Non lontano scorrono le acque del Volga. Tutto intorno, foreste. È qui, dove l’inverno arriva presto, e le vecchie tradizioni si intrecciano prepotentemente con il presente, che Alexei Fedorchenko ha tratto ispirazione per il suo ultimo, atteso film. Un lavoro che porta un nome dal sapore lontano: “Spose celestiali dei mari di pianura” (Nebesnye zheny lugovykh mari), che concorrerà insieme ad altri 13 lungometraggi (più due a sorpresa) alla settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, dal 9 al 17 novembre 2012.
Con la stessa poetica malinconia con la quale ha trattato “Silent Souls” (vincitore nel 2010 a Venezia del premio alla fotografia, del premio della critica internazionale e quello della critica on line), Fedorchenko torna a parlare di uomini, di popoli, di terre lontane. A fare da cornice alla storia, la Repubblica dei Mari, una zona pianeggiante situata nella parte orientale europea della Federazione Russa. Sullo sfondo, le vite di 22 donne del luogo, ognuna delle quali si chiama con un nome che inizia per “o”: storie al femminile, ritratte in singoli, delicati racconti.
Aiutato nella produzione dallo scrittore e sceneggiatore Denis Osokin (con il quale aveva collaborato anche alla realizzazione di “Silent Souls”), a distanza di diversi anni Fedorchenko si è rimesso sulle tracce di quella stessa popolazione che aveva già ritratto nel 2005 all’interno del suo documentario “Shosho”.
Insieme a Julia Aug, Yana Esipovich, Vasiliy Domrachev e Daria Ekamasova, che fanno parte del cast, Fedorchenko è tornato in quei luoghi, per fissare sulla pellicola la vita degli uomini del posto, utilizzando come attori anche gli abitanti di quelle zone.
Il film, inizialmente annunciato come papabile candidato all’edizione 2012 della Mostra del Cinema di Venezia, è stato definito dallo stesso regista un “film modello”, il “Decamerone della Repubblica dei Mari”, dove tragedia, dramma e commedia si intrecciano, puntando i riflettori su una comunità al contrario dimenticata. Un lavoro ricco di quella componente di ciò che in russo si chiama etnicheskij mifologii, ovvero mitologia etnica.
Quella di Fedorchenko non è comunque l’unica pellicola russa presentata all’ombra del Colosseo: fuori concorso, nella sezione CinemaXXI, Ivan Vyrypaev arriva con il suo “Delhi dance” (Tanets Deli), realizzato sulle musiche di Andrei Samsonov, con Karolina Gruszka e Igor Gordin. Un nome tutt’altro che nuovo al pubblico italiano, dal momento che nel 2006 con “Euphoria” il regista russo ha portato a casa il “Leoncino d’oro Agiscuola” alla Mostra del Cinema di Venezia.
Nonostante il titolo, “nel film non c’è nessun tratto orientale”, ha confessato Vyrypaev in un’intervista al giornale Rbc Daily. “La trama si snoda attorno alla storia di una ballerina che ha inventato una danza che porta questo nome. E la pellicola è stata quasi interamente girata all’interno di un ospedale cittadino”.
Realizzato con un budget di 400mila dollari, il film viene definito dallo stesso regista un omaggio alla comunicazione: “D’altronde fra i problemi più urgenti che dobbiamo affrontare oggi – ha spiegato -, c’è quello di voler cambiare il mondo. Ma per dare il via a un vero cambiamento, esso deve partire innanzitutto all’interno dell’uomo”.
In cartellone anche il cortometraggio in concorso “Eternità” del duo Provmyza, composto da Galina Myznikova e Sergei Provorov, autori di alcuni lavori che in passato hanno partecipato anche al Film Festival Internazionale di Milano e al Festival Internazionale del Film sull'Arte e di Biografie d'Artista di Asolo (Treviso).
Tra i film fuori concorso, anche quello del tagiko Bakhtiar Khudojnazarov “Aspettando il mare” (V ozhidanii morja), autore di “Pari e patta” (Kosh ba kosh), vincitore nel 1993 del Leone d’Argento – Premio speciale per la Regia, alla 50esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
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