Una voce dalla repressione stalinista

La testimonianza preziosa di un sorvegliante dei campi di concentramento sovietici nel "Diario di un guardiano del gulag" di Ivan Chistjakov (ed. Bruno Mondadori)
La copertina del libro

La testimonianza di un responsabile del funzionamento di un gulag, un tassello finora mancante nell'indagine scientifica sulla macchina di repressione staliniana. Ivan Chistjakov è inviato a presiedere ai lavori forzati per la costruzione della ferrovia Bajkal-Amur, di fatto una seconda Transiberiana.

Arruolato per sorvegliare i lavori, viene inglobato dal meccanismo del gulag, divenendo dapprima, suo malgrado, responsabile e guardiano dei detenuti, e infine vittima. Il diario infatti è incompiuto: la brusca interruzione è verosimilmente dovuta all'arresto del suo autore, che risulta avvenuto nel 1937-38.

Gli scritti, proposti al lettore italiano nella traduzione di Francesca Gori, è stato pubblicato grazie al lavoro del Centro Memorial per i diritti umani di Mosca, che lo ha ricevuto in dono. Un lungo e articolato saggio di Marcello Flores e la postfazione di Irina Shcherbakova aiutano a inquadrarlo storicamente.

Con una lucidità esacerbante Chistjakov descrive l'effetto graduale e disumanizzante che la vita nel gulag ha sul corpo, ma soprattutto sullo spirito. Sporcizia, gelo, freddo cronico, malattie, solitudine, l'assenza di un alloggio degno di questo nome, una fatica quotidiana sovrumana: tutte circostanze che pongono  Chistjakov sullo stesso livello dei prigionieri a cui deve fare la guardia.

"A guardar bene, noi facciamo una vita da prigionieri. Il servizio di una guardia armata va dalle sette di mattina alle sei di sera. Devi prenderti cura delle puttane e sono trecento. Rientri e vorresti riposare, ma ci sono i corsi, hai gli occhi che si chiudono per la stanchezza, ma i tuoi superiori hanno deciso che devi montare di guardia. Allora chi si sente più libero, gli zek o noi?".

Ad aggravare la sua posizione gioca un ruolo la sua mancata iscrizione al partito. "Noi, i senza partito, non ci difende nessuno". E ancora: "Io non sono un chekista e non pretendo di esserlo. Vorrei solo avere condizioni di vita normali".

In più, per Chistjakov, moscovita istruito dall'animo artistico – si diletta a dipingere – l'ignoranza e  la stolidità dei suoi superiori si rivelano deleterie fino condurlo al limite dell'autodistruzione e alla rovina. "È pazzesco, ma è possibile che l'unica possibilità di salvezza per me consista nell'annientarmi? Come vivere così? È duro confessarlo, ma è più di un anno che ci penso!".

Non saranno il congedo, né tanto meno il suicidio a liberarlo. Viene ucciso al fronte nella provincia di Tula nel 1941. Lasciando al mondo un documento straordinario, senza eguali nella storia della ricostruzione della memoria. 

Ivan Chistjakov
Diario di un guardiano del gulag
Bruno Mondadori 2012
Pagg. 234

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