Le opere sono esposte a Palazzo Reale di Milano (Foto: Evgeny Utkin)
Quella modernità assoluta, sospesa tra poesia e favola. Tra un passato da comprendere e rielaborare all’infinito e l’ambizione smodata a costruire un futuro “magico” capace di incanalare il presente in una continua e avventurosa ricerca di senso. Ricerca pittorica, colorata, spiazzante. Surreale e allo stesso tempo radicata nel suolo della tradizione. Una ricerca che Marc Chagall compiva sempre a partire dalla sua terra: da quella Russia del primo Novecento che più che essere luogo geografico e storico, era luogo dello spirito. Luogo di contraddizioni, allo stesso tempo denso ed evanescente. Quasi un secolo d’arte, riassunto nella biografia di uno dei grandi maestri dell’arte del ‘900.
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Un tragitto esistenziale e artistico, un labirinto di colori e forme, che appare in tutta la sua avvolgente bellezza nella mostra dedicata al pittore, inaugurata oggi al Palazzo Reale di Milano. Oltre 220 opere – in esposizione fino al 1° febbraio 2015 - per quella che è di sicuro la più grande retrospettiva mai dedicata in Italia a Marc Chagall. Il catalogo è impressionante: dipinti che arrivano da collezioni private – e che a volte sono del tutto inediti per il grande pubblico – trovano il loro posto di fianco ai grandi capolavori che riempiono i libri di storia dell’arte. Da "Le Petit Salon", il suo primo quadro, che Chagall realizza durante una visita a San Pietroburgo, fino ai “monumenti” che hanno contraddistinto il suo lavoro nella seconda metà del secolo scorso.
Cultura ebraica, tradizione russa, lo spirito delle avanguardie. Sono queste, a voler semplificare, le coordinate artistiche e culturali attraverso cui si muove l’intera opera del pittore russo. Un mago della sintesi, un genio che affida ai colori e alle figure il compito di chiarificare il proprio mondo. Basta andare con la memoria, per esempio, a quella Introduzione al Teatro Ebraico, 1920, in cui Chagall mette in scena quello che a prima vista appare come un impossibile connubio: le scomposizioni che arrivano dal cubismo e i temi della propria storia personale. Tutto elaborato su commissione: era il 20 novembre del 1920 e Chagall inizia, su invito del critico Abram Efros, le decorazioni al Teatro ebraico statale Kamerny in via Tchernychevskij a Mosca.
La mostra al Palazzo Reale di Milano segue la vita del pittore in modo cronologico. Dalle opere realizzate in Russia prima del 1910 fino ai lavori del primo periodo parigino, quella fase di “eroici furori” interrotta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Un periodo di studio in cui Chagall può confrontare il suo lavoro con quelli di Henri Laurens, Amedeo Modigliani, Chaim Soutine. Un periodo in cui Chagall mette a fuoco la propria poetica: la forza della creatività e della poesia, l’arte utilizzata per ribaltare, trasfigurandolo, ogni luogo comune, ogni momento “normale” della vita quotidiana. Come non ricordare l’Omaggio ad Apollinaire: uomo e donna fusi in un unico corpo, il cuore trafitto e la mela della tentazione. La pittura che diventa la cronaca più affidabile delle trasformazioni dello spirito europeo.
Poi il ritorno in Russia, la fase rivoluzionaria della sua pittura. E l’arte sempre vissuta come una dimensione comunitaria. È il 1915 e Chagall espone al Salon artistico di Mosca. Sono i giorni del confronto con Blok, Esenin, Majakovskij. L’ebreo in rosso, L’ebreo in preghiera, Gli amanti in rosa, Lo Specchio. E poi l’impegno civile e politico per il nuovo Stato sovietico: come nel 1918, quando il pittore coordina i festeggiamenti e le manifestazioni artistiche collegate al primo anniversario della Rivoluzione.
Poi di nuovo via, nel 1921, questa volta per sempre. L’esilio a Parigi, l’Europa che viene a poco a poco coperta dalle ombre del nazismo e del fascismo. Chagall, origini ebree, deve fuggire. A Marsiglia, in Spagna, in Portogallo. Poi il viaggio in America, ultima spiaggia per sfuggire alle persecuzioni. E nel 1944 il ritorno in Francia, a guerra quasi finita e alle prese con l’insanabile dolore per la perdita di Bella Rosenfeld, nè più nè meno che l’amore della vita, la musa, l’amica con cui condividere ogni momento.
E dalla fine della guerra, fino alla sua morte, quasi centenario nel 1985, Chagall lavora sulle proprie origini ebraiche. Visita Israele nel 1957 e tre anni dopo “dona” alla Sinagoga dell’ospedale Hadassah Ein Karen una vetrata che rischierà di essere distrutta durante la Guerra dei Sei Giorni. Poi, nel 1966, progetta un affresco per il nuovo parlamento israeliano.
Ma la ricerca delle radici si compie durante i suoi ritorni in Russia. Viene accolto come un padre della Patria, ma rifiuta più volte di ritornare a Vitebsk, la sua città natale. Come a sottolineare che l’unica geografia possibile è quella dello spirito, quella di una coscienza sempre alle prese solo ed esclusivamente con il gesto pittorico come unico modo per aderire alla storia.
L'articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Russia Beyond the Headlines del 17 settembre 2014
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