La svolta di Tbilisi

Vignetta di Victor Bogorad

Vignetta di Victor Bogorad

È ingenuo aspettarsi un rapido slancio nei rapporti russo-georgiani, ma ci sono già le premesse per sperare in un riconoscimento dei contrasti e di conseguenza nell’inizio di un dialogo

Le elezioni parlamentari in Georgia si possono considerare definitivamente concluse, dopo che l’organo superiore di rappresentanza del potere e il gabinetto dei ministri sono stati formati. La Repubblica caucasica arriva alla fine del 2012 con un nuovo rappresentante del governo (lo è diventato il leader della coalizione “Sogno georgiano”, Bidzina Ivanishvili) e un nuovo portavoce del parlamento (per questa carica è stato eletto il giurista David Usupashvili, leader del Partito Repubblicano).

Il paesaggio politico interno ha subito mutamenti sostanziali. E il nuovo governo mostra in tutti i modi gli sforzi che sta compiendo per sottoporre a verifica l’eredità del precedente decennio. Così, i rappresentanti del vincente “Sogno georgiano” hanno già annunciato la necessità di una riesamina del corso politico nei confronti dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Per la prima volta dopo l’agosto del 2008 è risuonato l’appello per passare a trattative dirette con i due Stati de facto. La squadra di Ivanishvili ha riassunto l’approccio che avrà nei confronti di Suchimi e Cchinvali con una metafora: “Tutto tranne il riconoscimento”.

Durante la campagna elettorale parlamentare i rappresentanti di “Sogno georgiano” hanno rimproverato a più riprese gli avversari del “Movimento nazionale unito” per la loro mancanza di flessibilità e incapacità di allacciare relazioni adeguate con la Russia. Per questo Mikhail Saakashvili ha accusato più volte Ivanishvili di avere rapporti con il Cremlino e un’eccessiva premura riguardo agli interessi russi.

Le lotte elettorali però sono ormai acqua passata. Le emozioni si sono stemperate e al posto degli esercizi retorici devono arrivare le azioni concrete. Di recente Paata Zakarejshvili, il nuovo ministro della Georgia per la Reintegrazione, ha dichiarato che “le nuove forze politiche sono per la Russia l’occasione per normalizzare i rapporti bilaterali”. Il 1° novembre 2012 è entrato in carica in Georgia il Rappresentante speciale per i rapporti con la Russia: ricopre questo ruolo il diplomatico Zurab Abashidze, che dal 2000 al 2004 è stato ambasciatore della Repubblica georgiana in Russia.

Ma fino a che punto la squadra di Ivanishvili è pronta a realizzare le promesse elettorali e ad affrontare pesanti cambiamenti nella politica estera? Per rispondere a questa domanda si deve fare subito una precisazione. Il nuovo governo e parlamento hanno già dei paletti per qualsiasi manovra nell’arena internazionale.

Innanzitutto, si dica quel che si vuole sulla sconfitta di Saakashvili, ma rimane fino al 2013 il presidente del Paese, continuando a controllare la Cancelleria statale (il corrispettivo dell’Amministrazione presidenziale) e il suo partito “Movimento nazionale unito” ha 65 mandati in Parlamento, il che non è poco. Aggiungiamoci anche le risorse mediatiche e i contatti all’estero. La squadra di Ivanishvili deve fare i conti con tutto questo, tanto più che anche al suo interno non tutti muoiono dalla voglia di riavvicinarsi a Mosca.

In secondo luogo, salvo le forti divergenze in materia di politica interna, “Sogno georgiano” e “Movimento nazionale unito” hanno preso non poche posizioni sulle quali le due forze leader del Paese esprimono un parere comune. Ci riferiamo in primo luogo alle prospettive di integrazione europea e nordatlantica. Grazie alla fortunata iniziativa di alcuni pubblicisti russi l’immagine di Ivanishvili che si è consolidata è quella di un lobbista degli interessi della Federazione. Siamo però ben lontani dalla verità. La sua coalizione è composta da varie forze, tra cui il Partito Repubblicano. Proprio i repubblicani, a partire dagli anni Novanta, si sono ripetutamente schierati contro l’entrata del Paese nella Csi e la presenza di basi militari russe sul territorio, oltre che all’ingresso nella Nato e nell’Ue.

Tale posizione venne resa nota dal partito ancora quando in Georgia di Mikhail Saakashvili non si sapeva pressoché nulla. E anche gli ex funzionari di Eduard Shevardnadze, entrati nella squadra di Ivanishvili, a loro tempo diedero un contributo considerevole nell’inasprimento dei rapporti con il vicino settentrionale.

Uno dei primi incontri di Ivanishvili dopo la sua vittoria è avvenuto con James Appathurai, rappresentante speciale del Segretario generale della Nato per il Caucaso e l’Asia centrale. Inoltre, durante e dopo la campagna, Ivanishvili e compagni avevano dichiarato di volere mantenere la precedente posizione pro Usa e pro Nato.

In terzo luogo, nella stessa società georgiana, nonostante tutte le lamentele contro Saakashvili, non si è ancora pronti a riconoscere il fatto che l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud non ritornino sotto la giurisdizione di Tbilisi. E a oggi i cittadini georgiani non sono pronti a pagare un tale “prezzo di domanda”, quale sarebbe l’amicizia con la Russia, con il riconoscimento di due ex autonomie al di fuori della composizione della Georgia. Qualunque politico, per quanto voglia fare la pace con Mosca, deve tenere conto di questo fattore. Ecco quindi che i nuovi poteri di Tbilisi, pur con tutti i loro buoni propositi, non si stanno precipitando a revocare la legislazione sui “territori occupati”.

Nel frattempo entrambe le parti sono interessate a normalizzare la situazione. La Georgia vorrebbe ripristinare i preziosissimi contatti economici. Nonostante tutte le audaci dichiarazioni sulle riforme di mercato secondo il modello occidentale, il Paese rimane pur sempre in buona misura agricolo. Anche se il 50 per cento dei cittadini georgiani è coinvolto nel lavoro agricolo, questo settore costituisce soltanto l’8 per cento del Pil nazionale. Oggi per i contadini georgiani e per l’industria alimentare gli sbocchi sui mercati russi sarebbero estremamente importanti.

Di rilevanza non minore è la questione della sicurezza. In questo caso anche gli interessi di Mosca sono del tutto evidenti. I recenti incidenti nell’area limitrofa del Daghestan hanno dimostrato che sui confini caucasici c’è una terza forza (gli islamisti radicali) per la quale sia la Russia sia la Georgia sono avversari. Promuovere sforzi congiunti in questa direzione non sarebbe di troppo.

Non ci si deve nemmeno dimenticare dei contatti umanitari (la numerosa diaspora georgiana nella Federazione russa) e delle relazioni tra le due chiese ortodosse. Il Patriarcato di Mosca riconosce finora l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud come territori canonici dell’ortodossia georgiana. In tal modo, al di là delle due repubbliche a “riconoscimento parziale”, la Russia e la Georgia hanno un particolare menu politico che permette loro di iniziare un dialogo.

È chiaro che aspettarsi un miracolo e un rapido slancio sarebbe quantomeno ingenuo. Ma le due parti possono fare un passo verso un maggiore pragmatismo. È assolutamente fattibile raggiungere una situazione in cui i contrasti non si smentiscano a vicenda, ma si riconoscano. La loro messa in discussione o risoluzione non si delinea come una minaccia mortale alla sovranità statale o una sfida per gli interessi del Paese confinante.

Sergej Markedonov è Visiting Fellow al Centro di Studi strategici e internazionali (Washington, Usa)

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