Vignetta di Natalia Mikhailenko
La situazione attuale nelle zone teatro di azioni militari nel Vicino e nel Medio Oriente, come di consueto, non spinge ad essere ottimisti. Ma l'ottimismo politico è una categoria che non si addice a un'area che all'inizio del secondo decennio del XXI secolo ha subito dei cambiamenti paragonabili per rapidità e portata a quelli avvenuti in Europa alla fine del secondo decennio del XX secolo.
La primavera araba si va diffondendo, conquistando un Paese dopo l'altro, nonostante l'abbattimento dei regimi laici autoritari, che non ha portato a una democratizzazione di tipo occidentale ma al dominio dell'islamismo politico, abbia finito per impantanarsi nella Repubblica Araba della Siria.
In questo Paese la guerra civile nel giro di sei mesi ha assunto il carattere di una contrapposizione tra diverse comunità etno-confessionali, con un'attiva partecipazione di attori esterni, ciascuno dei quali persegue i propri scopi e interessi. I principali sponsor e organizzatori di questa guerra sono il Qatar, la Turchia e l'Arabia Saudita, appoggiati dall'Occidente.
La Siria si va trasformando gradualmente nel principale obiettivo dei volontari jihadisti-internazionalisti, il che rende più che probabile, qualora dovesse cadere il regime di Assad, la trasformazione del Paese in uno "stato non riuscito" o la sua disintegrazione. La formazione dell'ennesima "opposizione unita" a Doha dimostra l'esistenza di un'alleanza tra Qatar, Turchia, Usa e Francia, in cui l'Arabia Saudita svolge un ruolo indipendente appoggiando i gruppi radicali salafiti.
Secondo gli oppositori del regime non è possibile raggiungere alcun compromesso. Tutti i progetti, inclusi quelli russi, che mirano a eliminare le contrapposizioni interne alla Repubblica Araba Siriana verranno bloccati con la massima fermezza. La visita ufficiale del ministro degli Esteri della Federazione Russa Sergei Lavrov nella penisola Araba ha dimostrato che da parte degli attori locali manca non solo la volontà di prendere in considerazione l'opinione della Russia riguardo la situazione siriana, ma persino quella di discutere con Mosca con un minimo di correttezza.
Quest'ultima circostanza testimonia l'efficacia della tattica della Federazione Russa e della Cina, che nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu hanno bloccato l'approvazione di una risoluzione volta ad aprire la strada all'intervento straniero secondo lo scenario già visto in Libia. Ciò non esclude l'istituzione di una zona interdetta al volo, la creazione di enclave territoriali al confine con la Turchia non sottoposte al controllo di Damasco, dove verrebbe formato un governo rivoluzionario come alternativa ad Assad, e la partecipazione alle operazioni contro l'esercito siriano e le forze di sicurezza dei corpi speciali occidentali, aggirando l'Onu.
Una “primavera centroasiatica” è possibile
La rinascita dell'islamismo politico negli stati del Vicino e Medio Oriente comporta il tentativo di una sua diffusione oltre i confini di quell'area.
Pertanto, la probabilità che si organizzi una "primavera centroasiatica" in Uzbekistan e in Kazakhstan in occasione dell'imminente ricambio generazionale dei leader di questi Paesi, utilizzando come piazze d'armi i territori del Kirghizistan e del Tagikistan, è altissima. Quest'ultimo fattore comporterebbe una diffusione dell'"islamizzazione democratica" nel Suar cinese (la regione autonoma del Sinzian-Ujgur), e in alcune aree della Russia, lungo il fiume Volga e il Mar Caspio.
Tecnicamente, organizzare delle rivolte e fomentare le contrapposizioni tra gli islamici e le autorità locali nelle regioni interne della Federazione Russa e nelle zone vicine al confine Nord Occidentale della Cina con gli slogan della libertà di religione e della giustizia sociale, con l'appoggio della "comunità internazionale" non è un obiettivo impossibile. Le cellule salafite nell'Asia Centrale e in Russia e i separatisti dell'Ujgur in Cina possono essere tanto più facilmente coinvolti nella realizzazione di questo scenario in quanto i finanziamenti e il sostegno che ricevono provengono dagli stessi centri di influenza che hanno reso possibile la primavera araba.
Le probabilità per la Federazione Russa di stroncare il pericolo islamico sul proprio territorio sono piuttosto alte, anche se, come dimostra la situazione operativa nel Caucaso del Nord (soprattutto in Daghestan, ma anche nel Tatarstan e nel Bashkortostan), non è il caso di stare troppo tranquilli. L'operazione antiterroristica a Kazan ha dimostrato quanto siano profonde le radici del problema. Il tema della cooperazione con i governi dell'Asia Centrale e con la Cina è particolarmente attuale, soprattutto alla vigilia del ritiro delle truppe di occupazione Usa (e di poche altre truppe di altri Paesi della coalizione) dall'Afghanistan.
Mosca resta in disparte
Dobbiamo osservare che le possibilità per la Federazione Russa di esercitare un'influenza diretta sugli stati che promuovono la diffusione della primavera araba e la rinascita politica islamica sono estremamente limitate, se non addirittura nulle, per lo meno nel loro stesso territorio. L'unico Paese dell'area interessato al dialogo con la Russia, per via dei suoi interessi economici, è la Turchia, che conduce però il dialogo alle proprie condizioni e secondo le sue regole, destreggiandosi tra l'Occidente, i Paesi arabi, la Cina e la Russia.
Le monarchie del Golfo Persico mostrano una crescente ostilità nei confronti di Mosca; la retorica dei mass media cartacei ed elettronici sotto il loro controllo ricorda i tempi della guerra in Afghanistan negli anni Ottanta, con la differenza che dell'Unione Sovietica esse avevano paura, mentre la Russia nel migliore dei casi la ignorano.
La Repubblica Islamica dell'Iran non prova alcuna riconoscenza per la Russia, né per il sostegno ricevuto per tanti anni presso l'Onu, né per il completamento della costruzione, nonostante le pressioni internazionali degli stati contrari, della centrale atomica elettrica di Bushehr, benché la lobby iraniana a Mosca cerchi ancora come un tempo di trovare appoggio nella Russia per contrapporsi all'Occidente.
Inoltre, nonostante le attese dei fautori della cooperazione russo-iraniana, l'Iran continua a pretendere la revisione delle zone di influenza nel Caspio, per non parlare della vertenza presso il tribunale arbitrale internazionale contro la Russia per essersi rifiutata di fornire gli impianti missilistici C-300 dopo l'introduzione delle sanzioni internazionali contro l'Iran. Considerando che Gazprom sul mercato europeo sta subendo una crescente pressione da parte di Qatar e Algeria, le cui forniture di gas sono destinate a ridurre la dipendenza energetica dell'Ue dalla Federazione Russa, le limitazioni imposte all'Iran per l'esportazione di gas e petrolio non rappresentano un problema per Mosca, ma piuttosto un vantaggio.
Evgeny Satanovsky è presidente dell'Istituto del Vicino Oriente
L'articolo originale è stato pubblicato su Voenno Promyshlennyj Kurer
Tutti i diritti riservati da Rossiyskaya Gazeta
Iscriviti
alla nostra newsletter!
Ricevi il meglio delle nostre storie ogni settimana direttamente sulla tua email