Il ministro russo degli Esteri Sergei Lavrov (Reuters/Vostock Photo)
Nel suo intervento all’Assemblea generale dell’Onu, ha parlato dell’inammissibilità di ogni ingerenza negli affari interni degli Stati. Vale solo per gli avvenimenti nel Vicino Oriente o anche per la Russia?
Il principio di non ingerenza negli affari interni degli Stati è scritto nello Statuto dell’Onu. È un postulato
fondamentale, un principio su cui si fonda il diritto internazionale. Se permettiamo di infrangerlo o di prendere alla leggera la sua violazione, ci sarà una reazione a catena. Il mondo sprofonderà nel caos, come possiamo già vedere nel Vicino Oriente.
Considerando le divergenze tra Russia e Usa su una serie di questioni - la difesa antimissilistica, i temi della protezione dei diritti umani e dei rapporti internazionali - si può dire che il “reset” è fallito?
La direzione che fu scelta allora, quella della cooperazione, si è rivelata giusta. Abbiamo ampliato il dialogo bilaterale ottenendo importanti risultati. Naturalmente, ci sono anche diversi problemi. Per esempio, le decisioni americane purtroppo vengono prese senza considerare i nostri interessi. A proposito di “reset”, considerandoche il termine proviene dal mondo dei computer, appare subito chiaro che non può durare troppo a lungo. Altrimenti non si tratta più di resettare, ma di un baco nel programma. Non bisogna fissarsi sul nome delle diverse tappe del processo. È meglio pensare a come sviluppare i rapporti.
Come evolverà la situazione in Siria?
Ci sono due possibilità. Se le rassicurazioni sul fatto che la priorità numero uno adesso di salvare vite umane sono sincere, allora bisogna portare a compimento gli accordi di Ginevra. Ossia, costringere tutti a deporre le armi e sedersi al tavolo delle trattative. Se invece la priorità numero uno è abbattere il regime e Bashar Assad, allora noi non potremo essere di alcun aiuto. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non
si occupa di questo, per definizione. Si tratterebbe di un’istigazione a continuare una guerra fratricida, e noi dovremmo semplicemente capire che il prezzo da pagare per questa ossessione geopolitica di sostituire il regime esistente in Siria è di migliaia di vite umane. Parlando con i miei colleghi ho percepito che si rendono conto dell’inesistenza di alternative a questi due scenari, eppure non sono ancora pronti a rinunciare al proprio sogno geopolitico. Questo mi rattrista.
L'intervista è stata pubblicata su "Kommersant" e ripresa nel numero cartaceo di "Russia Oggi" del 18 ottobre 2012
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