I candidati delle presidenziali americane a confronto: in primo piano Barack Obama, rieletto alla Casa Bianca. Sullo sfondo lo sfidante repubblicano Mitt Romney (Foto: Ap)
È finito. Il lungo, costoso e tuttavia distensivo show politico intitolato “campagna per le elezioni presidenziali americane” si è concluso nelle prime ore del 7 novembre 2012. Aggiudicandosi il 50 per cento del voto popolare e sconfiggendo il suo avversario repubblicano Mitt Romney in otto dei nove Stati in bilico, il presidente in carica Barack Obama è stato rieletto.
L’analisi dei fattori che hanno portato alla sua vittoria terrà occupati gli esperti per i mesi a venire. Alcuni sosterranno che Obama sia stato favorito dall’uragano Sandy, che pare abbia fermato lo slancio della campagna di Romney. Altri ricondurranno il successo alla pubblicazione, a soli quattro giorni dalla consultazione, del rapporto sulla disoccupazione, risultata in calo.
Sta di fatto che, mentre gli americani si sono scoperti divisi quasi alla pari tra sostenitori di Obama e di Romney, il resto del mondo ha esplicitamente fatto il tifo per il primo. In realtà questo non dovrebbe stupire: nessuno può dubitare che in qualità di principale amministratore degli Stati Uniti, Obama metta sempre gli interessi della nazione al di sopra di qualsiasi altra considerazione. Eppure, in più occasioni, ha dimostrato la volontà di tenere quanto meno conto degli interessi di altri Paesi, a patto che questi non contraddicano l’America.
Tutto ciò è in palese contrasto con l’atteggiamento di Romney, che ha sprezzantemente giurato che non avrebbe mai “chiesto perdono” per l’operato degli Stati Uniti. E le cui dichiarate regole di ingaggio nei confronti degli altri Paesi – Israele escluso - potrebbero riassumersi nel detto popolare “o mangi questa minestra o ti butti dalla finestra”. Basterebbe già questo a indurre molti leader stranieri a considerare Obama un interlocutore più responsabile e affidabile.
È alquanto improbabile che la politica estera dell’amministrazione Obama cambi in modo radicale, ma sarebbe prematuro affermare che non vi saranno cambiamenti. Obama è un presidente focalizzato per lo più sulla politica interna e, come molti suoi predecessori, è poco attratto dalle questioni globali. In tali circostanze, la politica estera statunitense è spesso dirottata dal Segretario di Stato (o talvolta dal consigliere per la Sicurezza nazionale), e ci sono buoni motivi per ritenere che negli ultimi due anni a dettare le priorità dell’agenda internazionale degli Stati Uniti sia stata Hillary Clinton, Segretario di Stato Usa, e non il presidente stesso.
A gennaio 2013, però, la Clinton lascerà il suo incarico e fino a quando non si conoscerà il sostituto, i contorni della politica estera statunitense resteranno sfocati. Pare che il candidato con migliori probabilità di ricevere una nomina sia il senatore John Kerry, esperto e competente presidente della commissione per le Relazioni estere del Senato. Con Kerry al timone, ci si potrebbe aspettare un rinnovato coinvolgimento nei “grandi progetti”, come il processo di pace in Medio Oriente.
Al tempo stesso potrebbe ridursi però l’enfasi sulle questioni umanitarie globali, delle quali si è sempre fatta paladina Hillary Clinton. Mosca ha accolto favorevolmente la rielezione di Obama, e non perché il presidente americano abbia molti sostenitori nella classe dirigente russa. Le politiche russe nei confronti degli Usa sono costantemente reattive: Mosca non prende mai l’iniziativa nelle relazioni con Washington, preferendo agire di conseguenza a ciò che Washington fa o decide, che si tratti del vento gelido di un confronto diretto che soffiava ai tempi dell’amministrazione Bush o dell’assolata fase di “reset” offerta dal presidente Obama.
Agli occhi della leadership russa, Obama è in ogni caso un leader di qualità. E per il Cremlino è molto più conveniente riprendere i rapporti già instaurati, che investire tempo e sforzi nello sviluppo di nuovi. In linea con questo principio, la sensazione è che il Cremlino stia assumendo un atteggiamento di attesa, aspettando di conoscere il nuovo criterio sui rapporti tra Usa e Russia che si affermerà alla Casa Bianca, prima di arrivare di conseguenza ad assumere una posizione.
Sebbene questo tipo di approccio possa adattarsi bene alle modalità operative consuete degli apparati della politica estera della Federazione è veramente arduo comprendere in che modo tale approccio possa portare avanti gli importanti interessi nazionali.
L’autore è un analista politico che tiene un blog per "The Ivanov Report"
L'articolo è stato pubblicato sul numero cartaceo di "Russia Oggi" del 22 novembre 2012
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