Arvydas Sabonis (Foto: Gettyimages/Fotobank)
Venti anni fa l’Olimpiade di Barcellona celebrava la medaglia d’oro del Dream Team Usa. La nazionale di basket più forte di tutti i tempi, forse la squadra con più talento nella storia dello sport. I migliori 11 cestisti della Nba e un rookie, Christian Laettner che aveva appena vinto il campionato collegiale con Duke University. Michael Jordan, Magic Johnson, Larry Bird, David Robinson, Charles Barkley, Scottie Pippen, Karl Malone.
Fenomeni che vincevano l’oro senza perdere una partita, spesso con oltre 40 punti di scarto sugli avversari. Il Dream Team originale. E il padre di quella squadra da leggenda era il centro dell’Urss Arvydas Sabonis. Perché i fenomeni Nba si erano riuniti per vendicare la sconfitta subita dall’Unione Sovietica ai Giochi di Seul, quattro anni prima.
Sabonis era il leader tecnico ed emotivo della nazionale sovietica in Corea del Sud. Con lui c’erano altri atleti di fama europea come l’ex Viola Reggio Calabria Sasha Volkov, Sarunas Marciulonis, Valery Titonenko. Gli americani erano abituati a dominare i Giochi, al punto che venivano scelti i collegiali mentre i professionisti restavano a casa.
Ma dopo il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca 1980 e i successivi Giochi a Los Angeles, si presentarono in Oriente per stabilire di nuovo le corrette gerarchie sul parquet. Ecco dunque assi come David Robinson, Danny Manning, Mitch Richmond. Un cammino senza battute a vuoto sino alle semifinali. Sino alla storica sconfitta con l’Urss. Una partita che segnava un nuovo corso per la pallacanestro europea e mondiale. E il protagonista assoluto era Sabonis, 221 cm da Kaunas, una tecnica da guardia pura.
Il “Principe del Baltico”, che spediva i compagni in contropiede con lanci a una mano, come un quarterback della Nfl. Tre anni prima il centro russo era scelto dagli Atlanta Hawks. La Nba per lui era solo utopia.
La perestrojka cominciava a districarsi tra le stanze del Cremlino, il Muro era ancora lì, così come la Guerra Fredda tra Urss e Usa. Portland seleziona di nuovo Sabonis per il draft dell’anno successivo, nonostante la rottura del tendine d’Achille a una gamba. Il Principe vola nell’Oregon, non gioca, si cura. Poi l’oro di Seul, sei anni di fila in Spagna, intervallati dalla medaglia di bronzo vinta con la Lituania a Barcellona ’92.
La Nba poteva attendere sino al 1995. Il lituano, 31enne e con la schiena a pezzi, fa impazzire l’Oregon e gli altri centri americani, sbalorditi dalla sua tecnica. Battuti, come i loro predecessori nel 1988.
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