Lo spazio si tinge di rosa

Il team franco-russo prima del lancio del 2001 nella Stazione Spaziale Internazionale. Da sinistra a destra, gli astronauti Konstantin Kozeev, Victor Afanasyev, Claudie Eniere, Sergei Zaletin e Nadezhda Kuzhelnaya (Foto: Itar-Tass)

Il team franco-russo prima del lancio del 2001 nella Stazione Spaziale Internazionale. Da sinistra a destra, gli astronauti Konstantin Kozeev, Victor Afanasyev, Claudie Eniere, Sergei Zaletin e Nadezhda Kuzhelnaya (Foto: Itar-Tass)

Alla fase conclusiva della selezione per astronauti indetta da Roskosmos sarebbero state incluse alcune donne. Il ricordo delle prime cosmonaute

Secondo indiscrezioni che arrivano da Roskosmos, alcune donne sono state ammesse alla fase conclusiva della selezione di astronauti, annunciata all’inizio del 2011 (il numero esatto, come ai vecchi tempi, rimane segreto fino alla loro presentazione ufficiale).

L’astronautica mondiale rimane una professione prevalentemente maschile. E se in altre potenze cosmiche le donne con lo scafandro conquistano sempre di più le “alte vette”, nella patria dei voli spaziali con equipaggio tale tendenza non si è ancora osservata.

Intanto la storia del reparto femminile nell’astronautica russa conta già mezzo secolo. Nel 1962 su mille candidate ne furono selezionate cinque: Irina Soloveva, ingegnere; Valentina Ponomareva, matematica e programmista; Valentina Tereshkova, operaia tessile; Zhanna Erkina, insegnante, e Tatjana Kuznecova, segreteria e stenografa.

Diego Urbina e Mars 500

Le donne superarono le prove dell’intero programma. La resistenza dell’organismo alle alte temperature era verificata nelle camere termiche. Facevano entrare le ragazze nella camera, vestite con una tuta leggera a una temperatura di 70 gradi e un’umidità del 30 per cento, che mantenevano finché la temperatura del corpo dell’aspirante astronauta non saliva di due gradi e mezzo e il polso non accelerava fino a 130 battiti al minuto.

Per testare l’assenza di peso il reparto femminile volava sul caccia MIG 15 (Sparka). In un giro l’aereo riusciva a compiere tre-quattro cabrate a candela, durante ognuna delle quali l’assenza di peso durava circa 40 secondi. Durante una di queste manovre bisognava scrivere nome, patronimico e cognome, mettere la data e la firma; in un’altra bisognava cercare di mangiare da un tubetto; alla terza pronunciare in una ricetrasmittente una frase prestabilita.

Anche le prove nautiche – per il perfezionamento delle azioni dell’astronauta in caso di ammaraggio – erano faticose. C’era un solo scafandro per tutte, tecnologico, ma non cucito su misura, per di più era di una misura larga, per un’altezza di 168-170 centimetri. Il gruppo si divideva tra le “lunghe” – la Tereshkova, la Kuznecova e la Erkina –, alte 1.64 metri, e le “corte” – la Ponomareva e la Soloveva –, alte 1.61 m.

Come raccontano le componenti del gruppo, durante l’ammaraggio il casco pressurizzato scivolava in avanti e quello laringofonico finiva sugli occhi. Quando bisognava simulare lo sganciamento del paracadute i ganci scorrevano indietro o da qualche parte a lato. Tutto questo con un ingombrante scafandro e i guanti. Era già difficile arrivare ai ganci, figurarsi aprirli. Un piccolo indugio causava subito l’ipertermia.

Dopo l’esame di stato di preparazione generale si tenne la presentazione ufficiale del reparto femminile al progettista capo Korolev che dichiarò in toni molto aspri la sua insoddisfazione per la composizione del gruppo.

Il 16 giugno 1963 alla rampa di lancio si presentarono in due, con lo scafandro addosso: la Tereshkova e la Soloveva. A Irina si era appena rotto lo scafandro alla base del collo mentre glielo stavano infilando. Dovettero sostituirlo di corsa con quello della Ponomareva. Se si fosse strappato quello della Tereshkova non ci sarebbe stato nulla da fare a causa della differenza di altezza e la prima donna astronauta del mondo sarebbe potuta essere Irina Soloveva.

Mentre la Tereshkova era in volo, tutto il gruppo femminile passò tre giorni presso la base spaziale. Il 19 giugno la navicella “Vostok” e il pilota Tereshkova, ognuno con il suo paracadute, fecero un atterraggio riuscito, ritrovandosi vicini. Nel reparto tutti sapevano già che la Tereshkova in volo si sentiva, per usare un eufemismo, una buona a nulla e non riuscì a completare tutti i punti dell’esercizio di volo.

