Vignetta di Alexey Iorsh
Gli
accesi dibattiti in Gran Bretagna circa il contributo del Paese al bilancio
dell'Ue vengono visti da una diversa angolazione in Russia. Prima della crisi
attuale, e in particolare negli ultimi anni di vita dell'Unione Sovietica,
l'Unione Europea (precedentemente conosciuta come Comunità Europea) godeva di un'immagine
molto positiva in tutti i Paesi a Est della Polonia.
Per decenni, i discorsi su una “scelta europea” hanno rappresentato un
importante strumento utilizzato dagli intellettuali filo-occidentali e dai
media liberali per allontanare l'Ucraina, la Moldavia e altri Stati
post-sovietici (compresa la
Russia) dal tanto disprezzato e in effetti un po’ mitizzato “controllo
di Mosca” (un controllo incarnato dallo Stato sovietico fino al 1991 e in
seguito dal perennemente demonizzato “Cremlino”).
Adesso è chiaro che questa visione in bianco e nero dell'Europa e dello “spirito
europeo” è in realtà semplificata e fuorviante. “Li riconoscerete dai loro
frutti”, dice la Bibbia. Ma
se l'albero dell'Unione Europea è così buono, come ha potuto portare frutti del
genere?
Gli ultimi avvenimenti all'interno dell'Ue, tra cui la crisi del debito in
Grecia e in altri Paesi europei, ha portato la gente a interrogarsi circa le
vecchie pretese eurocentriche. Ad esempio, Fedor Lukyanov, caporedattore in
Russia della rivista Affari Globali e opinionista della radio La Voce della Russia, mi si è
avvicinato rivolgendomi una domanda schietta: la “scelta europea” esiste ancora
per i Paesi post-sovietici? E la tanto sbandierata “integrazione europea” rappresenta
ancora un fenomeno positivo, ad esempio, per l'Ucraina o la Moldavia come era stata
per la Germania
e la Francia
negli anni Cinquanta o per la
Spagna e il Portogallo negli anni Settanta?
Prendiamo il caso di Spagna e Portogallo. I partecipanti a un recente vertice
ibero-americano, tenutosi nella città spagnola di Cadice, sono
giunti a una splendida conclusione: i moderni Stati membri dell'Ue, e in
particolare la Spagna,
probabilmente hanno bisogno dei Paesi Brics (Brasile e Russia, in primo luogo )
probabilmente anche più di quanto i Brics non abbiano bisogno dell'Europa.
Una conclusione che si basa sulle statistiche comunicate nel corso del vertice,
a cui hanno partecipato 18 Paesi dell'America Latina, Spagna, Portogallo e
Andorra. Nonostante la Spagna
sia il secondo maggior investitore nelle economie latino-americane, sono gli
spagnoli che hanno chiesto aiuto all'America Latina, e non viceversa.
Il quotidiano spagnolo El Pais ha fornito alcuni dati al riguardo: la Spagna, con la
disoccupazione dilagante e il debito incombente, non può altro che provare
invidia verso i Paesi dell'America Latina, dove il numero di persone che vivono
al di sotto della soglia di povertà si è ridotto dal 50 per cento al 30 per
cento negli ultimi dieci anni e dove più del 50 per cento della popolazione è
ormai classe media.
Mentre le economie di Spagna e Portogallo mostrano tutti i segni della
recessione, i “grandi 20”
dell'America Latina dovrebbero crescere in media del 3,2 per cento quest'anno
(del 4 per cento secondo i più ottimisti). Non c'è da stupirsi che i presidenti
latino-americani mostrino un notevole livello di indipendenza e talvolta anche
un atteggiamento accondiscendente verso la Spagna e il Portogallo.
Ciò vale non solo per i presidenti di Cuba e del Venezuela, Raul Castro e Hugo
Chavez, che non hanno l'abitudine di recarsi ai vertici iberico-americani.
Questa volta anche il presidente dell'Argentina, Cristina Fernández de
Kirchner, non ha partecipato al vertice di Cadice perché i suoi medici le hanno
consigliato di non stancarsi con un volo transoceanico. Così ha preferito i
summit di Mercosur e Unasur, le varianti latino-americane “dell’Unione
Eurasiatica” che il Presidente russo Vladimir Putin sta cercando di creare con
i Paesi confinanti con la
Russia.
Al vertice di Cadice, i padroni di casa spagnoli e i loro
amici portoghesi non hanno dato alle loro ex colonie lezioni sulla libertà, la
democrazia e le elezioni. Ed è giunto il momento per gli altri Paesi dell’Ue di
adottare lo stesso atteggiamento verso i loro vicini orientali, Bielorussia,
Ucraina e Russia. Dopotutto, la
Bielorussia, per esempio, non ha meno motivi di scrollarsi di
dosso le critiche del suo ex padrone europeo, la Polonia, così come il
Brasile ha tutte le ragioni per ignorare l’atteggiamento condiscendente del
Portogallo, la sua “madrepatria” iberica.
Parole che possono essere tradotte in cifre. Numericamente, il Portogallo e la Bielorussia hanno
all'incirca la stessa popolazione (circa 10 milioni), entrambi hanno affrontato
una crisi finanziaria nel 2011. Ma la Bielorussia ha svalutato la propria moneta, ha
preso in prestito meno di 3 miliardi di dollari dalla Russia ed è riuscita a
superare la crisi quasi indenne.
Il Portogallo, dove la gente ha acquistato appartamenti con denaro preso in
prestito per decenni, ha ottenuto un pacchetto di salvataggio di 97 miliardi di
dollari da parte dell'Ue e del Fmi e adesso ne chiede di più. Il motivo è
semplice: avendo ceduto la propria indipendenza finanziaria all’eurozona, il
Portogallo non può svalutare la propria moneta, l'euro. Può solo prendere in
prestito più soldi.
È questa la “scelta europea” di cui si è tanto discusso? Allora non ne abbiamo
bisogno. E non tollereremo più lezioni. Negli anni Novanta, quando la Russia ha avuto un problema
di debito con i Paesi dell'Unione Europea, che all’epoca si riunirono nel Club di
Londra dei creditori, c’erano alcuni motivi per questo tipo di lezioni.
Ma l'Unione Europea fece la sua scelta: non concesse alcun regalo alla
Russia; non ha tirato fuori un solo centesimo quando la Russia ha di fatto
abbandonato il suo impero per il bene di quei (in gran parte mitizzati) “valori
europei”. Ora la Russia
sta dando credito ad alcuni Stati membri dell'Ue (tra cui Cipro, Irlanda e
alcuni altri insolventi “professori di democrazia”). Quindi, perché dovremmo
accettare atteggiamenti condiscendenti verso di noi?
L'ironia della storia può sistemare le cose. E le multietniche, insofferenti e
pionieristiche “estensioni” dell’Europa (in precedenza gli Stati Uniti, ora l’America
Latina, la Russia
e i Paesi eurasiatici) possono sopravvivere nel mondo moderno in maniera certamente
migliore dell’attempato, antipatico e in ultima analisi, arrogante Vecchio
Continente.
Dmitri Babich è un opinionista della radio “La Voce della Russia”
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