Da una pallottola conficcata in una gamba, estratta in casa, senza nessuna precauzione medica, a un quadro familiare borghese, rassicurante, che sembra dominato dal benessere. Due poli attraverso cui disegnare la fenomenologia della famiglia russa contemporanea: il nucleo sociale di base che nell'assenza dello Stato, a metà degli anni '90, ha preso su di sé sia tutte le contraddizioni del Paese, sia una possibilità di redenzione dal malessere diffuso, da un'assenza delle istituzioni, dello stesso tessuto sociale, che rischiava di far sparire, per assenza di reti di protezione, l'intera nazione come comunità d'anime e di valori.
E' questo l'obiettivo nascosto in filigrana in The Banishment, il film del 2007 che ha consacrato sulla scena internazionale il talento di Andrey Zvyagintsev, uno dei massimi esponenti della nouvelle vague del cinema della Federazione. Nouvelle Vague perchè c'è un cambio di prospettiva tangibile nel cinema russo che inizia a crescere nel nuovo millennio: la narrazione non riguarda più solo e soltanto la dimensione pubblica, le dinamiche sociali rigide e allo stesso tempo dinamiche nella loro precarietà. Si va sul dettaglio, sulle microstorie. Sulle eccezzionali vite normali che accomunano migliaia di cittadini, alle prese con una tensione costante tra voglia di auto realizzazione e l'avere a che fare con le zone oscure che attraversano il Paese.
Prima di alcuni cenni sulla trama, alcune parole su quello che sembra essere la vera forza di Zvyagintsev. Una commistione, ai limiti della perfezione formale, tra la grande scuola russa del montaggio e una sensibilità stilistica che, nella sua modernità, è quanto di più lontano possa esserci da una ricezione acritica degli stilemi che nel mondo del cinema occidentale vanno per la maggiore. Basta osservare il succedersi, in The Banishment e negli altri lavori del regista quarantovenne, delle scene: è come trovarsi di fronte a quadri in movimento. La fotografia perfetta, nitida nell suo illuminare la soggettività del personaggio, sempre al servizio della storia e mai interpretata come un modo per creare fuochi artificali in pellicola, inutili nella loro sterilità.
La storia parla della dissoluzione del legame tra Alex e Vera, una coppia apparentemente felice che in un viaggio verso le radici, verso i luoghi lontani delle loro famiglie, scoprano via via crepe sempre più forti che saembrano allontanarli per sempre. Vera, già madre di due figli, confessa ad Alex che il bambino che porta in grembo è frutto di un tradimento. Alex perde la cognizione dei valori che fino a quel momento hanno orientato la sua vita. Si getta tra i consigli del fratello, Mark, che è quanto di più lontano possa esserci da un approdo sicuro. L'esistenza di Mark, infatti, è orientata dalla spietatezza, dalla sua volontà incontrollabile di ottenere tutto e al più presto. La vendetta si fa strada nella mente di Alex. Che progetta di uccidere colui che ritiene il padre del bambino.
Centotre giorni di riprese in quattro Paesi, per un film che ha diviso sia il pubblico che la critica di tutto il mondo. Tra accuse di aver reso in modo superficiale la vita dei personaggi ed elogi per lo sguardo stesso del regista, al contempo penetrante nei confronti dell'essenza dei personaggi e dei temi e distaccato quanto basta per poterle trasformare in oggetti cinematografici.In questo, un lavoro quasi letteraio, molto vicino allo spirito che anima The Laughing Matter, il romanzo del 1953 dello scrittore armeno-americano William Saroyan. Che in ogni sua parola ha sempre inserito uno scontro: quello che caratterizza i senza-patria, gli emigrati non solo in senso materiale, ma gli emigranti dello spirito, di coloro che si mettono in viaggio per osservare sempre più da vicino i luoghi in cui si fondano i valori che reggono la loro contemporanietà. The Banishment è anche questo: un viaggio nella morale, un viaggio alla ricerca dei confini, dei limiti, e dei fondamenti della morale.
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