Lo scrittore Vladimir Sharov (Foto: Evgeny Biatlov / Ria Novosti)
Vladimir Sharov, scrittore russo e saggista, ha debuttato per la carta stampata nel 1979 come poeta. Con la sua lunga barba grigia, Sharov ricorda molto Lev Tolstoj. Le sue opere sono pervase di motivi biblici e tentativi di ripensare la storia russa.
Quale significato ha per Lei il premio Russkij Booker?
Per me il premio rappresenta la possibilità di essere letto da molta più gente. Così è molto più semplice instaurare rapporti con le case editrici, sia russe che straniere, perché per loro il premio è sinonimo di tiratura. Più semplice è anche stabilire contatti con i traduttori, e per un letterato i traduttori sono la cosa più importante che possa capitare. Quando qualcuno lavora quasi con il tuo stesso tempo, il medesimo ritmo e lo stesso livello di immersione nel testo, tutto questo è semplicemente vita!
Potrebbe raccontare in due parole, per gli stranieri, in che cosa consiste il Suo romanzo “Ritorno in Egitto” e come è arrivato a simile soggetto?
A un certo momento ho cominciato a pensare che tutta la vita e la storia russa del XX secolo (ma anche della seconda metà del XIX) sia stato un tentativo di riscrivere “Le anime morte”, il secondo tomo che Nikolaj Gogol' diede al rogo, più il terzo incompiuto. Si è trattato di tentativi da parte degli scrittori e poi da parte anche del potere, terminati con grandi spargimenti di sangue e altro ancora. Si è trattato del processo di comprensione di Gogol' da parte di gente distante da lui due-tre generazioni, che ha visto e vissuto molto.
Si potrebbe dire che le Sue opere, in particolare “Ritorno in Egitto”, non siano per tutti, ma per un pubblico piuttosto di intellettuali?
Mi è difficile valutare. Chi scrive possiede un'autorità abbastanza estesa sul territorio del proprio romanzo. Ma quando il romanzo è già pubblicato, l'autore perde la sua priorità... E a me pare ch'egli non debba dare alcun commento al testo, bensì, semplicemente, ascoltare la gente che lo ha letto. C'è una grande differenza fra quello che scrivi e quello che, di fatto, hai scritto.
Lei conosce il Suo lettore? In qualche modo Lei si orienta rispetto a lui?
Io non mi rivolgo ad alcun tipo di lettore. Per me scrivere un romanzo è il tentativo di capire quelle cose che per me rimangono oscure e che verso la fine mi sembra di essere riuscito in parte a capire, anche se, per dire il vero, questa sensazione sparisce molto presto. Per me si tratta di uno strumento, se scrivo per qualcuno, scrivo per me stesso. Anche se, certamente, per me è sempre un regalo, quando qualcun altro legge le mie opere e parla con me di loro, o le disegna, le traduce, le pubblica. Il romanzo è come un bambino, finché è dentro di te, sai qualcosa di lui, non appena però è rotto il cordone ombelicale, esso comincia una nuova vita e tu semplicemente ti auguri che tutto vada nella direzione giusta. Non hai più alcun controllo su di lui e devi farti, modestamente, in disparte.
Su internet ho visto che la chiamano “l'ultimo cosmista russo”. Come Le sembra questa formula?
Io non mi considero cosmista. Anche se devo ammettere che quello che scrivo può essere interpretato in questa luce. Ritengo che senza Nikolaj Fedorov, Vladimir Vernadskij, Aleksandr Chizhevskij sia impossibile comprendere il XX secolo russo. Loro, con la loro concezione del mondo, hanno avuto un ruolo importantissimo nella cultura russa: sono stati vicinissimi a scrittori, Lev Tolstoj, Fedor Dostoevskij, a poeti, Vladimir Majakovskij, Velimir Chlebnikov, artisti, Pavel Filonov, Vasilij Chekrygin.
Come si potrebbe definire la corrente letteraria alla quale lei appartiene? Lei si sente continuatore di qualche tradizione?
Lo scrittore più importante del XX secolo, e non solo della lettertura russa, è per me Andrej Platonov. Ma quando qualcosa mi piace molto io non desidero ripeterlo, semplicemente me ne allontano per osservare con ammirazione. Io, semplicemente, ho alcune mie domande e sbagli, errori che cerco di chiarirmi. Mi piacerebbe quasi pensare di essere un po' cronista (letopisec) di quel tempo in cui non ho vissuto e che cerco di recuperare. Grandissima parte di quell'epoca è andata perduta nella guerra civile: non tutto è stato scritto e nemmeno archiviato, oppure è stato bruciato nelle stufe. Un cacciatore dalle tracce di un animale può stabilire che tipo di bestia sia, e così il paleontologo dalle ossa può ricostruire l'intero aspetto di una creatura e individuare il periodo a cui essa risale. Quello che io scrivo è il tentativo di riprendere quella vita che non è riflessa in alcun archivio, semplicemente, una vita umana che non è stata scritta.
Lo scrittore Pavel Basinskij nella sua colonna sulla short-list del secondo premio letterario “Bol'shaja Kniga” ha scritto che la prosa contemporanea si rivolge al passato, ad altri paesi e ad altri spazi. Da qui ha fatto sorgere la domanda: davvero vivere è diventato così poco interessante? Lei può commentare questa affermazione?
Io non posso rispondere per tutti, ma affinché la mia mano prenda a scrivere di qualcosa, ho bisogno di 30-40 anni di distanza almeno. La gente vive raccogliendo una quantità enorme di diverse impressioni: parla, lavora, va a teatro, passeggia e poi scrive un diario e qui già emerge una comprensione del tutto diversa del senso e del valore del giorno prima, rispetto a quella provata al momento stesso del vivere. Io non sono una persona che può raccogliere chiare impressioni immediate, ho bisogno che risiedano per qualche tempo. La vita scorre troppo in fretta per poterla stenografare.
Una domanda indiscreta: il montepremi del Booker russo è di 1,5 milioni di rubli, Lei ha già pensato a come spenderli?
Io, semplicemente, vivrò. Un romanzo si scrive in 5-6 anni, perciò, dividendo per questo periodo di tempo, il premio non è poi così consistente. Non credo che la mia vita cambierà, solo, la testa sarà liberata dal pensiero di come fare per mantenersi.
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