Il 29 novembre 2012 l'Onu delibera l'innalzamento dello status dell'autorità palestinese a Paese osservatore (Foto: Reuters/Vostock-Photo)
I palestinesi hanno indubbiamente ottenuto una vittoria morale con l'acquisizione dello status di Paese osservatore presso l'Onu. Ma quanto ciò li avvicini alla creazione di uno Stato vero e proprio è una domanda a cui ancora manca una risposta univoca.
Il voto sulla questione all'Assemblea generale dell'Onu è diventato un fattore di pressione su Israele. Sia per i risultati della votazione, che dimostrano come la schiacciante maggioranza dei Paesi membri - 138 Stati favorevoli e solo 9 contrari - simpatizzi per i palestinesi. Sia perché per loro si apre la possibilità di appellarsi in proprio al Tribunale penale dell'Aja con la richiesta di indagare sui crimini di guerra di Israele.
In teoria, una situazione del genere dovrebbe fungere da stimolo per la ripresa dei colloqui israelo-palestinesi. A tal proposito, l'ambasciatore della Russia all'Onu Vitaly Churkin ha osservato dopo la votazione: "Speriamo che anche Israele la recepisca come un importante segnale della comunità internazionale, ormai stanca dell'irrisolto conflitto israelo-palestinese".
Dello stesso tono anche la dichiarazione del presidente francese François Hollande: "I colloqui diretti sono l'unico mezzo efficace per risolvere il conflitto una volta per tutte. La Francia è pronta a dare il proprio contributo in questo senso, in qualità di Stato amico sia di Israele che della Palestina", si legge nel comunicato diffuso dal presidente.
È pronto alle trattative anche il leader dell'Autorità Nazionale Palestinese (Anp) Mahmud Abbas: "Siamo determinati a far valere i nostri diritti in maniera pacifica, per mezzo di colloqui. Non ci spaventeremo, continueremo a impiegare tutti gli sforzi possibili per raggiungere il nostro scopo in maniera pacifica".
Dall'altra parte, per il momento non c'è una posizione articolata e ufficiale di Tel Aviv. Ma l'opinione di Israele in sostanza si distacca ben poco da quella degli Usa. Come ha dichiarato l'ambasciatrice americana all'Onu Susan Rice, "è stata presa, purtroppo, una risoluzione controproduttiva che erigerà nuovi ostacoli sul percorso di pace. Proprio per questo gli Usa avevano espresso voto contrario".
La rappresentante Usa ha anche osservato: "Ciò che oggi viene solennemente proclamato si smorzerà ben presto; domani i palestinesi si sveglieranno e scopriranno che nella loro vita ben poco è cambiato, ma che si sono ridotte le probabilità di raggiungere una pace duratura".
Un altro problema è lo scisma tra i palestinesi che abitano sulla riva occidentale del Giordano e quelli della Striscia di Gaza. Abbas ha osservato in un colloquio con i giornalisti: "Noi palestinesi abbiamo i nostri problemi interni, siamo divisi. È giunto il momento di superare le nostre divisioni, è il momento di unire tutti i palestinesi".
Sulla riva occidentale del Giordano, dove governa l'Anp guidata da Abbas, domina la tendenza alla soluzione politica dei problemi. Altra cosa è la Striscia di Gaza, dove il potere è ancora in mano ad Hamas. Là i sentimenti sono completamente diversi.
Secondo il direttore del Centro di analisi dei conflitti mediorientali dell'Istituto Usa e Canada dell'Accademia delle Scienze russa Aleksandr Shumilin, "i governanti di Gaza, ovvero Hamas, non rigettano la risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu, ma non l'hanno nemmeno cercata, e i commenti dei leader di Hamas all'iniziativa di Mahmud Abbas sono stati sostanzialmente critici: si è detto che questo è l'ennesimo passo verso la capitolazione di Abbas, anche nei confronti di Israele, e verso l'abbandono del problema palestinese". "I leader di Hamas - ha sottolineato l'esperto - hanno una diversa visione di come risolvere il problema palestinese; vedono come una possibilità la liquidazione dello stato di Israele".
Riuscirà Abbas, con tutta questa diversità di approcci, a unire i palestinesi? È una bella domanda, ed essere divisi non è la condizione migliore per partecipare ai colloqui di pace. Un altro problema generato dalla decisione attuale è la svalutazione dei principi fondamentali su cui si basano le trattative.
Attualmente il processo di pace si fonda sugli accordi di Oslo, stipulati nel 1993. Il principale risultato di questi accordi è il riconoscimento reciproco e la creazione dell'Autorità Nazionale Palestinese. Sono rimasti irrisolti la questione dello status di Gerusalemme, il problema degli insediamenti israeliani e quello dei profughi. Erano temi destinati alle trattative successive, che però si sono arenate.
Secondo gli accordi, questi temi devono essere discussi direttamente da Israele e dall'Anp, senza ingerenze da parte di terzi. L'attuale risoluzione dell'Onu, invece, cambia lo status della Palestina senza consultare Israele. È un pretesto per svincolarsi dagli accordi di Oslo. Difficilmente verrà sfruttato appieno, ma di certo ora Israele ha uno strumento di contro-pressione che le tornerà utile nei prossimi colloqui. Che saranno inevitabili.
Non solo 138 Paesi hanno votato a favore della Palestina. Si tratta dell'Unione Europea quasi al completo, della Russia, della Cina, dei Paesi arabi. Significa che questi Paesi hanno capito che, nonostante tutta l'ambiguità della risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu, il processo di pace israelo-palestinese richiede una rapida soluzione, sullo sfondo della destabilizzazione che sta interessando oggi il Vicino Oriente.
Probabilmente il prossimo passo sarà un incontro del quartetto mediorientale. Secondo Churkin, "la Russia propone di organizzare a breve un incontro tra i ministri dei mediatori internazionali del processo di pace in Medio Oriente: Russia, Usa, Onu e Unione Europea". Stando ai risultati della votazione all'Onu, tre dei membri del quartetto sono pronti ad avviare le consultazioni.
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