(Foto: Corrado Frullani)
C'è un nuovo ponte che lega la tradizione teatrale russa e il teatro italiano: la pedagogia. Insegnare a insegnare il teatro si può, superando l'idea condivisa nel Belpaese che basti essere un buon attore o un buon regista per essere anche un buon insegnante di recitazione. È Alessandra Comanducci, presidentessa del Cantiere Obraz di Firenze e parte attiva dell'omonimo Laboratorio Permanente diretto da Nikolaj Karpov, capo del Dipartimento di Movimento Scenico presso l'Università Statale d'Arte Drammatica Russa (Gitis) di Mosca, che ci spiega come è possibile integrare l'attività di attore con l'insegnamento attraverso la continua sperimentazione.
“Riusciamo a riunire queste due anime con lo studio e con il lavoro - afferma Alessandra Comanducci - siamo consapevoli che bisogna studiare in modo specifico ed è per questo che oltre a praticare l'insegnamento, siamo in un costante percorso di formazione come allievi-pedagoghi seguiti da Karpov”. In Russia, infatti, sono necessari due anni di studio pari a un nostro dottorato per diventare pedagogo del teatro, una pratica non ancora diffusa in Italia.
Il Laboratorio Permanente Cantiere Obraz di Firenze nasce nel 2006 dalla volontà di un gruppo di attori di proseguire il lavoro fatto durante i seminari di Nikolaj Karpov ed è lo stesso maestro che sostiene e spinge questa iniziativa. Dopo i “Capricci dell’Amore”, che ha debuttato a Lucca nel 2007, il Laboratorio Permanente ha portato in scena “Il Ponte” del drammaturgo polacco Jerzy Szaniawski nel 2010 con la regia di Maria Shmaevich, collaboratrice di Karpov sia in Italia che in Russia e docente al Gitis di Mosca.
Nell'aprile 2012, in occasione della Primavera Biomeccanica, la prima manifestazione interamente dedicata alla Biomeccanica Teatrale organizzata in tutta la Toscana da Cantiere Obraz, gli attori del Laboratorio Permanente portano in scena Maskarad di Mikhail Lermontov, nuovamente diretti da Maria Shmaevich. La nuova produzione di questo ambizioso progetto teatrale italo-russo presenta l'opera di Lermontov nella prima stesura applicando all’allestimento il metodo delle azioni fisiche nell’elaborazione di Karpov. “La prospettiva che Karpov ti propone come attore è realmente particolare – racconta la Comanducci -. Innanzitutto c'è il ruolo del movimento sulla scena: il corpo deve essere agile, infinitamente reattivo e portatore di senso. Parallelamente l’analisi del testo ti porta, come attore, a cercare soluzioni interessanti e originali, espresse per mezzo delle azioni fisiche”.
Sulla scena si crea quello che nel lessico teatrale si chiama Obraz, un termine russo che significa "immagine" o in senso più letterale "figura" e che dà il nome al Laboratorio Permanete di Karpov. “Il termine Obraz viene anche utilizzato per definire la risultante fra l'attore e il personaggio, un concetto praticamente intraducibile in italiano con una sola parola - spiega la Comanducci -, un termine che rappresenta perfettamente la nostra idea di teatro ed è stato naturale sceglierlo come nostro nome”. Il gruppo sta lavorando all'adattamento teatrale di Guerra e Pace, in programma nel 2013.
“Il progetto è in fase di definizione - afferma la Comanducci - ma abbiamo iniziato già a lavorare sul testo. È molto interessante perché per la prima volta non partiamo da un testo teatrale in cui tutto è da inventare, ma da un testo letterario in cui le situazioni sono descritte minuziosamente”.
“Il teatro deve essere vivo e interessante, ma per essere vivo deve essere fatto in modo professionale”. Nikolaj Karpov inaugura così la nostra chiacchierata sul teatro e sulla pedagogia teatrale, in occasione di un seminario intensivo tenutosi a Firenze a ottobre 2012 e, soprattutto, in occasione della riunione dei direttori e dei pedagoghi delle principali accademie d'Europa. I partner del Festival "Prima del Teatro", che dal 1992 è diventato la Scuola Europea per l'Arte dell'Attore con sede a San Miniato a Pisa, si sono incontrati per riflettere sulla formazione teatrale cercando di colmare quella lacuna che lo stesso Karpov evidenzia nella tradizione teatrale italiana: la mancanza di una pedagogia teatrale e di regia.
Come nasce il suo rapporto con l'Italia?
