Svetlana Zakharova, sulle punte di Giselle

Dal Mariinskij, al Bolshoj fino a La Scala di Milano: l'ascesa della ballerina russa, compagna sul palco di Roberto Bolle. L'intervista integrale, pubblicata in versione ridotta sul mensile Russia Oggi

Svetlana Zakharova

(Foto: Anders Brogaard)

È l’immagine odierna del balletto russo nel mondo, Svetlana Zakharova, 33 anni, ballerina dalle doti prodigiose, artista di eterea malìa. Luminosa la sua storia: diplomata alla leggendaria Accademia Vaganova, per sette anni perla del Balletto Mariinskij, dal 2003 è la stella incontrastata del Teatro Bolshoj, mentre le scene internazionali se la contendono.

Nella sua biografia anche un’esperienza politica, come deputata della Duma nella Commissione cultura.Ora che una felice vita familiare la completa, moglie del virtuoso del violino Vadim Repin e mamma da un anno e mezzo di una bimba, la ballerina russa sceglie con cura i nuovi impegni professionali, che sempre più spesso la conducono in Italia. Anche perché un contratto da Étoile la lega da cinque stagioni al Teatro alla Scala di Milano.

In attesa di un Gala che il 24 luglio 2012 la porterà al Teatro Comunale di Bologna, l’ultimo passaggio di Svetlana Zakharova nel nostro Paese l’ha vista a Roma ospite dell’Opera, trepida e lunare Giselle in una memorabile recita unica tra le rovine di Caracalla. 

La sua carriera italiana iniziò proprio a Roma, dieci anni fa: come accadde?
Mi invitò a danzare La Bella addormentata l’allora direttrice del Ballo, Carla Fracci: ero molto emozionata, non riuscivo a credere che a volermi fosse proprio lei, la mia Giselle ideale. Quando la vidi per la prima volta, la grande ballerina che tutti conoscono mi apparve come una donna incredibilmente bella e mi accorsi che emanava una luce speciale: era davvero una stella. Molte volte da allora sono tornata a danzare al Teatro dell’Opera, ma solo quest’anno ho debuttato alla Terme di Caracalla, con un’architettura sullo sfondo di tale bellezza da non necessitare scenografie.

La bellezza delle nostre città incide nella sua scelta di danzare frequentemente in Italia?
Sì, amo molto l’Italia. Se a Roma la bellezza è tutta in mostra, a Milano invece è nascosta, bisogna andarla a cercare: si scopre inaspettatamente ed è ancora più emozionante. Dev’essere anche per questo che ho accettato di diventare étoile della Scala, oltre al fatto che sono molto legata al teatro e alla compagnia. Ho sentito grande affetto quando sono tornata dopo la maternità, vengo sempre accolta con gioia, mi si riservano attenzioni e gentilezze e questo per me è importante. Si aggiunga che in scena faccio ormai coppia fissa con Roberto Bolle: ogni volta che lo nomino mi viene spontaneo un sorriso, perché oltre che un magnifico partner è una persona splendida, allegra, divertente, adoro ballare con lui. Insomma, oggi il Teatro alla Scala ha un grande ruolo nella mia vita e nella mia carriera.

Riscontra differenze tra i ballerini russi e gli italiani con i quali danza in coppia? E tra il pubblico del nostro e del suo Paese?
Per me il balletto non ha nazionalità né frontiere, quallo dell’arte è un unico mondo. Quando danzo con un buon partner non mi capita mai di pensare se sia russo, italiano, francese o americano. Non è certo il Paese di origine o la scuola di provenienza a condizionarmi, quanto piuttosto l’atmosfera e la complicità che si creano provando e ballando insieme. Lo stesso vale per il pubblico: quello che cerco, ovunque mi esibisca nel mondo, è uno scambio emotivo tra me e la platea, che avviene con la stessa intensità ad ogni latitudine se noi artisti danziamo con l’anima.

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Per la sua esperienza di étoile e di ex deputata, come è cambiata la tradizione del balletto in Russia? 
Il mondo è cambiato molto, ma nel balletto russo non è cambiato nulla. Piuttosto il pubblico è diverso: ci sono sì coloro che frequentano regolarmente il balletto da intenditori appassionati, seguendo i loro artisti preferiti, ma sono ormai in molti a venire a teatro solo per divertimento o perché è una moda, per incontrare i conoscenti e dire di esserci stati, magari anche per far sfoggio di abiti e gioielli, come per altro avviene anche alla Scala, dove c’è un dress code da rispettare. Ma forse anche a chi è in sala solo per un’esperienza mondana può darsi che qualcosa della mia arte rimanga: ne sarei già felice. E in fondo mi fa piacere pensare che la gente si vesta per lo spettacolo come per un evento importante, così come noi ballerini ci prepariamo per il pubblico. È anche questo un incontro e uno scambio. Una novità però c’è: dopo sei anni di restauri ha finalmente riaperto il Teatro Bolshoj. Da allora l’interesse del pubblico, russo e internazionale, è cresciuto enormemente e anche i nostri governanti, compreso il Presidente, si fanno vedere più spesso. Ma soprattutto per noi ballerini tornare a danzare su quel palcoscenico è stata un’emozione unica: è così grande e comodo! Per me è il teatro più bello del mondo.


