Elio dalla parte delle Pussy Riot

I milanesi delle Storie Tese a sostegno della punk band russa a processo dopo la performance di protesa nella cattedrale di Mosca. Mentre Putin da Londra chiede una condanna non troppo severa per il gruppo femminista

Nemmeno la loro musica era riuscita a fare tanto rumore. E a farsi sentire così forte nel mondo. Dopo l’arresto, con l’accusa di “vandalismo per motivi di odio religioso o di ostilità verso un gruppo sociale”, per il quale rischiano fino a 7 anni di carcere, le Pussy Riot trovano solidarietà anche in Italia. L’appoggio arriva da Elio e Le Storie Tese, che dal loro sito Internet urlano allo scandalo e si dicono pronti a sostenere le tre giovani cantanti con un’insolita forma di protesta: “Chiamateci Pistulino Riot”, annunciano. Dando quindi una svolta alla storica band milanese che d’ora in avanti si farà chiamare così. Almeno fino al rilascio delle ragazze.  

“In qualità di musicanti che, come Maria, Nadezhda e Ekaterina, hanno spesso cantato le miserabili gesta di similari pupazzi e pupazzetti – si legge sul loro sito -, Elio e le Storie Tese adottano simbolicamente il nome di battaglia di Pistulino Riot fino all’avvenuta liberazione delle colleghe”. Una forma di protesta, questa, partita dai Red Hot Chili Peppers e da Sting, che ha contagiato il mondo del rock: dalla parte delle Pussy Riot si sono infatti schierati moltissimi cantanti, dai Franz Ferdinand a Kate Nash, ma anche Pete Townshend, ex leader degli Who, John Marr, ex chitarrista degli Smiths e Neil Tennant dei Pet Shop Boys, che insieme hanno pubblicato una lettera di protesta sul Times proprio in occasione della visita del Presidente russo Vladimir Putin alle Olimpiadi di Londra. "Il diritto al dissenso esiste in tutte le democrazie", hanno scritto sul quotidiano britannico.

Foto: Kommersant, Vostok Photo, RIA Novosti

Nel frattempo, a migliaia di chilometri di distanza, la battaglia prosegue davanti al giudice. Le tre ragazze, Maria Alyokhina, Nadezhda Tolokonnikova e Ekaterina Samutsevich, fra i 23 e i 29 anni, si sono presentante in un’aula del tribunale Khamovniki di Mosca dove, nonostante le proteste dei manifestanti, si è dato il via al processo, interrotto tra l’altro da un allarme bomba e da un malore di una delle tre imputate.

“È estremamente crudele attribuire una motivazione religiosa al nostro gesto, perché non è vero”, ha dichiarato Nadezhda Tolokonnikova, alla quale ha fatto eco Ekaterina Samutsevich: “Riconosco quanto accaduto in chiesa(nella Cattedrale di Cristo Salvatore, ndr), ammetto di aver partecipato anch’io. Ma si trattava di una forma di protesta politica e civile”.

Le guardie e i dipendenti della cattedrale, invece, urlano allo scandalo: “Gridavano cose blasfeme. Non c’era alcun motivo politico di fondo – hanno affermato -. La questione è stata legata alla politica solamente perché è stato citato il nome del Presidente”.

E mentre sui media e in tribunale si accende la bagarre, da Londra, dove si è recato in occasione delle Olimpiadi, il Presidente russo Vladimir Putin fa arrivare i propri commenti: “Non credo che la condanna debba essere troppo severa – ha dichiarato -. Spero che il tribunale prenda una decisione giusta e fondata. Ad ogni modo, sono convinto che se tutto questo fosse accaduto in un luogo sacro all’Islam, non avremmo nemmeno avuto il tempo per metterle in custodia”.

Nel frattempo anche Amnesty International si è mobilitata a favore delle tre giovani, lanciando sul proprio sito Internet un appello al capo della Procura di Mosca per chiedere la scarcerazione immediata delle ragazze. 

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