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La copertina del libro |
Stupisce quanti libri sia riuscita a scrivere nel corso della sua pur breve vita Irene Némirovsky. Adelphi continua infatti a pubblicare opere inedite della scrittrice russa naturalizzata francese presentando un quadro sempre più chiaro della sua produzione e della sua visione dell'umanità.
Dopo il successo nel 2005 di “Suite francese”, è ora in libreria “La preda”, scritto nel 1936, ma pubblicato due anni dopo, ambientato nella Parigi degli anni Venti che accolse tanti esuli russi - come la Némirovsky stessa - in fuga dalla rivoluzione.
Il protagonista, come ne “Il signore delle anime”, è ancora una volta un uomo alla ricerca spasmodica del successo, disposto a tutto pur di raggiungerlo e di realizzare l'irrefrenabile desiderio di “afferrare il mondo a piene mani”.
Per diventare un uomo d'affari, per avere il potere non tanto il denaro, Jean Luc Daguerne costringe Edith, figlia di un influente e corrotto banchiere, a una matrimonio riparatore nella speranza che questo e il figlio che aspetta della ragazza possano aprirgli la strada del successo. Dopo il matrimonio, Jean Luc cambia forma, aspetto. Non è più innamorato di Edith, vuole a tutti i costi diventare qualcuno in quel mondo di ricchi banchieri e politici che circondano il suocero ma che lo ignorano. Ma dopo una serie di sfortunati eventi, arriva il momento del riscatto e da sconosciuto diventa finalmente qualcuno.
Come in altri romanzi, anche ne “La preda” la Némirovsky descrive la trasformazione interiore del suo protagonista, ne pennella l'animo, le sfumature chiaro-scure di un uomo disposto a mentire, a fare il doppio gioco, a vedere soffrire la moglie e il figlio malati, a tradire l'unico amico che ha pur di riuscire a farsi strada.
Ma a un certo punto Jean Luc deve fare i conti con la realtà e ammettere che “il successo, quando è lontano, ha la bellezza del sogno, ma non appena si trasferisce su un piano di realtà appare sordido e meschino”. E da predatore diventa preda, non già del successo, del denaro e del potere, ma dell'unica cosa che aveva finora soffocato e ignorato: l'amore.
“Si difendeva rabbiosamente: si ripeteva che essere schiavo dell'amore è indegno di un uomo, ma non poteva lottare contro tutta una parte del suo essere, affamata di tenerezza, che gli si risvegliava dentro, esigeva il suo nutrimento, e di cui lui, si sentiva diventare a sua volta preda. Innamorato... l'amore... si vergognava anche di pensarle, quelle parole”. La sua mente, il suo carattere spostano il centro di tutto del successo sull'amore, un amore però non corrisposto, doloroso che porta Jean Luc a un tragico destino.
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