Moda, lo stile dietro la cortina di ferro

Colorati cappelli per tutti i gusti (Foto: Getty Images / Fotobank)

Colorati cappelli per tutti i gusti (Foto: Getty Images / Fotobank)

Calze di lana e foulard annodati sotto il mento. Poi l’arrivo delle collezioni occidentali. E quel cambiamento che segnò i gusti e le tendenze delle donne sovietiche

Quando, nel 1959, per la prima volta in Unione Sovietica arrivò una collezione di Christian Dior, sulle riviste di tutto il mondo vennero pubblicate fotografie di eleganti modelle francesi all’interno del Gum, il più importante grande magazzino di Mosca. Intorno a loro, una grande folla faceva da cornice. In Francia l’evento non avrebbe avuto nessun sensazionale riscontro. Ma in Russia, in quel periodo, fu un avvenimento che fece scalpore. 

Moda, i marchi russi tornano in patria

Nei primi anni Sessanta, infatti, l’Unione Sovietica era ancora saldamente dietro la Cortina di Ferro. E cercava di soddisfare le proprie necessità con la sola produzione interna. La moda proveniente dall’esterno era vietata. E le signore più anziane, veterane della Rivoluzione, vedevano nella cura del corpo un’apertura verso il capitalismo. 

Indossavano quindi abiti estremamente semplici. Portavano foulard annodati sotto il mento, come le babushke, e, a seconda della stagione, mettevano calze di lana o di cotone del tutto prive di tessuto elasticizzato, tanto che si raggrinzivano e facevano pieghe alle ginocchia e alle caviglie. Indossavano i sandali con le calze di cotone, per proteggere i piedi dalle vesciche. Gli uomini, soprattutto se di mezza età, indossavano completi grigio scuro o marrone, con camicie o magliette polo.

Capi che venivano lavati e stirati regolarmente, perché la gente aveva a cuore la propria igiene personale. Le donne bollivano le camicie bianche, le lenzuola e tutti i tessuti di casa in un secchio o in un grande pentolone direttamente sul fornello della cucina, utilizzando apposite pinze di legno per afferrare gli abiti bollenti, e in qualche caso li inamidavano troppo, finché non diventavano semi-rigidi.


Modelle di Christian Dior passeggiano per le strade di Mosca nel 1959 (Foto: Getty Images / Fotobank)

Ma ogni regola ha la sua eccezione. Mia nonna, per esempio, all’epoca poco più che quarantenne, si cuciva da sola abiti eleganti di colori accesi, copiando i modelli delle riviste di moda. Reperire i tessuti per quei vestiti era una scommessa. Una vera impresa. E quando riusciva a trovarli (quasi sempre perché conosceva le persone giuste) stava molto attenta a non sprecarne neppure un centimetro. Una volta si fece preparare da una modista un cappellino a tocco con uno scialle coordinato di pelliccia. È un peccato che siano andati persi, da allora, perché oggi sono tornati di moda.

Con l’avvento di rapporti più “tiepidi” con l’Occidente, l’esplorazione spaziale e il primo uomo spedito nello spazio, e l’entusiasmo universale per il progresso delle scienze e delle tecnologie, anche la vita sociale iniziò a cambiare in Unione Sovietica. La gente non era più disposta a tollerare uno stile di vita austero e indossare abiti dai colori spenti. I negozi iniziarono a fare scorta di alcuni prodotti di importazione, e le signore sovietiche poterono accedere a riviste straniere di moda che offrivano cartamodelli per cucirsi gli abiti da sole.

