretato come una rappresentazione del conflitto tra ricchi e poveri e della minaccia che i poveri possono rappresentare quando si avvicinano troppo ai ricchi (proprio come in “Parasite”).
Elena ha sposato il ricco Vladimir: un matrimonio di convenienza basato sui soldi, e non sull’amore. Nemmeno il marito dimostra un particolare affetto nei confronti della moglie, e non perde occasione per sottolineare il divario sociale e culturale che li separa.
Elena in realtà non gode di alcun beneficio economico derivante da questo matrimonio, a parte il fatto di poter vivere nell'appartamento di lusso che condivide con il marito.
Un giorno si ritrova ad aver bisogno di soldi per aiutare il figlio nato dal precedente matrimonio, ma Vladimir si rifiuta di aiutarla. Si trova così di fronte a un dilemma morale: aiutare il figlio, e commettere un omicidio, o seguire la via della virtù...
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