Cuba, ricordando la crisi missilistica

Vignetta di Alexei Iorsh

Vignetta di Alexei Iorsh

A distanza di 50 anni esatti, il commentatore politico Eugene Ivanov ripercorre le tappe di uno dei momenti più critici della Guerra Fredda, con il pericoloso testa a testa tra Usa e Urss che tenne sulle spine il mondo intero

Avevo otto anni quando scoppiò la crisi dei missili di Cuba. Che ci crediate o no, la ricordo chiaramente. Nonostante la tenera età, ero particolarmente interessato alla politica. Ascoltare la radio e leggere i giornali, erano ormai azioni entrate a far parte della mia routine quotidiana.

 

Ovviamente, il quadro completo di quello che veramente accadde in quei tredici fatidici giorni di ottobre del 1962 iniziò a formarsi solamente quando divenni grande. D’altronde non era possibile pretendere di avere le idee chiare con la propaganda sovietica dell’epoca. Ma ricordo perfettamente il tentativo di spingere i cubani e il loro carismatico leader Fidel Castro a ribellarsi contro gli “imperialisti”, contro gli Stati Uniti d’America. Un invito accompagnato dalla rassicurazione che l’esercito sovietico sarebbe stato in grado di sconfiggere chiunque avesse cercato di interrompere il cammino pacifico verso la costruzione del comunismo.


Ricordo poi una conversazione avvenuta nel cuore della notte tra i miei genitori, convinti che io stessi dormendo nella mia stanza. Parlando a bassa voce, nel tentativo di non svegliarmi, mia madre chiese con ansia a mio padre cosa stesse accadendo. Lui, un uomo quieto e riflessivo, rispose cercando di apparire calmo e fiducioso. Senza però credere lui stesso a quello che stava dicendo, così come ho capito solamente molti anni più tardi.


Finalmente, quando la crisi cessò, mi restò impressa una vignetta pubblicata sulla prima pagina della Pravda: il disegno rappresentava il leader sovietico, Nikita Krusciov, come il capitano di una nave, con il timone in mano. Al centro del timone c’era una bussola, e l’ago indicava la parola “pace”. Mi sono riempito d’orgoglio nel rendermi conto che vivevo in un Paese che aveva contribuito a preservare la pace.


La volta successiva in cui tornai a fare i conti con questa crisi, fu quando mio figlio a scuola, non molti anni fa (vivevamo già negli Stati Uniti), decise di scrivere un tema sulla crisi dei missili di Cuba. Fui felice di questa sua scelta e, con entusiasmo, mi misi a rispolverare alcuni documenti per aiutarlo. Improvvisamente i miei ricordi di infanzia tornarono ad essere nitidi, compresa la vignetta sulla Pravda.


In una forma che avrebbe fatto commuovere anche un veterano della Guerra Fredda, mio figlio scrisse che un giovane presidente americano riuscì a superare in astuzia un vecchio e stolto leader russo. La conclusione del tema era piuttosto semplice: scoppiò la crisi. Gli americani vinsero. L’Unione Sovietica perse.


Decisi di non criticare l’opera di mio figlio. Tuttavia non riuscii a trattenermi del tutto, e gli chiesi: “Beh, visto che gli Stati Uniti possedevano basi militari vicino all’Unione Sovietica, in Turchia, perché allora all’Unione Sovietica non era concesso di tenere basi militari a Cuba, ovvero vicino agli Stati Uniti?”. Mio figlio non seppe rispondermi. Di questa cosa, in classe, non avevano discusso.


L’anniversario di qualsiasi grande evento offre l’opportunità di rivedere i fatti che hanno segnato la storia umana. Lascio agli esperti stabilire quante gravi crisi mondiali sono state evitate dalla cosiddetta “hot line” tra Mosca e Washington, la linea di comunicazione diretta tra il Cremlino e la Casa Bianca nel periodo della crisi cubana.


Per quanto mi riguarda comunque la lezione della crisi cubana può essere sintetizzata in poche semplici parole: bisogna conoscere il proprio tuo nemico. All’epoca fui infatti colpito dal livello di ignoranza di entrambe le parti, che non conoscevano assolutamente nulla dell’avversario: né i piani, né le intenzioni e tantomeno la mentalità. Spero che da allora le cose siano migliorate.

Cos’altro aggiungere? Solo una piccola considerazione: i leader dei singoli Paesi dovrebbero sapersi ascoltare di più, gli uni con gli altri. Solo in questo modo la crisi cubana potrebbe restare per sempre l’unica crisi di tale portata che commemoreremo in futuro. O meglio, che celebreremo. 

Eugene Ivanov è un commentatore politico, vive in Massachusetts e scrive il blog The Ivanov Report

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