Un'analisi sulle parole del Presidente Vladimir Putin alla Duma (Foto: Reuters / Vostock Photo)
Il primo discorso che Vladimir Putin ha rivolto all’Assemblea Federale da quando è ritornato alla presidenza ha delineato la sua visione per il futuro della Russia.
Il Presidente ha parlato di etica, dell’importanza geopolitica del Paese, dell’importanza dell’istruzione per lo sviluppo dello stesso, di demografia e della necessità di una “ristrutturazione” economica, parola che ha ormai rimpiazzato l’obsoleto termine “modernizzazione”.
Putin ha anche sottolineato quanto sia fondamentale tener conto dell’intera storia del Paese e non soltanto di quella del XX secolo. Ha detto: “La Russia non è iniziata nel 1917 e nemmeno nel 1991”, e ha parlato della minaccia del nazionalismo e di quanto sia determinante la svolta verso Est.
Prima del suo discorso, fonti del Cremlino avevano anticipato che una parte significativa del discorso del Presidente sarebbe stata dedicata alla sicurezza nazionale. Benché Putin abbia citato soltanto sporadicamente la “difesa” o la “politica estera”, il suo discorso è stato dedicato a una nuova visione di sicurezza nazionale.
Putin ha ribadito ciò che va dicendo dall’inizio del 2012: il mondo è un luogo estremamente pericoloso e la situazione non potrà che peggiorare da questo punto di vista. Ha detto che nessuno potrà isolarsi da quello che accade. Gli affari esteri e quelli interni saranno inseparabilmente collegati, si alimenteranno a vicenda, e creeranno un vortice turbolento.
La politica estera e interna del Cremlino è stata proprio finalizzata a ridurre al minimo questa turbolenza e a mitigarne i rischi correlati. In politica estera, Putin ha parlato di contrastare i tentativi di quei Paesi che intendono diffondere caos e abbattere gli ultimi pilastri rimasti del vecchio ordine mondiale.
Per quanto riguarda la Siria, la posizione di Putin è che quando non si possono migliorare le cose è indispensabile non peggiorarle. Se la Russia resta un attore influente in Siria, è uno di molti e ha limiti in ciò che può effettivamente ottenere.
Ecco perché l’enfasi data alla dicotomia tra affari esteri e interni, che definisce la sicurezza nazionale, si sta spostando in aree nelle quali ha più influenza e controllo. La stabilità interna dello Stato e della società è una garanzia della sicurezza nazionale.
Il discorso di Putin segna un distacco ulteriore dall’era post-sovietica. “Dobbiamo guardare soltanto avanti e focalizzarci sul futuro”, ha proclamato. Questo è ovviamente uno slogan, ma sta a indicare una presa di distanze significativa rispetto alle recriminazioni sulla perduta grandezza della Russia che hanno caratterizzato il pensiero politico degli ultimi venti anni dalla caduta dell’Unione Sovietica.
Il dibattito durante l’era post-sovietica era incentrato su questo: che cosa è meglio, l’Unione Sovietica o ciò che l’ha sostituita? E nel dibattito non si è mai presa in considerazione la millenaria storia della Russia. Il governo adesso cerca il materiale e le premesse necessarie a costruire un nuovo mito storico, nel quale i dibattiti sul ruolo di Stalin, insieme ad altri eventi, diventino semplicemente parte di un’internazionalizzazione generale del processo di sviluppo della nazione.
Il messaggio di Putin quindi instilla la speranza che la società russa voglia abbandonare una volte per tutte gli sterili discorsi sul XX secolo. La decisione di Putin di evocare la Prima Guerra Mondiale per la seconda volta quest’anno è anch’essa comprensibile: “I nostri predecessori l’hanno chiamata la Grande Guerra, ma fu immeritatamente dimenticata e trascurata dalla nostra memoria storica per ragioni politiche e ideologiche”.
Pare dunque che la celebrazione del duecentesimo anniversario della Guerra patriottica del 1812 sia soltanto l’inizio e preannunci eventi su larga scala destinati nel 2014 a rievocare la Prima Guerra Mondiale. L’enfasi data da Putin alla necessità di contrastare il nazionalismo – professata durante la sua campagna elettorale e ribadita nel suo discorso – lascia intuire che il Cremlino sia ben consapevole di dove si trova il nervo scoperto.
