Rosario Alessandrello, presidente della Camera di Commercio Italo-Russa (Foto: Calogero Russo)
La fine del comunismo sovietico, l’emozione del viaggio lungo il fiume Volga, le esperienze di lavoro negli anni Sessanta e l’evoluzione della società russa fino ai giorni nostri. Ricordi personali e analisi di sistema si susseguono nel racconto di Rosario Alessandrello, classe 1931, presidente della Camera di Commercio Italo-Russa. Uno dei pochi italiani a poter dire di aver conosciuto in presa diretta tutta l’evoluzione russa dell’ultimo messo secolo, grazie anche all’attività lavorativa che lo ha portato spesso nella Federazione, prima come ingegnere e direttore tecnico della Montedison, poi come amministratore delegato della Tecnimont.
Quando è nato il suo rapporto con la Russia?
Bisogna ritornare indietro
con la memoria a circa quarant’anni fa, alla fine degli anni Sessanta, quando
ero un giovane ingegnere della nascente Montedison, ai tempi della sua fusione
con la Montecatini. Mi
sono recato in Unione Sovietica insieme all’allora amministratore delegato
dell’Edison per sanare una vertenza tra la Montecatini e la Russia. Da allora ci
sono ritornato più volte perché la mia società vendeva e costruiva impianti e
l’Unione Sovietica rappresentava un ottimo mercato da quel punto di vista, per
cui ho viaggiato parecchio per il Paese, con frequenti permanenze in Basckiria,
nel Tatarstan, a Stavropol, oltre a Mosca e San Pietroburgo.
Che conoscenza aveva all’epoca dell’Unione
Sovietica?
Non conoscevo nulla
della lingua ma ero un grande amante della letteratura russa. Tolstoj,
Dostojevskij, Checov con i loro romanzi,
per certi versi gialli, avevano nutrito la mia fantasia, rappresentando
una rottura rispetto alle letture più
diffuse all’epoca in Italia, dove prevalevano soprattutto i grandi classici
americani, come ad esempio Hemingway. Nel mio bagaglio culturale c’era però
anche la storia romanzata della rivoluzione russa, in cui ogni cosa era
rappresentata come divisa tra paradiso e inferno, ma poi ho imparato che nella
realtà non è mai così.
Qual è stata la sua impressione quando ha
visitato per la prima volta la
Federazione?
La mia prima visita è
stata troppo breve e fugace per lasciarmi una qualsiasi impressione, mentre ho
maggiori ricordi legati al mio secondo viaggio, avvenuto negli anni Settanta,
come direttore tecnico della Montedison. Ricordo che ho sempre avuto stretti
contatti, in funzione del mio ruolo, con i ministri incaricati di occuparsi
degli aspetti legati all’industria chimica e i vertici russi in genere. Ma
quello che mi è rimasto più impresso era il rischio continuo di finire nei
campi di lavoro. Anche se l’epoca stalinista era finita qualsiasi errore poteva
essere pagato caro, ad esempio con la defenestrazione.
Ricorda qualche aneddoto legato ai suoi
viaggi in Russia?
Ricordo quando sono atterrato per la prima
volta all’aeroporto di Mosca insieme all’allora amministratore delegato
dell’Edison, che era un socialista anticomunista perché riteneva che il
dogmatismo di questa ideologia distruggesse i valori dell’umanesimo socialista.
Quando siamo arrivati ci siamo trovati di fronte a delle bancarelle piene di
libri di propaganda per turisti, tutti uguali, ma tradotti in lingue diverse e
mi sono accorto che li stava infilando nella sua borsa. Gli ho allora chiesto perché se erano tutti
uguali e mi ha risposto sorridendo: “Quando si viene qui, bisogna fare tutti i
danni possibili”.
E qualche episodio che
l’ha particolarmente emozionata?
Il mio viaggio in barca
sul fiume Volga, lungo le cui sponde sorgono dei monasteri non accessibili via
terra ma che potevano essere raggiunti solo per via fluviale. E poi la prima
volta che ho visto le città medievali dell’Anello D’Oro, luoghi che portano
impressi i segni di tante culture, popoli e confessioni.
Cosa la affascina della
Russia?