Ormai ha interpretato tutti i ruoli del repertorio classico. Come li rende differenti e li mantiene vivi ogni sera?
È vero, ormai posso dire di avere danzato tutti i balletti e in quasi tutte le versioni. Forse a renderli sempre diversi, per me e per il pubblico, è ciò che accade nella mia vita: nuove emozioni mi condizionano durante le prove e nel corso dello spettacolo irrompono con la forza del vissuto. Come in Giselle, che tornerò a danzare la prossima stagione alla Scala: la prima volta che lo interpretai avevo solo 17 anni e poiché ancora non sapevo nulla dell’amore e del tradimento era la mia insegnante a dirmi cosa dovevo fare, mentre adesso vivo questo balletto grazie alla mia esperienza. Sarà così anche per L’Histoire de Manon, che riprenderò alla Scala dopo il debutto al Mariinskij di ben dieci anni fa. Al Bolshoj invece la prossima stagione non vedo l’ora di debuttare nel balletto Onegin: interpreterò per la prima volta Tatjana, un altro di quei ruoli drammatici che prediligo, in cui posso entrare della vicenda attraverso la mia sensibilità.

È interessata anche alla danza contemporanea?
Molto, anche se per me non sono molte le occasioni di avvicinarmi ad essa. Lavorare con un coreografo come William Forsythe ad esempio è il mio sogno: lo scorso aprile al Teatro Grande di Brescia ho visto la sua compagnia e sono rimasta impressionata dal modo totalmente sperimentale in cui lavora adesso. In quegli stessi giorni anche lui è venuto a vedermi danzare alla Scala e si è parlato di una sua creazione per me, ma al momento non c’è nulla di definito. Intanto io continuo a  cercare coreografi adatti a me, che possano crearmi composizioni su misura. Al Bolshoj è recentemente andato in scena con grande successo un pas de deux del taiwanese-americano Edwaard Liang, Distant Cries, su musica di Albinoni, che presenterò anche in Italia.

 
Altri campi artistici la tentano?
Si tratterebbe di professioni completamente diverse dalla danza, alla quale mi sono sempre dedicata in modo esclusivo. Però devo ammettere che il cinema potrebbe tentarmi: se mi proponessero un bel film, magari sul balletto, credo che accetterei. Più realisticamente mi piacerebbe esibirmi in uno spettacolo di musica e danza insieme a mio marito: credo sarebbe interessante per un pubblico più ampio, che ama l’una e l’altra disciplina.


Perché ha deciso di dedicarsi alla politica?
Volevo contribuire a facilitare lo studio della danza e il percorso di vita dei ballerini di professione. Sono molto fiera di una legge che ho promosso: permette agli allievi delle accademie artistiche, non solo di danza, di frequentare la scuola ordinaria integrata. Non è stato semplice però affrontare la burocrazia e devo ammettere che avrei voluto fare di più. Non mi sono ricandidata, anche per via della maternità.


Come è cambiata la sua vita da quando è diventata mamma?
La nascita di Anna è stato l’avvenimento più importante della mia vita, che da allora è molto cambiata. Anche i pensieri sono diversi e mi sorprendo a constatare come cose che prima avevano tutta la mia attenzione, non abbiano adesso alcuna importanza. Certo continuo a lavorare, e molto più di prima, ma tutto ruota attorno alla bambina: lo scopo della mia vita adesso è che lei sia felice. Ma se non fosse per mia madre, che si occupa di Anna a tempo pieno e ci segue anche in tournée, non sarei tornata in scena così presto, a soli tre mesi dal parto. Ho sempre apprezzato tutti i sacrifici che mia mia madre ha fatto per me e l’educazione che mi ha dato, ma oggi sono arrivata a pensare che bisognerebbe davvero fare un monumento a tutte le mamme!


La sua vicenda artistica e personale appare perfetta: come immagina il futuro?
Non è così: ho avuto momenti difficili, però sono passati e non voglio ricordarli né parlarne. Quanto al futuro non immagino nulla, voglio vivere oggi, nel presente, non penso mai al domani: è inutile, solo dio sa che ne sarà di noi.

L'intervista è stata pubblicata sul numero cartaceo di "Russia Oggi" del 19 luglio 2012

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