Della mia collaborazione e del mio lavoro in Italia si può parlare a
lungo, ma il mio primo contatto con l'ambiente teatrale italiano è avvenuto nel
1990 durante il Festival “Prima del Teatro”, dopo di che sono stato invitato a
tenere un laboratorio e a preparare lo spettacolo di fine corso all’Accademia
di Roma Silvio D’Amico. Da allora ho partecipato a tutte le edizioni di “Prima
del Teatro” e ho iniziato una proficua e lunga collaborazione con il Centro
Sperimentale di Cinematografia di Roma. Nel 1993, l’allora direttore della
Scuola del Teatro Stabile di Torino Luca Ronconi mi ha invitato a collaborare
con loro. Successivamente ho avuto tanti altri incontri con diverse scuole e
accademie teatrali italiane: sono stato cofondatore del Centro internazionale
La Cometa, poi ho seguito la messa in scena di Romeo e Giulietta, in
collaborazione col teatro Stabile della Calabria. Ora collaboro con la scuola Filodrammatici di Milano, con la Silvio d’Amico di Roma e a Torino con la Scuola del teatro Stabile. Ho
conosciuto Alessandro Preziosi quando è diventato direttore artistico della
scuola Link Accademy e da questo incontro è nato il progetto di collaborazione
per la messa in scena del Cyrano de Bergerac. Non voglio dimenticare il seminario organizzato col sostegno del
Teatro del Giglio che dal 2004 si svolge a Lucca ogni estate. Il merito
particolare di questo laboratorio è che ha dato la possibilità di avvicinarsi
al mio metodo anche a giovani attori che non frequentano accademie
istituzionali.
Qual è la sua idea di teatro? E come questa si lega
alla tradizione teatrale italiana?
Per me il teatro deve essere vivo e interessante e, affinché lo
sia, è necessario che sia fatto in modo professionale. A mio avviso, una parte del teatro italiano corrisponde perfettamente a questa
idea, parlo dei tecnici del suono e delle luci, degli scenografi, costumisti,
tecnici della scena, compositori, ma se la regia non è professionale, non c'è
tecnica che tenga e il teatro non vive. Poiché per me il centro del teatro è l'attore,
egli deve essere rassicurato, tutelato da una regia professionale. In Italia ci sono moti registi bravi e professionali, ma ognuno di
loro è arrivato a questa professione, facendo il proprio percorso e non sempre, durante il percorso
personale, si riescono ad assimilare le
nozioni di base che servono per praticare questa professione. Manca una
formazione professionale e istituzionalizzata per la regia. Certo, ci sono
alcuni casi sporadici, come l'Accademia Silvio D’Amico che da alcuni anni ha
attivato corsi di regia e ha avuto anche già risultati positivi da questa
formazione, ma non basta. Quando un attore, pur avendo un'ottima formazione
alle spalle grazie alle tante scuole teatrali dedicate agli attori, capita
nelle mani di un regista che non ha fatto questo percorso vengono fuori i
problemi e diventa difficile riuscire a vedere il teatro vivo. Il regista deve prima di tutto saper lavorare con gli attori, poi
proporre le sue idee che arricchiranno la scena. Mi è capitato spesso,
lavorando a una messa in scena, che tutti mi domandino: Dimmi Nikolaj che luci
vuoi, che scenografia avrai e quali costumi? La mia risposta è: signori miei
fatemi prima vedere gli attori almeno, fatemeli incontrare. Perché per me
l’attore è al primo posto nel processo creativo, è grazie a lui che avviene
quel momento di arte creativa da proporre al pubblico.
Quanto c'è della tradizione di Stanislavskij, Mejerchold e Mikhail Cechov nel
suo metodo di insegnamento? Come ha trovato un punto di incontro tra i loro
diversi metodi?
Oggi bisogna insegnare
un metodo che l'attore possa applicare da subito sulla scena e nessun metodo
lavora a favore dell'attore se non si evolve. Se per esempio prendiamo i metodi
di Stanislavskij o di Mikhail Cechov
esattamente come questi grandi maestri li avevano fondati e li trasportiamo a
oggi, non possono funzionare così come sono. Per me è importante prendere
quelle caratteristiche del metodo che si possono far evolvere, prendere ciò che
ci incuriosisce o ci interessa di un metodo e di un altro e poi farli
incontrare. Io ho riflettuto molto su come poter trovare un punto di incontro e
proprio su questo punto di incontro baso il mio metodo. Si può dire che ho
fatto una sintesi e ho trovato il mio modo di lavorare con l'attore, quando
dico sintesi intendo la possibilità di unire in modo logico diversi spunti e
proporre un percorso che fin'ora sta dando i suoi risultati. Poi devo ammettere
di essere stato fortunato, perché uno dei miei maestri era la diretta allieva
di Stanislavskij e ha lasciato un'impronta
importante nella mia formazione, è stata la
base sulla quale ho costruito tutto il resto.