Il volo apparentemente trionfale della Tereshkova non scalfì la certezza di Korolev dell’incompetenza professionale femminile nello spazio. Il reparto fu definitivamente chiuso “per impossibilità di utilizzo” già dopo la morte del progettista capo, nell’autunno del 1969.

Dopo lo scioglimento del gruppo al Centro di preparazione degli astronauti rimase soltanto la Tereshkova. Lavorò nel reparto fino al 1997, ma si trattava di una presenza formale.

Per i voli sulle stazioni orbitali nella compagnia aerospaziale “Energija” furono selezionate otto donne, ma soltanto due di loro – Svetlana Savickoj, figlia del maresciallo, ed Elena Kondakova, moglie di Valerij Rjumin, astronauta e vicedirettore generale di “Energija”, – ebbero la fortuna di volare nello spazio.

Fino al 2004 l’ultima donna nei reparti spaziali è rimasta Nadezhda Kuzhelnaja. Non aveva parenti ai piani alti e, nonostante si ritenesse una specialista di alto livello, in dieci anni di permanenza nel reparto spaziale non ha compiuto nemmeno un volo.

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Ora nel reparto di Roskosmos c’è una donna – Elena Serova –, anche se il suo destino cosmico non è chiaro. È nel reparto dal 2006, ma fino a ora non le è stato assegnato nessun volo…

Nel frattempo i risultati delle ricerche sull’influsso dello spazio sulla salute delle donne non sono per niente confortanti. Ecco alcuni punti tratti dall’ultimo resoconto della Nasa:

  1. Il livello di radiazioni durante il volo sulle orbite basse della Terra, e a maggior ragione nello spazio profondo, è tale da diminuire le possibilità di rimanere incinta anche dopo la fine del volo. Durante il normale decorso di una gravidanza il livello di radiazioni non deve superare i 500 microroentgen in tutti i nove mesi (non più di 50 al mese). Sulla Iss, la Stazione Spaziale Internazionale, questo livello cambia a seconda della posizione della Stazione nello spazio, ma nell’intero periodo di gravidanza raggiungerebbe i 35.000 microroentgen. L’influsso dello spazio può portare alla mancanza di ovulazione e all’abbassamento del livello di estrogeni che, tra le altre cose, aumenta la perdita di calcio nelle ossa portando così all’osteoporosi (più forte nelle donne che negli uomini).
  2. Durante l’assenza di gravità l’iperemia all’interno degli organi in un bacino di dimensioni strette può aumentare il rischio di endometriosi.
  3. Prima del volo si raccomanda agli astronauti che hanno in programma di diventare un giorno genitori di donare i propri ovuli e spermatozoi per la conservazione.

Rostislav Beleda, esperto russo nel campo della cosmonautica, professore ordinario di Scienze mediche, per 14 anni sessuologo principale presso l’Ospedale centrale dell’Aeronautica di Mosca, è convinto che i voli nello spazio si ripercuotano in maniera negativa su ogni funzione dell’attività vitale dell’organismo femminile, in particolar modo su quelle più vulnerabili come l’apparato riproduttivo. 

Nessuna delle astronaute americane è rimasta incinta dopo i voli. Anche negli uomini dopo voli di molti giorni si sono verificati dei problemi, non per il concepimento, ma legati all’impotenza. Per quanto riguarda la prosecuzione della specie in orbita, almeno allo stato attuale, la comunità scientifica internazionale è arrivata, dopo molti anni di ricerche, a conclusioni sconsolanti sulla possibilità di tale processo.

Gli equipaggi della Stazione Spaziale Internazionale hanno condotto ripetuti esperimenti sui piccoli di quaglia giapponese che erano usciti dal guscio in orbita. Tutti i pulcini dopo sono morti. Una parte a bordo della stazione. I sopravvissuti non hanno sopportato il trasbordo durante l’atterraggio. Non potevano nutrirsi normalmente, non si orientavano nello spazio. La soluzione a questo problema non è stata ancora trovata.

Infine, esiste una statistica americana oggettiva per quanto riguarda il destino delle donne che sono state nello spazio. Nessuna di loro (sono più di 30) ha avuto figli. Nel reparto americano di astronauti oggi c’è soltanto una coppia, Margaret Seddon e Robert Gibson. Un’altra, Ronald Sega e Bonny Danbar, nel 2011 si è divisa. Non avevano figli. Al 63 per cento degli astronauti uomini e all’80 per cento delle astronaute donne insorgono disfunzioni di tipo sessuale.

È altamente probabile che l’insicurezza nel domani del programma russo di voli e le preoccupazioni per la propria salute abbiano obbligato il vice presidente di Roskosmos Vitalij Davydov ad ammettere a fine anno che al concorso per la selezione al reparto “non è arrivato un numero sufficiente di richieste da parte delle donne”.

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