Anche qui l’eredità sovietica si è logorata: l’internazionalismo e la presunzione di uno Stato laico non sono più dati per scontati e devono essere difesi e riformulati. È evidente a chi siano dirette le parole di Putin sull’inaccettabilità di qualsiasi manifestazione di nazionalismo e di sciovinismo. Il messaggio col quale ha dichiarato che “non permetteremo che si affermino in Russia enclave etniche chiuse, con proprie giurisdizioni informali, che vivano al di fuori della compagine legale e culturale comune del Paese e che ignorino con disprezzo parametri inalienabili, leggi e normative” era diretto ai nazionalisti russi e a coloro che cercano di dar vita a comunità etniche nelle aree metropolitane.
Ma i principi tipicamente russi atti a istituire questa compagine legale e culturale non sono chiari. La Russia sta cessando di essere un impero ma, a causa della sua complessa composizione, non può diventare uno Stato-nazione qualsiasi come hanno fatto altre potenze coloniali dopo il loro tracollo.
Di conseguenza, in futuro la Russia rischia di abbinare il peggio di entrambi i mondi. Non è ancora chiaro se si possa fare tesoro di un modello che concede aspetti positivi di nation-building basati sul lascito imperiale o la componente etnica. Una simile compagine non avrebbe un valore adeguato.
Non è un caso se il leitmotiv del discorso del Presidente Putin è stato l’etica, concetto assai di rado pronunciato esplicitamente dai leader russi, per non parlare di metterlo in pratica. Ciò rappresenta anche una rottura rispetto al periodo conclusivo sovietico e all’epoca post-sovietica, ciascuno dei quali a suo modo prese le distanze da qualsivoglia ideale.
I romantici con l’ideale degli anni Sessanta che diedero inizio alla perestrojka furono un’eccezione, ma la loro subitanea fine politica rafforza soltanto l’avversione nei confronti dei valori. Durante i molti anni delle riforme, la trasformazione sociale è stata percepita soprattutto in termini strettamente economici.
Si garantiva che il pragmatismo sarebbe prevalso su ogni tipologia di idealismo. E ogni modello matematico è stato considerato più importante di un semplice contenuto adeguato di valori. Perfino gli accesi dibattiti sui “valori europei” hanno avuto una dimensione politica, addirittura geopolitica, ma mai veramente sostanziale. I valori, così pare, si stanno trasformando in un concetto ideologico, quantunque il tipo di tradizionalismo che sta emergendo proprio sotto i nostri occhi non sembri in alcun modo poter dare slancio allo sviluppo.
Ecco perché sono molto importanti i messaggi di Putin quando dice che “l’etica non può essere imposta per legge” e “i tentativi da parte del governo di intaccare i principi e le opinioni della popolazione sono una manifestazione di totalitarismo…, e questo è assolutamente inaccettabile”.
Quanto meno si tratta di qualcosa da ricordare quando i sostenitori più zelanti dell’etica dall’interno della Duma inizieranno ancora una volta a imporre la legge morale. Il ritorno del concetto di valore nel lessico politico è un progresso notevole se paragonato all’arrogante cinismo che è prevalso in precedenza.
Naturalmente, il Presidente si è appellato al suo argomento prediletto, quello della demografia, ricordando ancora una volta all’opinione pubblica che per avere successo nel mondo “dobbiamo essere di più e dobbiamo essere migliori”. Putin considera le risorse umane la vera premessa della sovranità, più importante ancora di tutte le altre risorse messe insieme.
In seguito egli ha anche introdotto il nuovo concetto dell’“importanza geopolitica” della Russia, in base al quale la “Russia non deve soltanto mantenersi com’è ma crescere”. Ha detto: “Deve creare domanda tra i nostri vicini e i nostri partner. Vorrei sottolineare che questo è nel nostro stesso interesse. E vale per la nostra economia, la cultura, la scienza e l’istruzione, come pure la nostra diplomazia, e in particolare la capacità di mobilitare azioni collettive a livello internazionale. E infine, ma non da meno, vale per la nostra potenza militare che garantisce la sicurezza e l’indipendenza della Russia”.
Importanza geopolitica significa avere la capacità di costruire relazioni differenti con centri di potere differenti in un mondo multipolare, offrendo loro ciò di cui necessitano. Questo è possibile, tenuto conto della situazione geopolitica di centralità della Russia, ma vi sono alcuni rischi. “Se una nazione non è in grado di preservarsi e di riprodursi, se perde i propri punti vitali di riferimento e i propri ideali, non ha bisogno di un nemico esterno per andare in rovina da sola”.
E questo potrebbe mettere fine una volta per tutte ai discorsi sulle ragioni che hanno determinato il crollo dell’Urss e che sono andati avanti per oltre venti anni. Negli ultimi anni è sembrato che la teoria del “complotto nemico” fosse diventato canonico, ma forse adesso qualcosa sta veramente cambiando.
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