L'attore americano Bruce Willis in un fermo immagine da "Die Hard 5 - Un buon giorno per morire" (Fonte: Kinopoisk.ru)
“Die Hard 5: un buon giorno per morire” esce per la grande distribuzione a Mosca (in Italia il 14 febbraio 2013, ndr). È una delle serie più popolari in Russia, ma dal difficile destino: John McClane ha fatto il suo ingresso nella nostra cultura in un momento in cui la diffusione cinematografica era già morta e quella video ancora non esisteva; per questo è stata un’impresa conoscere il poliziotto newyorchese, su pessime videocassette pirata con terribili traduzioni amatoriali.
L’amore però è stato immediato e totale. Se Schwarzenegger e Stallone erano seguiti principalmente da ragazzini e adolescenti, Willis è stato fin dall’inizio l’eroe degli adulti, uomini e donne.
Se non si contano le corse sfrenate a piedi nudi sui vetri e le sparatorie, il personaggio non fa niente di particolare. Qualsiasi uomo sa che prima o poi si ritroverà in mezzo a una catastrofe universale, stringerà i denti e farà quel che deve. Qualsiasi donna sogna un uomo così e ovviamente si vorrebbe che fosse pelato e ammiccasse un po’. La fiducia in Willis e nel suo personaggio è talmente alta da essere stata capitalizzata da una banca russa nella sua campagna pubblicitaria. Dai manifesti Willis guarda i passanti, socchiude gli occhi e sembra dire: prendi a credito, amico. Nella vita c’è spazio per le imprese.
L’azione di “Un buon giorno per morire” si svolge a Mosca, dove il figlio di John, Jack McClane, lavora sotto un altro nome proteggendo un ex delinquente e ora testimone d’accusa di un certo Komarov, pronto ad aprire gli occhi al mondo sul furto di plutonio da Chernobyl (mafia russa, plutonio, lotte tra clan: le idee di Hollywood sulla Russia non cambiano molto rapidamente, sempre che cambino). Quando Jack finisce nei pasticci e la sua vita è davvero in pericolo, il vecchio McLane si butta nella mischia, perché in fondo chi mai potrebbe occuparsene?
Per lo stesso Bruce, che ho incontrato subito dopo il ricevimento al 21mo piano del Fox-plaza, è facile spiegare il duraturo beneplacito del pubblico nei confronti del suo personaggio. "Secondo me, - afferma - John McClane è amato perché in realtà non è un supereroe. Non ha delle tecniche speciali o forze innate. È un tipo normale, che quando finisce in situazioni estreme capisce di essere semplicemente obbligato a lottare, se no finirà male per lui e per chi gli è vicino. Per questo gli spettatori non fanno fatica a mettersi al suo posto".
Possibile che in 25 anni non sia cambiato? Non abbia messo su un po’ di
muscoli? Non abbia imparato a saltare da un aereo senza paracadute?
Sì, certo è diventato più intelligente e, per dirla con un eufemismo,
è un po’ maturato, ma di base è rimasto lo stesso. Siamo noi, chi fa i film,
che cambiamo. Abbiamo nuove tecnologie, abbiamo imparato a realizzare scene
grandiose di scontri e inseguimenti, mentre lui, nel nuovo entourage, è rimasto
uguale: fedele, semplice e ironico.
Ho parlato poco tempo fa con Milla Jovovich che sta girando un film
d’azione che si svolge sempre a Mosca. Ora lei; come mai questo particolare
interesse per la città?
Questo bisognerebbe chiederlo agli sceneggiatori, io faccio l’attore.
Recito dove mi portano. Per quanto riguarda Mosca bisogna dire che ci sono
stato parecchie volte, con piacere e senza inseguitori. È una città molto
energica, ci sto bene. Questa volta abbiamo girato sul Sadovoe koltso e da parte
delle autorità cittadine c’è stata la massima disponibilità perché non ci fosse
nulla a ostacolare le riprese. L’organizzazione è stata all’altezza.
Non è stanco del suo personaggio?
Questo ruolo richiede sicuramente molte energie fisiche. Bisogna
correre e saltare di colpo in piedi. Ma mi tengo in forma e per ora ce la
faccio, anche se un po’ più lentamente che 25 anni fa. Anche il mio personaggio
però non si è bloccato nel tempo. Quindi per ora ce la caviamo. Però vorrei
farle notare che tutta questa serie di pellicole non parla soltanto di un eroe
vincente; ciascun film è anche sulla famiglia di McClane, sulle difficili
relazioni con la moglie, sui successi e le sconfitte nei rapporti con i figli.
E credo che sia aspetto non certo minoritario per comprendere il successo dei
quattro episodi precedenti e, mi auguro, di questo. In tal senso mi sembra che
il protagonista, passando di film in film, diventi più saggio e arricchisca
così l’azione, giustificando gli inseguimenti e le esplosioni. In questo senso non sono affatto stanco
perché per fortuna posso basarmi sull’esperienza personale di rapporto con tre
figlie che crescono e trasportarla in un modo o nell’altro sullo schermo.
Questo mi permette di credere che interpretando John non sono ancora arrivato
alla frutta.
Per leggere l'intervista in versione originale cliccare qui
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