Può spiegarci
il suo metodo di insegnamento e l'importanza del corpo dell'attore nell'azione scenica?
Ci capita spesso di
sentire o leggere dell'importanza del corpo dell'attore in scena, ma la
questione riguarda il modo di realizzare la presenza dell'attore dal punto di
vista pratico. Per me è importante il lavoro di preparazione che l'attore ha
fatto usando il suo corpo come uno strumento, quanto questo strumento sia stato
educato a lavorare. Quando incontro un attore penso: che tipo di strumento si
presenta davanti a me, uno strumento che ha solo due corde o una tastiera di
pianoforte? Cosa posso suonare con questo strumento? Per me è molto importante che il
corpo dell'attore possa suonare molte e diverse opere sia classiche che
contemporanee, e che queste opere vengano recitate in modi diversi. Prima di
cominciare a suonare, giocare e recitare con questo strumento, bisogna
formarlo. Noi abbiamo un corpo dato dalla natura, la questione è se riusciamo
pienamente a usarlo oppure no. Nel voler rispondere a tutti questi compiti e
obiettivi ho impostato il metodo con il quale e sul quale sto lavorando.
Bisogna lavorare per allargare la scala delle possibilità del corpo-strumento.
Come si può fare? Nella nostra pedagogia teatrale tradizionale si insegna una
materia che si chiama movimento scenico a cui è stata affiancata nel tempo la
biomeccanica teatrale elaborata da Mejerchold. Io ho cercato di usare il metodo
di Mejerchol'd legandolo a tutta la tradizione di insegnamento del movimento
scenico e allora è avvenuta questa simbiosi tra le due tradizioni. Prima veniva
insegnato il movimento scenico separato dalla biomeccanica teatrale, ma in
realtà le cose non stanno così, perché qualsiasi movimento noi abbiamo
intenzione di eseguire viene fatto secondo le leggi della biomeccanica. Io non
ho la pretesa di applicare oggi la biomeccanica nello stesso modo in cui la
applicavano i diretti allievi di Mejerchold, perché parto dal punto di vista
del teatro contemporaneo, ma
usando l’esperienza possiamo far rivivere e attualizzare quello che
veniva insegnato allora.
Lei è
il direttore del Laboratorio permanente di Biomeccanica teatrale, Cantiere Obraz, a Firenze. Perché ha sentito la
necessità di creare un gruppo di attori italiani per praticare sulla scena il suo metodo? Come li ha
scelti?
C'è stata soprattutto
la volontà di offrire una conclusione logica al percorso fatto dagli attori che
hanno iniziato a seguire i miei laboratori. Progressivamente è nata la
necessità di sperimentare di fronte al pubblico quello che stavano imparando.
Il gruppo si è formato con gli attori che si sono dedicati con maggior
interesse ad acquisire questo metodo e sono riusciti ad assimilarlo più degli
altri. Quando ho diretto il primo spettacolo del gruppo, “Capricci dell'amore”,
è stato subito chiaro che c'era la voglia di continuare, di fare altri
esperimenti. Questo periodo coincide con il
momento in cui Maria Shmaevich ha iniziato a lavorare attivamente sulla regia
dopo essersi diplomata regista al Gitis, ed è lei che tuttora segue la regia
degli spettacoli del Laboratorio Permanente Cantiere Obraz. Naturalmente non è molto facile fare gli spettacoli nell’ambito del
Laboratorio Permanente sia da un punto di vista organizzativo che della
produzione, ma se oggi questo lavoro e questa collaborazione continuano vuol
dire che il desiderio di lavorare e sperimentare è più grande di tutte le
difficoltà che si presentano e non sono poche. Non sarebbe male riuscire a
trovare un sostegno per questo gruppo di attori che ormai lavora a tempo pieno
sullo studio e la messa in pratica del mio metodo. Chiudere
questa esperienza sarebbe un grande errore, un grande dispiacere, non trovo
altre parole per dirlo. Cantiere Obraz avanti!
Quali
sono i nuovi progetti per l'anno in corso?
Se parliamo dei miei
impegni in Italia, la priorità è sicuramente di continuare a lavorare con le
scuole con cui da anni collaboro, poi abbiamo intenzione di avviare un laboratorio
per i pedagoghi. Si tratta di un laboratorio di lunga durata, pensiamo a una
formazione di tre anni. E poi, per la prossima estate 2013, mi piacerebbe
trovare una nuova formula per curare il mio laboratorio estivo a Lucca, ma non
svelo ancora nulla. Sento questa necessità e spero davvero di riuscire a fare
qualcosa che non ho ancora fatto o sperimentato.
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