Pensionato ucraino con la bandiera russa con la scritta "Con la Russia per sempre"(Foto: Photoxpress)
È una legge controversa quella che è passata in prima lettura al parlamento di Kiev. Il primo tentativo di farla approvare da parte del governo guidato dal primo ministro Mykola Azarov era finito in una rissa gigantesca con un paio di deputati in infermeria. Questa volta gli scontri si sono avuti fuori dal parlamento, tra opposte fazioni e la polizia.
La questione è invero semplice, ma scalda gli animi perché strumentalizzata ad hoc: la nuova legge prevede che la lingua russa diventi la lingua ufficiale, accanto a quella ucraina, in 13 delle 24 regioni in cui è diviso il Paese. Si tratta degli oblast dell’Est e del Sud dell’Ucraina, dove per ragioni storiche, il russo è sempre stata la lingua più diffusa e parlata.
Da quando Kiev è diventata indipendente da Mosca, nel 1991, l’idioma ufficiale è stato l’ucraino; il nuovo presidente Victor Yanukovich, in carica dal 2010, aveva già promesso in campagna elettorale di voler tutelare la minoranza russofona e così è stato. La legge deve essere ancora approvata, dopo il passaggio in seconda lettura, ma a questo punto è improbabile che il parlamento (anche se si è espresso con maggioranza non larghissima) faccia passi indietro. E non è escluso quindi che ci possano essere altre azioni di protesta.
Sono soprattutto i gruppi nazionalisti e quelli dell’opposizione intransigente, legati al partito di Yulia Tymoshenko, l’ex premier in carcere per una condanna a sette anni, a opporsi strenuamente a presidente e governo: elevare il russo a livello di lingua ufficiale (cioè poterla utilizzare ad esempio nei tribunali o negli uffici pubblici) significherebbe per loro svendersi al Cremlino, gettando a mare gli interessi del Paese.
Il dibattito sulla lingua diventa insomma alla stessa stregua di quello sul gas, sulla flotta o sul formaggio. Il discorso è oggettivamente più complesso e se è vero che la formazione di una solida identità nazionale passa per la lingua è anche vero che le minoranze vanno protette. Il caso ucraino è simile a quello di altre repubbliche postsovietiche, dove l’imposizione del russo sin dai tempi degli zar si è tramutata dopo il crollo del comunismo spesso e volentieri in una reazione quasi vendicativa. Vedere ad esempio le vicende lettoni.
Yanukovich, al quale sta a cuore la minoranza russofona anche e soprattutto per ragioni elettorali, si serve della questione linguistica per combattere una battaglia politica. In queste strumentalizzazioni incrociate, in cui ognuno ha un po’ di ragione e un po’ di torto, si perde di vista il nocciolo del problema e soprattutto il modo di risolverlo in maniera equilibrata, magari prendendo come modello esempi virtuosi che in Europa non mancano, dal Belgio alla Svizzera. Ma prima che Kiev sia come Bruxelles o Berna dovrà passare ancora un bel po' di tempo.
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