Perché i musicisti occidentali adorano il sintetizzatore sovietico Polivoks?

Progettato in una fabbrica di carri armati, era molto più rudimentale dei suoi colleghi americani o giapponesi. Ma proprio per i suoi suoni sporchi, vive oggi una seconda giovinezza, e potreste averlo sentito all’opera nei dischi dei vostri gruppi preferiti

Che cosa hanno in comune i carri armati, i gruppi musicali Goldfrapp e Rammstein e il videogame di culto “Doom”? Il poderoso Polivoks – un vigoroso sintetizzatore dell’epoca della Cortina di ferro, frutto della più completa necessità ma ancora amato per il suo vigore.
Diciamolo: quando si pensa alla tecnologia che ha fatto da pioniere nella musica elettronica, i primi Paesi che vengono in mente sono gli Usa e il Giappone. Nelle migliaia di canzoni rock, pop e techno, più amate e conosciute, si possono sentire i leggendari sintetizzatori Moog, Roland, Korg e Yamaha. Pochi sanno però che il primo sintetizzatore della storia, l’Ans, fu creato in Unione Sovietica. Ma ci vollero almeno dieci anni perché lo Stato comunista venisse conosciuto per i suoi sintetizzatori, quando nacque il leggendario Polivoks.

Una storia in stile “Il Principe e il Povero”
La creazione del Polivoks ha poco a che vedere con la competizione nei confronti dell’Occidente, e tutto con la necessità. Durante gli anni della Guerra Fredda, non c’erano né Moog né sintetizzatori occidentali di nessun genere. Gli ingegneri avevano dovuto imparare cosa li rendeva attraenti e riprodurli con la poca tecnologia e lo scarso budget a disposizione. La loro ambizione era di creare un gemello sovietico del Minimoog Modello D, un sintetizzatore analogico monofonico che è ancora, a distanza di 40 anni, il punto di riferimento globale tra quelli del suo tipo.

Brutale nel suono ma iconico, il Polivoks era, in origine, un sintetizzatore duofonico, creato nell’Unione Sovietica tra il 1982 e il 1991 dall’ingegnere Vladimir Kuzmin. Infischiandosene delle opinioni diffuse, l’ingegnere adottò un approccio nuovo per elaborarne l’architettura, ad esempio inventando il prorompente filtro a 12 db per ottava, creato senza usare un singolo condensatore. Il blocco, nero e imponente, è sexy quanto un carro armato. E non stupisce, visto che è stato progettato nella fabbrica di tank Vector, negli Urali.
Forse è superfluo dirlo, ma il suono del Polivoks non si rivelò all’altezza. Sembrava, a causa dei suoi difetti di progettazione e la sua sonorità sporca, il fratello povero dei sintetizzatori più famosi. Ma all’epoca i sovietici non potevano immaginarsi che proprio questo sarebbe diventato il suo punto di forza, addirittura creando un vero e proprio culto.
La situazione divenne difficile intorno alla fine degli anni Ottanta. Nel mondo stava ormai prendendo piede una tipo di sonorità perfetta e convenzionale. I sintetizzatori digitali si erano ormai conquistati la scena e il trillo, simile a una campanella, dello Yamaha DX7 – che ricorderete senza dubbio dalle vostre serie tv preferite o dai dischi di Stevie Wonder – si stava impadronendo del pianeta. Il Polivoks, a dirla tutta, non era un tipo da “campanelle che fanno atmosfera”. E, purtroppo per lui, la produzione venne congelata poco dopo il crollo della cortina di ferro.

Un ritorno alla gloria
Non occorse però molto tempo perché il vecchio sintetizzatore sovietico riuscisse a guadagnarsi, intorno agli anni Duemila, un apprezzamento più ampio, anche al di fuori del blocco orientale. Il merito, in parte non irrilevante, è dovuto anche della tendenza dell’Occidente di feticizzare l’ormai distrutto Stato comunista. La gente ricercava con affanno i suoi toni impuri, disturbati: proprio quelli che i sintetizzatori occidentali non sapevano ricreare.
È notevole poi che, visto che ancora oggi è difficile trovarlo fuori dalla Russia, gli stranieri siano disposti a pagare dei prezzi folli per un macchinario che, nei mercatini di seconda mano russi, costa solo 400 dollari. La richiesta è così alta che di recente hanno creato, in collaborazione con il designer originale, anche una versione più sottile. Cosa c’è di nuovo? Fa anche il MIDI. Oh sì. E preparatevi a sganciare migliaia di dollari per l’edizione limitata. Insomma, non un grande miglioramento dopo tutto.
La nuova offerta non è altro che uno tra i tanti spinoff, tra i quali ci sono decine di componenti di moduli di terzi che replicano le diverse parti del sintetizzatore – filtri, oscillatori, e così via – se siete appassionati del format modulare.
Qui c’è un video del musicista Thomas P. Heckman che spiega le sue caratteristiche.

I big che amano il Polivoks.
Una lista di tutti i film di fantascienza sovietici che impiegano il suono brutale del Polivoks sarebbe, a tutti gli effetti, piuttosto vasta. Ma questa tradizione continua grazie ad artisti appartenenti a ogni genere musicale – dalla techno all’elettronica, passando per il pop e il rock. I più illustri sono i Franz Ferdinand. E c’è anche “Black Cherry” (2002) dei Goldfrapp: qui l’inconfondibile, ruvido, suono del Polivoks trafigge l’arrangiamento sereno.

Qui c’è il Polivoks usato nella colonna sonora del videogame Doom (2016): il suo approccio poco delicato ben si adatta al paesaggio infernale. Vai subito al minuto 2:36 per sentire gli enormi elogi che affastella in suo favore il compositore Mick Gordon.

E portandolo nel territorio del metal, ecco i Rammstein e Marilyn Manson che eseguono live “The Beautiful People”. Si può sentire, a metà traccia nel sottofondo, il Polivoks che emette il suo grido angoscioso, quasi addolorato, nei momenti più tranquilli della canzone. E lo fa per una buona ragione: il suono ultramoltiplicato del Polivoks imita abbastanza bene quello di una chitarra distorta, e le due cose combinate creano un grande effetto.

Oggi i modelli dell’edizione limitata sono stati tutti venduti. E a meno che tu non sia un appassionato del format modulare (che implica il costruirsi, pezzo per pezzo, la propria macchina), in giro ci sono sono i modelli vintage. Non tutti funzionano come nuovi, ma ripararli non dovrebbe essere impossibile per un tecnico dei sintetizzatori. Se sei in Russia e ami creare musica, trovane uno. Il rispetto che susciterai al tuo ritorno ne varrà la pena.

E se sei appassionato di vecchi oggetti sovietici dal design futuristico, dai un’occhiata qui

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