Forse
in pochi sanno che per ogni imprenditore italiano che si trasferisce in Cina,
ce ne sono quattro che investono nella più vicina Europa dell'Est. Sono in
migliaia, spesso hanno successo, altre volte no.
Fanno i conti con lingue, culture, abitudini ed economie diverse dalle nostre, ma di loro ancora nessuno aveva raccontato i viaggi, i successi, le idee e le delusioni. A colmare questo vuoto ci hanno pensato Matteo Ferrazzi e Matteo Tacconi nel libro “Me ne vado a Est” (Infinito edizioni).
Il libro non solo è un unicum nel suo genere, ma è anche come ottimo punto di partenza per conoscere finalmente le esperienze e le avventure imprenditoriali - troppo spesso taciute - di questi nostri connazionali che fuggono a Est, considerato che, come spiega Matteo Tacconi, la stampa italiana è poco interessata all'Est e a questi connazionali forse perché “chi va fuori tradisce l'Italia. Forse perché oggi, a Est, le cose vanno bene. Forse perché, sbagliando, li percepiamo come universi lontani e simili l'uno all'altro. Forse perché ci piace talmente tanto parlare dei grandi temi da non accorgerci che la vera questione politica, economica e culturale si gioca appena a Est di Trieste, in quella macroregione, Europa centrale, area russa e Balcani, dove mezza Italia s'è spostata negli ultimi vent'anni, forse capendo che il baricentro dell'Europa si è spostato sempre più a Est."
E infatti sono migliaia le imprese italiane in Russia, ma anche nei Balcani, in Polonia, Ungheria, Turchia."Sono imprenditori che cercano di rispondere alle sfide imposte dal mercato e dalla globalizzazione. Più che spostarsi allo scopo di abbattere i costi di produzione, cercano di conquistare nuovi mercati", chiarisce Tacconi.
"Due terzi degli imprenditori italiani che vanno a Est producono servizi più che manufatti e lo fanno in un'ottica market oriented. Certo c'è anche qualche imprenditore che va a Est perché ci vanno tutti e perché lì costa meno. Ma è davvero una quota marginale”.
Non solo, perché “un'altra ragione che porta a varcare la frontiera è la situazione italiana. Il nostro Paese non cresce, non incentiva le imprese, ha un sistema di tassazione molto alto a fronte del quale non offre in cambio servizi, a livello burocratico non c'è tutta questa fluidità. Insomma, le condizioni non sono ottimali. Così qualcuno se ne va", aggiunge Tacconi.
Molti sono anche gli italiani che hanno iniziato a investire in Russia dove sono presenti grandi aziende italiane nel campo dell'edilizia, dell'agroalimentare, della ceramica e degli elettrodomestici. E, come sottolineato nel libro, “nei prossimi anni l’interscambio commerciale e il volume di investimenti italiani diretti in Russia sono destinati a crescere”. Nonostante in Russia vi sia, rispetto agli altri Paesi dell'Est, “minore apertura, più burocrazia e un'ossatura imprenditoriale dove le piccole e medie imprese faticano ancora a trovare spazio, Italia e Russia, aiutate anche dalla reciproca curiosità e dai legami culturali, vantano rapporti commerciali molto importanti e diverse sono le aziende italiane che in questi anni hanno messo gli occhi sul mercato russo, con design, lusso e prodotti alimentari a trainare il plotone”, spiega Tacconi .
“In futuro, penso, si potrà fare anche meglio. Ma molto dipende dalla Russia, se saprà modernizzarsi e se saprà riformare il suo sistema economico, creando una cultura delle pmi. I mezzi ci sono”, conclude.
“Me ne vado a Est” non è una semplice raccolta di storie, è molto di più. È un quadro della situazione economica italiana e internazionale, una lente di ingrandimento su investimenti e competenze, ma anche un excursus storico e culturale nell'Est di ieri e di oggi con uno sguardo orientato verso il futuro.
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