Vignetta di Alexey Iorsh
Il G20 non è il G8, ha una legittimità maggiore a fronte di una più ampia rappresentanza dei vari Paesi. Alla Russia servirà il talento di tutti i suoi ministri chiave se vorrà dimostrare che la sua rappresentanza non è la mera concessione formale di uno spazio per gli incontri.
Il G20, la riunione annuale dei capi di Stato delle maggiori economie mondiali, è figlia del panico che aveva invaso la comunità internazionale nell’autunno del 2008. I governi, sull’onda del fallimento della Lehman Brothers e del collasso finanziario generale, cercavano con ansia un mezzo per calmare almeno gli animi e non aggravare la situazione, prendendosi del tempo per mettere a punto un piano d’azione.
L’incontro del novembre 2008 organizzato in fretta e furia risultò utile. Il fatto stesso che i dirigenti delle nazioni più influenti si fossero ritrovati ebbe un effetto calmante sui mercati in subbuglio, poiché si diffuse la sensazione che tutti insieme avrebbero sicuramente risolto qualcosa. I vertici ch seguirono si tennero in un contesto più tranquillo e le aspettative furono lentamente ridimensionate. Fu chiaro che un tale format, nonostante i vantaggi rispetto ad altri, non poteva essere uno strumento miracoloso per una gestione a livello globale.
La situazione mondiale esige decisioni la cui portata al momento supera le possibilità dei politici. La globalizzazione ha raggiunto un determinato livello ed estensione e lancia sfide troppo concettuali e profonde, nelle quali la componente politica ed economica si intrecciano, cambiando in modo imprevedibile la direzione di marcia.
Ciò non significa che incontri come quelli del G20 siano privi di senso, ma si può parlare al massimo di una minimizzazione dei rischi, tanto più che i meccanismi di messa in atto delle decisioni concordate dai Venti non sono formalizzati e non resta che fare affidamento soltanto sul senso di responsabilità e sulla buona volontà dei partecipanti.
Ciascun Paese stila ogni volta le priorità per il proprio turno di presidenza, indicando i temi che ha intenzione di mettere in risalto nel corso dell’anno. La Russia non fa eccezione e i funzionari hanno già precisato gli orientamenti principali: il consolidamento della stabilità finanziaria, il problema della riduzione dei debiti pubblici, la creazione di stimoli per gli investimenti, la lotta alla disoccupazione. Tutte le questioni sono estremamente spinose e pressanti, quindi le accese discussioni sono garantite.
In effetti l’esperienza dei summit precedenti ne è testimone: anche l’agenda del giorno preparata nei minimi dettagli e curata con la massima attenzione va a monte se scoppia qualche grave crisi. Così è stato per la presidenza francese e quella messicana, costrette a discutere un solo tema: la crisi dei debiti sovrani in Grecia e le misure da attuare per spegnere l’incendio finanziario nella zona euro. Non si esclude che l’eterna questione greca mischi le carte anche sui tavoli di San Pietroburgo, anche se per ora pare che tutti guardino ad Atene come al classico problema di sempre, inevitabile e non molto interessante.
È chiaro che nel caso del Gruppo dei Venti Grandi valga il celebre detto secondo cui “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”. In altre parole, gli interlocutori principali saranno tre, al massimo quattro potenze: gli Stati Uniti, la Cina, l’Unione Europea – più precisamente la Germania che ne fa le veci – e può darsi il Giappone, per le dimensioni della sua economia.
È anche vero che la presenza di molti Paesi con differenti tipi di sistema politico ed economico dà alla discussione una legittimità ulteriore di cui è privo, per esempio, il G8, nato come club esclusivo dell’Occidente e, a conti fatti, rimasto tale anche oggi.
La punta di diamante della presidenza russa sarà il vertice del Brics, in programma a San Pietroburgo in margine all’evento generale. Benché il Brics non sia ancora diventato un polo consolidato per la presa di decisioni in merito alle questioni globali, il suo spettro crea uno stato di costante allarmismo negli stati occidentali.
Molto dipende dalle capacità organizzative e dalle ambizioni del Paese-presidente. La Francia di Nicolas Sarkozy aveva compiuto sforzi titanici per dimostrare che non stava mettendo soltanto a disposizione uno spazio per le sedute, ma era realmente alla guida di un processo mondiale. Peraltro gli è comunque riuscito solo in parte.
Durante la presidenza della Russia dell’Apec, la Cooperazione economica asiatico-pacifica, del 2012 (nella presidenza non rientra soltanto il vertice, ma anche una serie di incontri e di iniziative durante tutto l’arco dell’anno) molti hanno rilevato che i ministri strategici si sono dimostrati abili organizzatori delle sedute, alla fine delle quali riuscivano sempre a ottenere il consenso necessario.
Non è assolutamente facile, visto che la Cina, per esempio, si affrettava ogni volta a bloccare qualsiasi decisione. Negli incontri previsti all’interno della presidenza del G20 ci sarà bisogno di questi talenti in misura non certo minore.
Fedor Lukjanov è il direttore editoriale della rivista “Rossija v globalnoj politike” (“La Russia nella politica globale”) e capo del Consiglio sulla politica estera e di difesa
Intervento pubblicato in versione ridotta. Per leggere il testo originale cliccare qui
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