L'ex primo ministro russo Evgeni Primakov (Foto: Itar-Tass)
L’esito dello scontro tra gli islamisti moderati e i radicali influirà sul futuro non soltanto del Vicino Oriente, ma anche di tutto il resto del mondo, ha raccontato in un’intervista uno dei più importanti esperti del mondo arabo, l’ex premier della Federazione Russa Evgeni Primakov.
Evgeni Primakov è nato a Kiev (Ucraina) e cresciuto a Tblisi (Georgia). Ha lavorato come giornalista per Radio Mosca e Pravda. Ha ricoperto gli incarichi di primo ministro e ministro degli Esteri, presidente della Camera di Commercio della Federazione Russa e direttore dell'Istituto orientalistico dell'Accademia delle Scienze. Ha scritto più di venti libri; il più noto "Dall'Urss alla Russia"
Iniziamo
a parlare della Siria. A quanto pare la situazione diventa sempre più
allarmante. Qual è la sua visione a riguardo?
In Siria è a tutti gli effetti in corso
una guerra civile, con anche la partecipazione di forze esterne. Contro il
regime combattono insieme ai siriani anche mercenari e volontari di ogni sorta, provenienti da altri Paesi. L’ultima novità è che il presidente Obama ha dato
alla Cia il comando diretto di appoggiare l’opposizione siriana. Questa è un’ingerenza bell’e buona negli affari
interni di uno Stato sovrano che non sta minacciando in alcun modo né gli Usa,
né nessun altro. L’Arabia Saudita e il Qatar finanziano i soldati. La Turchia li sostiene
attivamente.
Tutti fanno ipotesi sul futuro del Paese se il regime
di Bashar al-Assad non dovesse reggere. Considera concreto il rischio di disfacimento del Paese?
Se l’opposizione armata riuscirà a far
cadere Assad, a Damasco il regime sunnita vorrà imporsi, il che porterà
automaticamente alla persecuzione contro gli alaviti che costituiscono una
parte considerevole della popolazione. Le repressioni non saranno rivolte
soltanto agli attivisti del partito Baath al comando, come pensano alcuni, ma a
tutti coloro che non condividono le convinzioni religiose degli oppositori.
La guerra in Siria è diventata la continuazione dei processi che ora vengono
chiamati “primavera araba”. Da esperto dell'area, è sorpreso da queste rivoluzioni?
Sì, è stata una sorpresa assoluta. Non
soltanto per me, ma per tutti: americani, europei, gli stessi arabi… In un solo
Paese le sollevazioni contro il regime autoritario erano possibili. Da qualche
parte ci si poteva aspettare un rivolgimento. Ma che un’ondata simile
investisse un’intera regione nessuno lo aveva previsto.
Per molti è stata una sorpresa il successo dei radicali islamici che
hanno preso il comando a Tunisi e in Egitto, tra l’altro in maniera
democratica. Vede rischi in seguito a questa evoluzione?
Sostenere che l’esito principale di queste
rivoluzioni sia stato il rafforzamento delle posizioni degli islamisti radicali
sarebbe, dal mio punto di vista, un errore. I Fratelli musulmani d’Egitto
sono un’organizzazione piuttosto moderata. Quelli di Siria si differenziano
dagli egiziani: sono più radicali.
Adesso in Egitto bisogna porre un’attenzione
speciale a come evolveranno i rapporti tra i Fratelli musulmani e i veri
estremisti salafiti, cioè tra il partito Libertà e Giustizia (avrebbe dovuto
avere circa il 50 per cento dei seggi al Parlamento, che però ha smesso di esistere dopo
la decisione del tribunale costituzionale sull’abrogazione delle elezioni) e il
partito Luce (che aveva circa il 30 per cento). Il neoeletto presidente egiziano Mohammed Mursi ha
dichiarato di essersi tolto dai Fratelli musulmani, promettendo di diventare “padre di tutti gli egiziani”. Le sue recenti affermazioni e azioni nei
campi della politica estera e interna fanno sperare che l’Egitto rimanga uno
Stato laico. I salafiti invece intervengono categoricamente a favore di una
costruzione statale fondata sulle leggi della Sharia.
I talebani in Afghanistan, i salafiti in Egitto e i wahhabiti nel Caucaso del
Nord. Quali sono le cause della crescente popolarità delle correnti
estremiste islamiche?
Il mondo islamico è eterogeneo; c’è chi
professa un islam moderato, ci sono i radicali. Senza dubbio molto dipenderà da
come si risolverà lo scontro tra i rappresentanti di queste correnti. Tra
l’altro l’esito di questa contrapposizione influirà non soltanto sul futuro del
Vicino Oriente, ma anche di tutto il resto del mondo.
Come giudica l’ipotesi della “traccia americana”* nei tumultuosi processi
della “primavera araba”?
È semplicemente ridicolo. Il presidente
egiziano Hosni Mubarak andava a genio agli americani e anche a noi. Non bisogna
demonizzare gli americani. Se hanno una colpa è quella di non sapersi districare
bene nella realtà dei fatti. Quando ci sono state le rivolte in Egitto tutti i
consoli degli Stati Uniti presenti nei Paesi arabi si sono riuniti in un
congresso a Washington e Hillary Clinton li ha criticati in modo estremamente
duro: Ve ne state lì a scrivere i vostri rapporti senza uscire dagli uffici
consolari. Le vostre relazioni sono una cosa, la realtà è tutt’altro.
Cosa pensa riguardo alle prospettive future
dei processi rivoluzionari in questa regione?
Credo
che nel prossimo futuro non ci saranno altre ondate rivoluzionarie.
Quanto è verosimile uno scenario in cui
Israele, con o senza l’appoggio degli Usa, assesterà un colpo contro gli
armamenti nucleari dell’Iran?
Gli Usa non vogliono che accada ora, alla vigilia delle presidenziali. Stanno tenendo a
freno Israele. Bisogna capire che nella dirigenza israeliana e
nell’amministrazione americana sono presenti varie forze, trovano spazio
posizioni diverse. In questo momento è difficile dire chi prenderà il
sopravvento.
Quindi rimane la possibilità di sferrare un
tale attacco? E non è pericoloso per quella vastissima regione?
Molto
pericoloso. Inoltre i risultati di un attacco aereo – non si parla di un’operazione
a terra – potrebbero risultare inconsistenti. Nel giro di due anni l’Iran si
rimetterà completamente in sesto, uscirà dal trattato per la non proliferazione
delle armi di distruzione di massa e allora di sicuro si munirà degli armamenti
Wmd.
L'intervista è stata pubblicata sul numero cartaceo di "Russia Oggi" del 6 settembre 2012
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