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Sergei Aleksachenko (Foto: ufficio stampa) |
Nel resto del mondo si chiama “crisi politica”. In Russia, preferiamo chiamarla “il tempo dei guai”. Come definire in altro modo questa situazione: una coalizione politica ha ottenuto più della metà dei seggi in Parlamento; il suo candidato ha ottenuto due terzi dei voti alle elezioni presidenziali, ma la coalizione in questione non è capace di formare un governo nell’arco di oltre due mesi e mezzo.
L’annuncio della nascita di un nuovo governo mi ha convinto ancora una volta della correttezza di una tale diagnosi. Giudicate voi stessi: con rare eccezioni (Chuvalov, Khloponin, Dvorkovich), i portafogli ministeriali sono stati distribuiti a funzionari di secondo ordine (assistenti, capi dipartimento, ministri regionali). Quasi nessuno di loro si è contraddistinto, al giorno d’oggi, né all’interno dei dibattiti sulla “strategia 2020”, né nelle discussioni sul “governo aperto”, né nei media. Tuttavia, nessuno di loro non può essere accusato di non avere l’esperienza necessaria per essere un buon ministro, contrariamente al capo reparto di una fabbrica di armi negli Urali (il riferimento è alla recente nomina di un rappresentante plenipotenziario del Presidente, ndr).
Evidentemente, tra i membri del tandem i negoziati sono stati difficili. Putin si è dimostrato soddisfatto dei suoi ministri, e avrebbe preferito che avessero conservato il loro posto (altrimenti, perché avrebbe dovuto trascinarli nella sua amministrazione). Dal canto suo Medvedev avrebbe preferito un rinnovamento delle poltrone, ma le sue proposte devono essere state oggettivamente deboli o inaccettabili. Il risultato? Un compromesso: i vecchi ministri se ne sono andati, ma i nuovi non sono ancora arrivati.
Invece di un nuovo governo, ci ritroviamo con una squadra di tecnici, come in Grecia o in Italia. Con l’unica differenza che la Grecia e l’Italia sanno come uscire dalla crisi politica: organizzando elezioni anticipate, come in Grecia, o rispettando quelle in programma, come in Italia. La soluzione per uscire dalla crisi è effettivamente quella di formare un governo in funzione dei risultati elettorali. Il che non significa che la crisi sia stata risolta: una coalizione può affondare o dimostrarsi incapace. Ma i meccanismi sono chiari. Tranne in Russia, dove le idee non sono per niente chiare. O più precisamente: c’è solo disordine.
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