È un territorio immenso, cinquantacinque
volte più grande di quello italiano, ma con una popolazione che è solo il
doppio della nostra, quindi con grandi spazi disabitati. I russi sono poi un
popolo contadino che è riuscito a far convivere oltre cento differenti etnie,
ciascuna con una propria religione, realizzando il più grande esempio di
integrazione mai verificatosi nella storia del mondo. E poi trovo affascinante
la sua storia: nel 1991 non si è dissolto solo il partito comunista ma l’impero
sovietico ereditato dalla storia degli zar. La scarsa popolarità di Gorbaciov
deriva, infatti, proprio dall’aver svenduto un impero senza contropartite.
Nel suo lungo rapporto con la Russia ha incontrato
qualche difficoltà?
Nel lavoro l’ostacolo
più grande è sempre stata la lingua, molto complicata grammaticalmente, con cui
dovevo confrontarmi quotidianamente nelle normative e nei contratti. Ma anche
l’aspetto culturale: nei miei frequenti viaggi mi sono spostato da una zona
all’altra del Paese venendo a contatto con le diverse etnie, spesso molto
distanti dalle nostre tradizioni e modi di fare. Ho sempre trovato molti punti
di contatto però con i popoli che abitano le zone del nord, gli slavi, perché
amanti dell’otium, nel senso latino
del termine, cioè cultori della musica, della poesia, del teatro e che sento
più affini a noi culturalmente. Quello che ho imparato sui russi in genere,
però, è che sono un popolo orgoglioso, che teme di essere disprezzato da noi
occidentali. Se riesci a conquistare la loro fiducia, però, sono molto
generosi.
Cosa non le piace della Russia odierna?
La corruzione,
particolarmente odiosa perché riguarda le figure che rappresentano lo Stato
davanti al cittadino: dal poliziotto al vigile urbano, fino all’impiegato. Alle
istituzioni spetta il compito di educare e dare fiducia ai cittadini. Una sfida
cruciale che attende Putin è favorire la formazione di una vera classe media,
fornendo servizi adeguati, migliorando la qualità della vita e consentendo la
libera informazione.
C’è qualcosa che rimpiange del nostro
Paese quando si trova nella Federazione?
Mi manca la qualità
della vita italiana, unica al mondo, e poi il bello, presente ovunque nel
nostro Paese. Mi ritrovo spesso a pensare ai bambini che frequentano la scuola
vicino a Santa Maria Novella a Firenze e mi dico che se un giovane vede tutti i
giorni della sua vita quella facciata non può non assimilare il concetto di
bellezza.
L’Italia ha sempre ottenuto un notevole
apprezzamento all’estero: è ancora così e quali sono le prospettive per le
aziende italiane interessate a investire in Russia?
La Russia ci invidia il nostro
tessuto produttivo, fatto di piccole e medie imprese, e vorrebbe imitarlo. Ad
esempio, nel nord del Caucaso ci sarebbero potenzialmente le condizioni per
replicare il nostro modello, con un clima molto simile a quello dell’Italia
meridionale e maggiore densità di popolazione rispetto al resto della Russia,
eppure finora tutti i tentativi sono falliti. Questo Paese è comunque alla
ricerca di imprenditori stranieri che
siano in grado di innalzare la qualità della vita delle persone: i principali
sbocchi di investimento riguardano quindi il settore farmaceutico, sanitario,
agroalimentare. Ma notevoli opportunità vengono anche dalla meccanica, dal
manifatturiero, dalla trasformazione delle materie plastiche. Ai russi manca il
management imprenditoriale perché per settant’anni l’imprenditore è stato lo
Stato, quindi se gli italiani sono disposti a gestire il rischio
imprenditoriale possono avere successo. A patto però di non pensare solo ad
arricchirsi velocemente, facendo speculazione, perché in quello i russi sono
più preparati di noi.
Cosa si aspetta dal prossimo forum
internazionale sugli investimenti che si svolgerà a Sochi dal 20 al 23
settembre 2012?
Il governo ha scelto di
ospitare dal 2013 al 2020 una serie eventi che porteranno alla creazione di
nuove infrastrutture, come aeroporti e ferrovie, ma anche turismo. L’intento è
di avere alla fine un Paese più moderno. Sochi fa parte di questo piano e
rappresenta un’occasione per incontrare i vertici delle 83 regioni russe e le
autorità che saranno presenti. Visto, però, che negli anni scorsi mi hanno
sempre precettato, quest’anno penso che farò il primo passo dando la mia
disponibilità da subito.
L'intervista è stata pubblicata sul numero di "Russia Oggi" del 6 settembre 2012
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