A Venezia un padiglione di concetti

Il progetto “Il padiglione verde” di Irina Nakhova (Foto: ufficio stampa)

Il progetto “Il padiglione verde” di Irina Nakhova (Foto: ufficio stampa)

Alla Biennale ancora protagonisti gli artisti della Federazione. E quest'anno spazio alle opere di Irina Nakhova

Irina Nakhova si prepara a stupire Venezia. Una delle più importanti rappresentanti del “concettualismo moscovita” (corrente underground dell'arte sovietica nata tra gli anni ’70 e ’80) espone in Laguna alla 56esima edizione della Biennale con il suo progetto "Il padiglione verde”.

Nel 2011 era stata la volta del gruppo “Azioni collettive”, il cui vero protagonista era Andrei Monastyrsky; nel 2013 era toccato a Vadim Zakharov e ora lo spazio è tutto per la Nakhova. 

L’attuale curatrice del padiglione, Margarita Tupitsyn definisce “fortunata” una foto ritrovata, che era stata scattata durante i lavori al progetto. La foto ritrae insieme la Nakhova, Monastyrsky, Zakharov e Kabakov. Tutti e quattro gli artisti sono stati ospitati nel padiglione russo della Biennale e tutti e quattro rappresentano esempi significativi della corrente del “concettualismo moscovita”.

 
Biennale, il padiglione delle donne

Il padiglione della Russia, costruito da Alexei Shusev un centinaio di anni fa, non è uno spazio che si presta facilmente ad ospitare l’arte contemporanea, soprattutto quando si tratta di un’esposizione personale. È difficile fare di un edificio a due piani un'unità, e la prima difficoltà alla quale va necessariamente incontro il visitatore del padiglione riguarda la scelta del piano da preferire e la questione se l’itinerario prescelto possa compromettere o meno la percezione complessiva dell'esposizione. Tuttavia, per la Nakhova l’architettura è diventata un punto importante da considerare. Come spiega l'artista, in primo luogo, quello che ha provato vedendo il padiglione è stata un’irresistibile voglia di passare dal giallastro, colore al quale sono abituati i visitatori russi dei Giardini, al verde scuro. "Questa struttura a metà tra un giardino e un parco dovrebbe fondersi con l'ambiente esterno, con il giardino, con la laguna", afferma la Nakhova. Come è stato spiegato durante i lavori, in base al progetto originale di Schusev, anche il padiglione doveva essere verde.

La sensibilità al colore e il suo utilizzo come elemento semantico e costruttivo è una caratteristica dell'arte della Nakhova e il suo padiglione ne è la prova migliore. Una volta salite le scale, lo spettatore entra in una sala verniciata di un grigio chiaro, simile all’interno di un aereo. In essa è collocata l’enorme testa di un pilota, di due metri di diametro, con un casco, degli occhiali e una maschera di ossigeno (nel catalogo, edito appositamente per l'esposizione, si possono trovare fotografie della Nakhova, nelle quali lei stessa indossa una maschera antigas mentre lavora alle proprie istallazioni totali “Camere", a cavallo tra gli anni ’70 e ‘80). La testa dell’aviatore è una videoinstallazione tecnologicamente complessa, infatti dietro la maschera si vedono gli occhi in costante movimento. Questi sono in grado di reagire al passaggio dello spettatore: guardano un po’ verso di lui, un po’ verso l'immaginaria immensità del cielo e infine in direzione della stanza accanto, come se invitassero il visitatore a continuare “il volo” proseguendo la visita della mostra. Come spiega la Nakhova, si tratta di interazione tra l’opera e il suo utente attraverso l’immagine di un artista-pilota che nello spazio chiuso dell’aereo-arte vola verso la sua missione sotto lo sguardo entusiasta o stupito degli spettatori. 

Nella sala successiva lo spettatore si trova davanti a qualcosa in grado di entusiasmare o stupire. Lo spettatore penetra dentro un’enorme stanza nera nel buio più totale, che si rivela essere nient'altro che una reincarnazione in 3D del "Quadrato nero" di Malevich. Secondo la Tupitsyn, la scelta di questa tela simbolo come immagine centrale dell’esposizione è in parte dovuta al fatto che Malevich dipinse il famoso quadro all’incirca nello stesso periodo in cui Schushev costruì il padiglione. Oltretutto, il quadrato nero, insieme a un cerchio e la croce, creato da Malevich per il padiglione sovietico alla Biennale del 1924, non fu allora inserito all’interno dell'esposizione. I curatori dell’esposizione non furono in grado di trovare un posto che consentisse il posizionamento del trittico in verticale, come avrebbe voluto l'artista. Oggi la Nakhova rende giustizia storica a Malevich, trasformando il suo quadro in uno spazio avvolgente.

Appoggiata al pavimento della sala vi è una scatola trasparente, dotata di speciali sensori, tali per cui non appena lo spettatore si avvicina, nel soffitto si apre un portello e la sala viene illuminata da luce naturale. Questa tecnica dà efficacemente unità a tutto lo spazio del padiglione, poiché attraverso la botola nel soffitto si possono vedere il cielo e le nuvole, mentre attraverso il pavimento trasparente si può vedere uno schermo, situato al primo piano, nel quale sono proiettati dei video con spruzzi d'acqua, erba frusciante e vermi nella terra. In pratica il padiglione, dal basso verso l'alto, è attraversato da immagini della natura. Non meno impressionante è il passaggio illuminato lateralmente, nella stanza successiva, come se il visitatore passasse attraverso il quadrato nero per comparire poi in una sala luminosissima, colorata di rosso e verde. Il primo colore è il simbolo della rivoluzione; il secondo è presumibilmente il colore della perestrojka, anche se ricorda di più il verde utilizzato in epoca sovietica per colorare i portoni.

La decorazione è mimetica (anche durante l'apertura, nonostante la volontà degli organizzatori e dell'artista, è stato inevitabile fare un collegamento con la guerra). 

Velata con macchie di colore al secondo piano, al primo piano la storia politica del paese viene rappresentata attraverso una video-installazione. Costantemente scorre lungo la parete, ed è letteralmente da far girare la testa, una proiezione di fotografie, lettere, cartoline e documenti che la Nakhova ha trovato negli archivi. Qui troviamo anche le istantanee di archivi familiari, dalle quali ha appreso che suo nonno è stato fucilato nel 1939, e documenti riguardanti il passato totalitario sovietico e la storia del paese. Sopra a questa lente in cui le immagini scorrono troviamo le sagome delle opere architettoniche più famose di Schusev (tra cui il mausoleo di Lenin). Ma gli edifici si sfaldano, sono ricoperti da fogliame o acqua o da immagini di documenti ingialliti, che lentamente galleggiano davanti agli occhi. Le strutture politiche e le ideologie, secondo la Nakhova, sono simili all'architettura perché anche queste tendono a disintegrarsi.

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