Tcherniakov: Stravolgere tutto

Anche Verdi e La Traviata

Dmitri Tcherniakov (Foto: Ufficio Stampa)

Dmitri Tcherniakov (Foto: Ufficio Stampa)

Con La Traviata ha inaugurato la stagione alla Scala. Scatenando critiche e apprezzamenti per le scene e la regia. “Ho portato in scena questo spettacolo con estrema sincerità”

Chi lavora con lui lo descrive carismatico per la forza dell’intelligenza, pignolo nei dettagli fino al maniacale, costantemente immerso nei suoi pensieri artistici. Certo è che il russo Dmitri Tcherniakov è il regista che le scene dell’opera attendevano per un rinnovamento sostanziale, oltre che formale. Quarantatré anni, con il giubbotto di pelle che è diventato la sua divisa ha ancora l’aspetto di un ragazzo insolente.

Eppure la sua carriera è da veterano: nato a Mosca, da bambino ha studiato violino per otto anni, per poi diplomarsi all’Accademia russa di arte teatrale, appena trentenne si è imposto nel suo Paese con una manciata di regie per i Teatri Mariinskij e Bolshoj, che l’hanno proiettato nelle principali opera house d’Europa, a Londra, Parigi, Berlino, Madrid. Alla Scala, dopo i successi di Evgeny Onegin e del Giocatore e in attesa della Fidanzata dello zar il prossimo marzo, è tornato per inaugurare la stagione, nel bicentenario verdiano, con La Traviata, andata in scena fino al 3 gennaio. La sua regia e le sue scene, insieme ai costumi della russa Elena Zaytseva, hanno fatto discutere, tra il dissenso del pubblico della prima e l’appoggio della critica e dei giovani.

La vita

Nato a Mosca, da bambino ha studiato violino per otto anni, per poi diplomarsi all’Accademia russa di arte teatrale, appena trentenne si è imposto nel suo Paese con una manciata di regie per i Teatri Mariinsky e Bolshoj, che l’hanno proiettato nelle principali opera house d’Europa, a Londra, Parigi, Berlino e Madrid.

Maestro Tcherniakov, questa è la sua prima Traviata: come vi si è accostato da uomo contemporaneo e da artista russo? 

La prima volta che sentii quest’opera avevo 12 anni e la imparai tutta a memoria. Allora si trovavano solo registrazioni sovietiche degli anni ’40, cantate in russo, terribilmente tradotte: ne ricordo una dal Bolshoj, dove si sentiva distintamente la voce del suggeritore prima e poi quella del cantante. Oggi mi  sono accostato alla Traviata non senza timore, perché per l’Italia è come una sacra scrittura, La Scala è il suo tempio e mi hanno preceduto registi quali Visconti, Zeffirelli, Cavani. Ma pensando che uno spettacolo sia sempre una conversazione con il pubblico ho cercato di metterlo in scena con sincerità, perché chi è seduto in sala non veda i personaggi come “quelli”, con vite e pensieri lontani.

Quattro chiacchiere con il Primo
ballerino Vladimir Shkljarov

Che chiave ha usato per riuscirvi? 

Non mi interessava evidenziare convenienze sociali e pregiudizi morali della Traviata, perché ormai estranei al pubblico contemporaneo. Ho voluto invece uno spettacolo da camera, un teatro psicologico in interni fra i personaggi. Non importa in che epoca: la contemporaneità è una condizione. Volendo abbracciare tutti in una sala grande come La Scala ho usato un trucco: una scena raccolta e ravvicinata. A Bergman e al suo cinema di primi piani ho guardato per disegnare i personaggi: pochi e in spazi piccoli. 

Come nascono le sue regie?

Quando affronto un’opera per prima cosa la imparo a memoria, sia la musica che il testo. Devo conoscerla più di tutti gli altri, orchestrali, cantanti, direttore: solo così mi sento libero di riappropriarmene. Non mi interessa il tempo storico originale, spesso non lo mantengo ma scelgo l’ambientazione che mi permette di sentire l’opera nel modo più intenso. Non mi preoccupo neppure di stile né eleganza: la passione non è bella ma vera, e non devo vergognarmi di mostrarla. I miei eroi mi coinvolgono talmente che l’opera quasi non mi basta, vorrei seguirli anche oltre. Se invece mi si chiede come arrivo a creare qualcosa di nuovo, non so rispondere: so soltanto che è un tormento maledetto, una strada che non conosco e ogni volta cerco.

Come prende le critiche?

Mi interessa l’opinione di chi mi critica, perché mi piacciono le situazioni controverse. Il problema è che generalmente il pubblico non ama quello a cui non è abituato. Invece in teatro si è obbligati a proporre un nuovo punto di vista, un pensiero dalla direzione inaspettata.

Come vede il panorama della regia d’opera in Russia e Lei come vi si colloca?

Vorrei che in Russia si considerasse la regia d’opera come una vera arte teatrale e che i registi della mia generazione e di quella che verrà guardassero ad essa con fiducia e serietà. Qual è il mio posto non so: l’ultima opera che ho messo in scena in Russia risale a tre anni fa e purtroppo non ci sono progetti in vista.

L'articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Russia Oggi del 19 dicembre 2013

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