Naturalmente, il grosso del guardaroba femminile continuò a essere formato da indumenti prodotti su vasta scala. A quel tempo si diceva: “In Unione Sovietica non c’è la moda. Al suo posto c’è l’industria leggera”. In realtà, tutti gli abiti che arrivavano nei negozi erano disegnati in case di moda statali, erano passati al vaglio e controllati per accertare che fossero conformi agli ideali comunisti ed erano prodotti su vasta scala da fabbriche disseminate in tutto il Paese. Se vogliamo riconoscere i giusti meriti, tuttavia, dobbiamo aggiungere che molti di quei capi di abbigliamento erano di ottima qualità, duravano anni e spesso erano passati da una generazione all’altra. In ogni caso, nei negozi c’era un assortimento alquanto limitato di capi di vestiario: un paio di modelli di vestiti estivi, un paio di abiti invernali, un paio di guanti e un paio di stivali.


Un negozio durante il periodo sovietico (Foto: Corbis / FotoSA)

Le signore sovietiche si rifacevano talvolta con gli accessori di pelle, con capi di lana fatti a maglia e cosmetici importati dai Paesi socialisti. Fortuna insperata, spesso solo sognata, era entrare in possesso di un raro capo di abbigliamento italiano o francese, che costava una fortuna ed era arrivato soltanto tramite contatti personali, proprio come in un film di spionaggio. A quei tempi, infatti, in Unione Sovietica vendere al mercato nero un prodotto importato era un reato punibile con un lungo periodo di detenzione e con la confisca dei propri beni. Oltretutto, in Unione Sovietica era vietata qualsiasi valuta estera. I contrabbandieri ricorrevano a vari modi per ottenere i tanto ambiti capi di vestiario degli stranieri che si recavano in visita nel Paese: alcuni li chiedevano in cambio di souvenir sovietici o biglietti per il teatro, altri li ricevevano “in segno di amicizia eterna” dopo aver bevuto insieme qualche bicchiere di cognac armeno.

Alla fine, però, il desiderio di apparire attraenti si fece più potente e sconfisse la penuria. Iniziarono inoltre a essere proiettati sempre più spesso i film stranieri e alla televisione arrivavano notizie dall’estero. Nel 1957 Mosca ospitò il primo Festival mondiale dei giovani e degli studenti, che attirò nella capitale sovietica molte persone dall’estero. Oltre a ciò gli atleti e i registi sovietici furono autorizzati a viaggiare, a recarsi in trasferta all’estero, e naturalmente iniziarono così a portare in patria capi di abbigliamento per le loro famiglie e i loro amici. I giovani iniziarono a indossare trench alla moda e morbide giacche di lana pettinata.

Gli attori dei film sovietici degli anni Sessanta erano vestiti in linea con le ultime tendenza, per far vedere al mondo intero che la popolazione del nostro Paese sapeva vestirsi bene. I film stessi si fecero poco alla volta più liberali. In essi recitavano attrici che portavano i capelli sciolti, come Brigitte Bardot, e indossavano abiti senza maniche. Se una giovane donna si prendeva cura del proprio aspetto e seguiva la moda non era più vista male. La star per eccellenza di quell’epoca fu Tatiana Doronina, con la sua tipica acconciatura alla Babette. Ispirate dalle stelle del cinema, le signore sovietiche iniziarono a vestirsi come loro, con abiti a trapezio e calze con la riga dietro, a truccarsi gli occhi e a prediligere un’acconciatura alla Babette.

A rimanere indietro fu soltanto la moda per l’infanzia, del tutto assente sulla scena della moda sovietica. A quei tempi era possibile vestire i propri figli in maniera decente soltanto se si era capaci di cucire o se si riusciva mettere le mani su qualche capo di abbigliamento straniero. Di solito un maschietto che frequentava la scuola materna indossava calze di cotone attaccate con fibbie speciali ai calzoncini e una maglietta di cotone.

Ciò nonostante, in tutto questo c’era qualcosa di positivo. Molti russi provano ancora oggi nostalgia per gli anni Sessanta. Per di più, le camicie bianche indossate su calze opache molto spesse sono diventate adesso uno standard della moda in ogni parte del mondo, e non soltanto per i bambini. Per quanto riguarda gli abiti delle signore anziane di quel periodo, invece, essi sono diventati veri e propri oggetto di culto, ambiti dalle amanti del fashion dei giorni nostri.

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