Vignetta di Sergei Elkin
Finalmente l’ennesima esortazione del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, a rinunciare a uno scontro per la questione del nucleare in Iran non è passata sotto silenzio. Recentemente la coalizione anglo-americana, che faceva fronte comune per sferrare un attacco preventivo all’Iran, mostra disaccordi interni. Se il rifiuto di impiegare la forza per risolvere il “tema iraniano” perdurerà, considerando anche il pericoloso potenziale militare di Teheran, la minaccia di una guerra su vasta scala in quella regione sarà notevolmente ridotta.
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"La guerra all'Iran è vicina" |
Il capo del Ministero degli Esteri, Sergei Lavrov, ha così dichiarato nel suo intervento durante il recente incontro ad Astan tra i Paesi partecipanti alla Conferenza sull’interazione e le misure per rafforzare la fiducia in Asia centrale: “Nell’agenda internazionale, tra i temi all’ordine del giorno figura la situazione riguardo al programma nucleare dell’Iran e al problema della penisola coreana. Nella cornice attuale non vediamo soluzioni per la loro regolarizzazione se non attraverso la negoziazione. È l’unica strada per fare in modo che Tehran e Pyongyang smentiscano le preoccupazioni della comunità internazionale”.
Proprio alla vigilia del discorso di Lavrov, il governo d’Israele, cedendo alle pressioni all’Occidente, in primo luogo della Gran Bretagna, ha ripreso in esame i piani di attacco militare contro l’Iran. Secondo i mass media israeliani il rappresentante speciale della Gran Bretagna, da poco rientrato da una visita in Israele, ha riferito alle autorità del Paese il messaggio del premier David Cameron, il quale ha severamente esortato Tel Aviv a rinunciare all’uso della forza militare contro l’Iran.
Come sostengono gli esperti israeliani la richiesta senza appello da parte britannica, rincarata dalle trattative telefoniche tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e la cancelliera tedesca Angela Merkel, ha raffreddato gli umori battaglieri di Israele nei confronti dell’Iran.
Intanto è difficile presumere che tanto Israele quanto gli Stati Uniti, fornite di una potentissima rete informativa segreta, possano ignorare l’effettivo e pericoloso potenziale militare iraniano. Se in quell’area dovesse scoppiare una guerra le azioni militari non potrebbero essere nemmeno messe a confronto, né per intensità né per imprevedibilità, con le operazioni “Desert Storm” e “Shock and Awe” portate a termine contro l’Iraq. Basandosi soltanto sui dati consultabili di fonti internazionali autorevoli, quali IISS Military Balance, Jane’s Defence, Defense Daily Aviation Week & Space Technology e altre, si può facilmente stimare la capacità delle forze armate dell’Iran di infliggere perdite significative – e forse persino inaccettabili – alle truppe “occidentali”, nel caso di uno scontro armato.
Le truppe terrestri dell’Iran ammontano a un totale tra i 350.000 e i 465.000 soldati, di cui non meno di 230.000 a contratto e i rimanenti coscritti. I riservisti arrivano a 350.000.
Nonostante l’evidente debolezza delle forze terrestri iraniane in confronto a una possibile coalizione europea, un’operazione terrestre contro un Paese dagli impervi rilievi montuosi e con 70 milioni di abitanti ostili è praticamente irrealizzabile e si potrebbe limitare soltanto a operazioni di sbarco. A causa della presenza di una forte linea difensiva costiera e di una collaudata strategia che impiega piccole truppe dotate di armi missilistiche, lo sbarco potrebbe costare agli aggressori grandi perdite che – tenuto conto del fattore elettorale di Stati Uniti, Francia e Germania – non sono ammissibili.
“Resterebbe un’incursione aerea contro le truppe convenzionali iraniane – fa notare Aleksandr Kostin, esperto militare russo. – Sarebbe in mano alla forza militare americana, ma occorre tenere conto di due fattori: a) sarà una campagna lunga, di mesi. Operazioni di questo genere richiedono molto tempo e non garantiscono un esito positivo. b) L’Iran prenderà le contromisure seguendo la strategia dettata dal suo governo”.
Le risposte sono molteplici. “Già ora l’esercito e la marina militare iraniana hanno missili tattici che possono efficacemente abbattere le forze marittime e terrestri americane stanziate nella regione. La maggior parte degli obiettivi militari americani rientra nel perimetro dei missili tattico-strategici Shahab-3 a una distanza di 2.000 chilometri”, riflette Kostin.
Inoltre possono diventare obiettivi di primaria importanza gli spazi strategici delle infrastrutture bivalenti: i porti, gli impianti di dissalazione e altre strutture utilizzate negli interessi degli Stati Uniti. Benché gli attacchi alle città del Golfo persico non abbiano un grande senso dal punto di vista militare, il loro effetto sul piano psicologico e politico sul Paese potrebbe risultare significativo.
Kostin rileva che l’Iran può paventare l’intervento di forze militari e politiche alleate. “Innanzitutto gli Hezbollah della Libia e l’Esercito Mahdi iracheno, oltre a organizzazioni finora segrete, per esempio, in Afghanistan, nello Yemen e nel Bahrain”.
L’esperto russo osserva che “controllando lo stretto di Hormuz l’Iran può anche esercitare una certa influenza sul commercio a livello mondiale. Persino l’ipotetico rischio per le imbarcazioni manda alle stelle il margine di profitto delle assicurazioni che potrebbe portare, in prospettiva, a una crisi su scala globale di forniture di beni energetici”.
I danni alle infrastrutture petrolifere di qualsiasi Paese del Golfo persico sono forieri di catastrofi non soltanto economiche, ma anche ecologiche. Il bombardamento degli obiettivi nucleari in Iran, per esempio la centrale nucleare di Bushehr, secondo l’ex ambasciatore francese a Tehran François Nicoullaud “può sicuramente portare, come minimo, a conseguenze simili a quelle osservate dopo l’incidente di Fukushima”.
“Per di più la centrale si trova sulla riva di un mare chiuso, circondata da numerosi stati costieri, dai Paesi del Golfo persico” ha osservato il diplomatico. Nicoullaud ha anche fatto notare che, anche se l’impianto nucleare sotterraneo nel sito di Fordo, nascosto a 90 metri di profondità, subisce dei danni, non può essere completamente distrutto senza l’uso delle armi nucleari.
Per tale motivo, alternative al proseguimento del processo diplomatico dell’Occidente con l’Iran semplicemente non ce ne sono.
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