Screenshot dal film "Shoes" (Foto: Ufficio Stampa)
Screenshot dal film "Shoes" (Foto: Ufficio Stampa)
Fino a poco tempo fa poche persone avevano sentito parlare di Konstantin Fam. È comparso all’improvviso sulla scena cinematografica mondiale. Nel 2012 ha vinto, uno dopo l’altro, tutti i premi dei principali festival europei. Infine, il suo film “Shoes” è stato candidato all’Oscar 2013 assieme a “Stalingrado” di Fedor Bondarchuk.
“Shoes” (Le Scarpette) è un commovente cortometraggio sull’Olocausto, nel quale non si ascolta una parola, né si vede un volto. Nel corso di tutta la pellicola, si vede solo un paio di scarpe rosse. Ciononostante, il corto ha un forte impatto sullo spettatore, più di qualsiasi altro film a grosso budget, dimostrando che la guerra può essere esplorata in maniera semplice, saggia e silenziosa.
Fam sa come raccontare una storia semplice. Egli stesso è una storia, anche se non delle più semplici. Sua madre è ebrea mentre suo padre vietnamita. Uno dei suoi nonni morì in Vietnam, mentre l’altro fu dichiarato disperso durante un combattimento. Sua nonna viveva nell’Ucraina occupata. “Mia madre si ricorda ancora di quando era costretta a cercare patate congelate nei campi e di come i loro corpi si gonfiassero per via dell’inedia. Ricorda di come un giorno bussarono alla porta, li insultarono e li cacciarono fuori, al freddo. La guerra è una tragedia per tutti, ma per gli ebrei fu così”.
Ha dedicato tutta la sua vita a realizzare film, o perlomeno ci ha provato. Ha girato decine di cortometraggi, serie e pubblicità, un curriculum normalissimo in questo settore. Pertanto, mai si sarebbe aspettato che “Shoes” potesse riscuotere un simile successo. E ciò non può essere dovuto solo alla tematica ebraica.
In realtà, sullo schermo non succede molto. Una ragazza si compra le scarpe dei suoi sogni. Si innamora, si sposa e ha dei figli. Sono una coppia normale, molto felice. Tutta questa felicità si frantuma allo scoppio della guerra. Una guerra che ha come obiettivo gente come loro. Nell’ultima scena si vedono le camere a gas chiudersi di colpo e montagne di scarpe senza padrone.
Alcuni potrebbero alzare le spalle o annoiarsi. Ma ben pochi rimangono indifferenti. Molte persone, di fatto, piangono durante le proiezioni di “Shoes”.
“Ho visitato Auschwitz otto anni fa, - racconta il regista. - Sono stato isterico per due ore, io, un uomo adulto. Non riuscivo a controllarmi. Quando vedi le scarpette dei bambini, ti chiedi come sia potuto succedere tutto ciò, come possa essere vero. Ho cinque figli e li porto ad Auschwitz ogni anno per raccontare loro quello che è successo. So che non è il miglior posto per un bambino, ma devono vederlo. Altrimenti non capiranno molte cose importanti della vita”.
Il regista russo Konstantin Fam: "Vado ogni anno con i miei cinque figli a Auschwitz" (Foto: Ufficio Stampa)
Consiglia sempre anche ai suoi amici di visitare Auschwitz. Fam ha degli amici particolari, fuori dal comune. Uno di loro visitò Auschwitz durante la luna di miele in Europa. Lo chiamò a Mosca e gli raccontò di trovarsi di fronte a una vetrina con esposto un paio di scarpe rosse uguali a quelle che aveva visto nel campo di concentramento. Da lì nacque l’idea del film. Un mese dopo, Fam si trovava già in Polonia per negoziare le riprese; si recò ad Auschwitz-Birkenau e a Majdanek. Visitò il ghetto di Cracovia e finì di scrivere la sceneggiatura in un piccolo motel, le cui finestre si affacciavano sulla camera mortuaria del campo di concentramento. Realizzò le riprese a Praga, Parigi e in Bielorussia. “Volevo assicurarmi che nessuno riuscisse a riconoscere il luogo in cui si svolge il film. Si tratta di un fatto che riguarda la storia di tutta Europa e non di un solo Paese”.
Ed è anche per questo motivo che non si vedono volti. Inquadrando un volto, la storia diventa subito personale. Non è un esperimento artistico, è la posizione del regista. Questo film è come un monumento al Milite Ignoto, o meglio, alle vittime sconosciute della guerra.
Il pubblico se ne accorge. Dopo aver visto il film, tutti rimangono un attimo in silenzio, per poi alzarsi e uscire dalla sala.
La reazione al film è stata più moderata in Occidente. Qui, del resto, sono uscite di recente due pellicole sull’Olocausto: “The Holocaust – Glue for Wallpaper?” (L’olocausto, colla per carta da parati?) e “Shoes”.
“Credo che abbiano paura, - dice Fam. - Questo tema mette in luce alcune azioni terribili. La Gestapo non era sufficiente per uccidere diversi milioni di ebrei. Ma lo fecero altri... Tutti vorremmo essere nipoti di eroi, ma chi vorrebbe essere discendente di criminali? I carnefici, i delatori hanno nipoti che vivono vicino a me; ciò mi spaventava. Sono cresciuto in un piccolo paesino in Ucraina. Da bambino non ti rendi conto che non hai i nonni come gli altri bambini e che gli altri non ti trattano bene. Poi, però, inizi a chiederti il perché di tutto ciò”.
Non si tratta solo di antisemitismo, credetemi. La gente non ama gli “altri”, in generale: ebrei, omosessuali, dissidenti. Questo atteggiamento imperiale, il desiderio di potere, sembra essere molto forte. Ma per superare una debolezza o una malattia è necessario innanzitutto riconoscerla. Sarebbe assurdo che una persona con problemi al fegato, presumesse di poter bere, solo per orgoglio. Devi chiedere aiuto, altrimenti finirai male. È necessario riconoscere i propri errori, altrimenti questi si accumulano e il dolore diventa insopportabile.
Una delegazione israeliana arrivò in Bielorussia. Una donna anziana con le stampelle si prostrò ai loro piedi, piangendo. “Perdonatemi!”, li supplicò la donna. “Perché?”, le chiesero i membri della delegazione. La donna raccontò loro che sua madre si era avvicinata a un fosso dove avevano gettato i corpi degli ebrei uccisi e aveva tolto le scarpe a una donna: si trattava di un elegante paio di scarpe rosse. “Me le fece indossare a me. Per tutta la vita ho avuto problemi alle gambe. Non lo sopporto più”, confessò la donna.
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“C’è un’altra storia. Alcuni ebrei arrivarono a una fattoria, uccisero l’ultima mucca rimasta e se la mangiarono. Erano affamati, avevano vagato per la foresta per giorni. La donna che viveva lì chiamò la polizia, che uccise gli ebrei. Ma picchiarono anche la donna e violentarono la figlia. I miei figli stanno crescendo. Mi auguro che non debbano mai trovarsi davanti a una scelta simile, ma devono sapere che cosa significhi. Viviamo in tempi relativamente tranquilli, ma un domani tutto potrebbe cambiare. Se non conosci la differenza tra il bene e il male potresti diventare un cattivo, un vigliacco, una bestia, anche se non te lo saresti mai aspettato da te stesso. Ma sarà ormai troppo tardi e non potrai più tornare indietro. Come potrai vivere con ciò?”.
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