Chagall, le radici da riscoprire

Una delle opere in mostra (Foto: Evgeny Utkin)

Una delle opere in mostra (Foto: Evgeny Utkin)

Intervista a Claudia Zevi, curatrice della mostra di Milano che celebra il genio del pittore russo

Nella più grande retrospettiva italiana mai dedicata a Marc Chagall, allestita a Milano a Palazzo Reale, il pittore russo è ritratto nella sua fedeltà alla cultura d’origine, felicemente preservata nelle tempeste di una vita segnata dalla storia e dagli esili. È l’ideatrice e curatrice della mostra, Claudia Zevi, a porre l’accento sulle radici russe dell’artista, costitutive della sua originale modernità.

Chagall in mostra a Milano

Come nasce l'idea di una grande mostra su Chagall?

Volevamo spiegare come Chagall, artista dallo stile e dalla poetica riconoscibilissimi, che ha sempre goduto di grande successo, possieda una straordinaria attualità, dovuta proprio alla capacità di partire dalla tradizione russa delle favole e dei lubki, (stampe popolari, ndr), unirla alla cultura ebraica di famiglia e confrontarla successivamente con la prospettiva occidentale. Il suo è un ideale esempio di contaminazione, in cui la specificità della propria tradizione si sviluppa e si arricchisce nel confronto con altre culture.

Qual è, all’interno della mostra, lo spazio dedicato agli anni russi del pittore?

Ci sono sei sale che indagano la formazione di Chagall, dagli esordi nella nativa Vitebsk (oggi in Bielorussia, allora parte dell’Impero Russo, ndr), che torna come villaggio sullo sfondo di molte opere, anche della maturità. Degli anni russi sono inoltre i ritratti dei familiari e di Bella, l’amatissima moglie, conosciuta nel paese natale, protagonista anche della serie degli innamorati.

Il periodo di studio a San Pietroburgo è documentato per esempio dal prezioso quadretto "Le Petit salon", con il quale Chagall si presentò al maestro Lev Bakst, che lo ammonì sull'importanza di controllare i colori. Della permanenza a Mosca sono invece in mostra i disegni per i personaggi, le scenografie e i costumi del Teatro ebraico, riprodotto in dimensioni reali grazie a fotografie dell’epoca.

Com’è invece esplicitata in mostra la svolta dell’esilio a Parigi, nel 1923, dopo l’emarginazione seguita all’adesione entusiastica alla rivoluzione?

Il tema, quanto mai d’attualità, è centrale nella concezione della mostra; Chagall ne patì ben tre: a Parigi appunto, in America per le persecuzioni naziste e di nuovo in Francia. Le vicissitudini del viaggio che lo portò a lasciare la Russia ormai sovietica sono raccontate nei dettagli in un suo scritto inedito, scoperto di recente: è pubblicato nel catalogo della mostra e vi invito a leggerlo. Alla base delle motivazioni della fuga ci fu lo scontro con gli esponenti dell’avanguardia russa, votati all’astrattismo quanto Chagall credeva nel figurativismo.

Anche in esilio i temi russi restano vivi?

Assolutamente sì. Anzi, negli anni'40 a New York, provato dalla morte della moglie, Chagall ritrovò la sua creatività proprio lavorando ai bozzetti dell’opera "Aleko" di Rakhmaninov e del balletto "L’Uccello di fuoco" di Stravinskij, presenti in mostra. Di soggetto russo esponiamo anche le incisioni originali dell’autobiografia "Ma vie" con scene di vita rurale e le scenografie per il teatro di Gogol, con cui l'artista condivideva l’attenzione per le persone comuni.

Neppure il legame con il mondo sovietico si spezzò?

Non del tutto: Chagall tornò più volte in Unione Sovietica, accolto con grandi onori; in un’occasione firmò i suoi bozzetti del Teatro ebraico per la Galleria Tretjakov di Mosca. Rimase sempre, insomma, un ebreo russo impregnato della cultura d’origine, linea di sviluppo di tutta la sua arte.

L'articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Russia Beyond the Headlines del 17 settembre 2014

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