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Credit: Niyaz Karim |
22 novembre 2012
Certe cose succedono solo a Mosca. Almeno, è così che mi piace pensare. Solo una città come questa, dove non ci si sente che insignificanti formichine in mezzo a un disordinato esercito di oltre 12 milioni di persone, può regalare l’emozione di un incontro del tutto inaspettato per strada.
Ed è proprio quando ci si convince che le possibilità di incrociare qualche conoscente siano pari a quelle di vincere la lotteria, che si fanno gli incontri più inaspettati. E sconvolgenti.
Esemplare la coincidenza che mi ha portato, durante il mio primo, lontano e solitario week end a Mosca, faccia a faccia con l’unica persona che sapevo in questa città.
Alcuni passanti sul Ponte Luzhkov di Mosca (Foto: Lori/Legionmedia)
Non conoscevo nessuno. A malapena avevo messo a fuoco la strada di casa, quando decido, in un soleggiato pomeriggio di domenica, di andare all’avventura per le vie del centro. Cartina in mano e dizionario in borsa, passeggio lungo l’anello che circonda il Cremlino, risalgo la via Tverskaya, mi perdo tra i boulevard che circondano piazza Pushkinskaya, e arrivo fino al Ponte Luzhkov, in piazza Bolotnaya. Un ponte per me come tanti, all’epoca, quando nella mia testa dovevo ancora iniziare a unire i puntini che, messi insieme, formano nel mio immaginario la grande e approssimativa mappa della città.
Mi fermo a guardare le acque della Moscova, i lucchetti degli innamorati appesi lungo gli alberi, le ragazze sui tacchi a spillo che passeggiano facendo ciondolare le loro borsette leopardate. Poi alzo gli occhi e, incredula, scorgo in mezzo alla folla un volto a me conosciuto. L’unico che io sapessi a Mosca. “Akioshi!”, ho urlato, facendo girare la gente che mi stava attorno.
A pochi metri da me, infatti, stava quel ragazzo giapponese che avevo conosciuto anni prima in un viaggio-studio, con il quale avevo mantenuto una sporadica corrispondenza via Facebook. Sapevo che in quei giorni si trovava a Mosca, e mi ero ripromessa di scrivergli per dargli appuntamento, visto che era l'unica spalla conosciuta alla quale potevo appoggiarmi in questa sconfinata città. Ma il caso, la vita, o forse Mosca stessa, ci hanno di gran lunga anticipato.
Ma questo non è che l’esempio più lampante di una serie di coincidenze che, periodicamente, mi portano esattamente laddove stanno per posare i loro piedi conoscenti a me più o meno stretti.
È capitato nel labirinto sotterraneo della metro, dove ho incrociato una ragazza con la quale avevo vissuto mesi prima e, successivamente, nel vagone del metrò, dove mi sono ritrovata davanti al fidanzato di una mia amica; è successo in un locale a Kitai Gorod, dove dalla porta è entrato, infreddolito, un ragazzo che mi era stato presentato al bar Bourbon nel week end; ma poi ancora nei club, nei parchi, fuori dalla fermata Mendeleevskaya (dove, tra l’altro, ho incrociato del tutto casualmente due ragazzi conosciuti anni fa all’università). Fino a rivedere Dasha, una sorridente e allegra ragazza di Mosca che dopo quel secondo casuale incontro, nel tempo, è diventata una grande amica.
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